L'inverno volge al termine, la natura comincia a sciogliersi dalla morsa del freddo, gli alberi presto torneranno a fiorire. Ma sul versante politico imperversa ancora la bufera. Il febbraio decisivo delle elezioni ha tradito ogni aspettativa: tanto per cominciare le consultazioni non hanno decretato un risultato definito e definitivo, limitandosi a frazionare il voto in tre blocchi, di cui quello più sorridente è oggi il Movimento 5 Stelle. Non tanto per una questione di numeri, quanto perché ha rosicchiato voti di qua e di là, ed è l'unica forza politica in grado di dettare legge a tutte le altre. Dietro al duo Grillo-Casaleggio rumoreggia una folla di fedeli decisi a rivoluzionare la politica italiana. Seguono come pecore i loro pastori: e se Beppe dichiara che non tollererà opposizioni in Parlamento, e che spera che i cittadini diventino lo Stato, è lecito preoccuparsi. Il successo dei cinquestelle è fragoroso quanto il flop di FARE. Il movimento è stato azzoppato prima dalle imperdonabili gaffes del suo eccentrico leader, e poi dall'indifferenza dell'elettorato, certamente influenzato dalle lauree (inesistenti) e dal master (immaginario) esibiti da Oscar Giannino. Costretto dalla forza delle cose alle dimissioni, il giornalista torinese ha abbandonato la sua nave in gran tempesta, cosicché ora FARE sembra sull'orlo dello squagliamento.
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sabato 9 marzo 2013
mercoledì 27 febbraio 2013
Il vero Lincoln e le bugie di Spielberg (parte seconda)
Nel marzo del 1850, a pochi giorni dalla propria morte, il grande statista e pensatore del South Carolina John C. Calhoun scriveva quanto segue ad un amico:
L’Unione è destinata ad essere dissolta, i segnali sono evidenti. […] [Non è più possibile] evitare, o concretamente posporre, la catastrofe. Plausibilmente mi aspetto che ciò accada entro dodici anni o tre mandati presidenziali. […] Il modo in cui succederà non è così chiaro, […] ma con ogni probabilità la detonazione avverrà nel corso di una elezione presidenziale.
martedì 26 febbraio 2013
Il vero Lincoln e le bugie di Spielberg (parte prima)
di Damiano Mondini
Il 24 gennaio è uscito nelle sale italiane il film Lincoln, diretto da Steven Spielberg con Daniel Day-Lewis nel ruolo di protagonista. Come largamente previsto dalla critica, la pellicola ha sbancato il botteghino. Un successo degno del regista, un film in grado di commuovere e di colpire nel profondo. Si tratta di una ricostruzione storica – ancorché hollywoodiana - , che dovrebbe avere fra i suoi primi obiettivi quello di narrare in modo relativamente esaustivo fatti realmente accaduti. E quest’obiettivo è stato completamente mancato: la ricostruzione è ai limiti della “fantastoria”, la partigianeria è stomachevole e indigesta, la prospettiva yankee assurge a voce dominante nel peggior stupro di una realtà drammatica come quella della Guerra civile americana. In questo modo una figura complessa, inquietante e a tratti mefistofelica come quella del sedicesimo Presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln viene dipinta con toni agiografici e santificatori, coi soliti banali orpelli dell’emancipatore di schiavi, del salvatore della pace e della libertà. Per chi nella pace e nella libertà crede davvero – e proprio per questo non sopporta che la memoria del Vecchio Sud sia infangata dell’ideologia dei vincitori - è quanto mai cogente rispolverare alcune semplici verità fattuali relative a quel periodo miliare della storia americana che fu la Civil War, disincrostandola dai luoghi comuni, dalle interpretazioni faziose e soprattutto dalle mistificazioni sesquipedali che ne accompagnano le narrazioni più in voga – non ultimo questo ritratto demenziale fornito da Spielberg, anche se invero molti pregiudizi sono divenuti patrimonio comune.
domenica 24 febbraio 2013
Ansie (?) elettorali
di Paolo Amighetti

martedì 12 febbraio 2013
Il consenso smuove le montagne. Sottoscrivete la dichiarazione di libertà dei veneti
di Redazione
Il 28 novembre scorso è stata approvata dal Consiglio regionale veneto la risoluzione 44, che afferma
*In collaborazione con Diritto di Voto
Il 28 novembre scorso è stata approvata dal Consiglio regionale veneto la risoluzione 44, che afferma
«il diritto del popolo veneto alla compiuta attuazione della propria autodeterminazione»: poche ore fa è stato presentato il «manifesto per la libertà del Veneto», già sottoscritto da studiosi illustri quali Marco Bassani, Hans-Hermann Hoppe, Pascal Salin, Donald W. Livingston, Ralph Raico, Xavier Sala-i-Martin e Carlo Lottieri. La risoluzione 44 non può finire dall'oggi al domani nel dimenticatoio. La questione veneta è ormai aperta: è necessario che tutti ne prendano atto, ne vengano a conoscenza. I media italiani non danno alcun risalto a ciò che accade in Veneto: ma c'era d'aspettarselo. Bisogna però che alle parole dette e stampate seguano i fatti, perché le istituzioni riconoscano e rispettino il diritto inalienabile del popolo veneto a decidere del proprio futuro. Il manifesto per la libertà del Veneto e la risoluzione sono in rete sul sito http://www.risoluzione44.org/*, che riporta in quattro lingue il testo della dichiarazione e offre la possibilità a chiunque di sottoscriverla. Vi invitiamo ad imitare la sessantina di persone che già hanno firmato: solo dal consenso può nascere un Veneto indipendente. Non siete veneti? Sosteneteli nel loro cammino verso l'indipendenza. Libero il Veneto, liberi tutti.
