di Damiano Mondini
Domenica scorsa, il 25 novembre 2012, si è svolto il primo turno delle primarie del centrosinistra, aventi come scopo l’elezione “dal basso” – espressione dolce e suggestiva – del futuro candidato alla Presidenza del Consiglio. Non si è trattato di un trionfo della democrazia - come hanno sostenuto persino i vertici del partito "liberale" FID -, di un rigurgito di sovranità popolare o di un reflusso del populismo e dell’antipolitica, bensì dell’ennesima finzione di cui lo Stato si serve per illudere i propri sudditi di avere un qualche ruolo nell’amministrazione della res publica. Risulta difficile credere che i 4 milioni di persone in fila ai gazebo del Partito Democratico & friends fossero davvero convinti di agire per il Bene Comune, o anche soltanto di essere in procinto di fare qualcosa di costruttivo per le sorti dell'Italia. Abbiamo assistito nel medesimo frangente al parossismo dell’ipocrisia e della banalità, e forse perché mai come in questa democrazia l’inganno è all’ordine del giorno. Il risultato era prevedibile e finanche scontato: il segretario del PD Pierluigi Bersani e il sindaco di Firenze Matteo Renzi hanno superato a pieni voti – se mi concedete la burla - il primo step e si accingono ad accedere al ballottaggio; trombati invece il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, l'insignificante Laura Puppato e l’outsider Bruno Tabacci. Il confronto finale non verterà su due visioni affatto diverse della politica, ma su differenti prospettive intorno ad un’unica certezza, paludata per il centrosinistra: lo Stato al centro, l’individuo in periferia e la Libertà oltre i confini.