*In collaborazione con Diritto di Voto
lunedì 4 febbraio 2013
[SOSTIENI BASSANI] Cosa Jefferson può insegnare all'Italia
di Damiano Mondini
Si dice spesso che i grandi maestri del passato continuano a dare lezioni al presente, oltre che ad insegnarci come immaginare il futuro. Sovente si tratta di esercizi retorici da ginnasio o da liceo, come quando si vagheggia dell’attualità dell’utopia platonica o della preveggenza di Karl Marx nei riguardi dell’inevitabile crollo del capitalismo. Ciò nondimeno, per alcuni pensatori questa massima risulta particolarmente calzante: Thomas Jefferson (1743-1826) è uno di questi; si potrebbe anzi azzardare che, per comprendere il panorama politico contemporaneo, e nella fattispecie quello italiano, il virginiano sia un convitato imprescindibile. E’ questa la tesi di Luigi Marco Bassani, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Milano e candidato consigliere regionale in Lombardia nelle liste di FARE, studioso che a questa figura originale ha dedicato un’ampia bibliografia: in particolare, sia consentito citare Contro lo Stato nazionale. Federalismo e democrazia in Thomas Jefferson (Fenicottero, 1995), Dalla Rivoluzione alla guerra civile. Federalismo e Stato moderno in America 1776-1865 (Rubbettino, 2009) e Liberty, State and Union. The Political Theory of Thomas Jefferson (Mercer University Press, 2012).
venerdì 1 febbraio 2013
The Liberty Bell: che vinca il peggiore! O no?
di Paolo Amighetti
Questi sono i giorni «della merla». I più freddi dell'anno, secondo la tradizione e il termometro: raro caso in cui la scienza più moderna e il vecchio bagaglio delle credenze popolari vanno a braccetto. Purtroppo, non c'è che la politica a scaldare queste mattine invernali: le elezioni sono vicinissime, manca ormai pochissimo al 24-25 febbraio. Una due giorni rovente alla quale ci avviciniamo con un sacco di indifferenza ma anche, udite udite, con un pizzico di speranza. Non ci sono in ballo soltanto le Politiche, stavolta: in Lombardia si vota pure per le Regionali. Dunque, la posta è un po' più alta del solito. Digerito l'amaro boccone della bocciatura di Forza Evasori, speriamo che questa campagna elettorale scialba e monotona (l'ultima veramente avvincente, dopotutto, fu nel 1948: «Nel segreto della cabina elettorale, Dio ti vede, e Stalin no!») si avvii alla conclusione, e che vinca il peggiore. Ce ne faremo una ragione, come sempre. Ma stavolta forse, ed ecco la ragione della scintilla d'entusiasmo, dopotutto c'è un «migliore», uno per la cui vittoria si possono incrociare le dita: si chiama Marco Bassani, è una delle punte di diamante del libertarismo italiano e si candida per le regionali in Lombardia nelle liste del movimento di Giannino, Fare per Fermare il Declino. Vi diremo perché abbiamo intenzione di sostenerlo, e vi inviteremo a farlo a vostra volta: in alternativa vi proporremo una sana astensione, per chi non volesse diventare ingranaggio della macchina democratica verso la quale, sia chiaro, siamo sempre diffidenti. Sullo sfondo, campeggiano le rivoluzioni regionaliste di cui vi parliamo ogni mese: quella scozzese, quella catalana e quella veneta. Votare Bassani vuol dire sostenere e far scoppiare, al più presto, quella lombarda: per questo il 24 e il 25 di questo mese potremmo pure evitare di turarci il naso.
martedì 1 gennaio 2013
Bassani candidato in Lombardia per FiD
Apprendiamo e rilanciamo la notizia della candidatura alle regionali lombarde, nelle liste di FARE per Fermare il Declino, di Luigi Marco Bassani. Professore di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Milano, Bassani (Chicago 1963) è un attento studioso del pensiero politico americano fra la Rivoluzione e la guerra civile, della teoria del federalismo, del sindacalismo rivoluzionario e del libertarismo contemporaneo. Vanta al suo attivo la pubblicazione di diverse opere, tra cui Il pensiero politico di Thomas Jefferson (2002) e Dalla Rivoluzione alla guerra civile. Federalismo e Stato Moderno in America, 1776-1865 (2009); ha tradotto e curato inoltre diverse pietre angolari del pensiero libertario, tra cui Il nostro Nemico, lo Stato (1995) di Albert Jay Nock e L’etica della libertà (1995) di Murray Newton Rothbard. La redazione fa i più sentiti auguri a questo faro della causa della Libertà, oltre a ribadirgli la propria stima e il proprio sostegno.
Fonte:
http://www.milanotoday.it/politica/elezioni/regionali-lombardia-2013/lista-fermare-il-declino-marco-bassani.html
Fonte:
http://www.milanotoday.it/politica/elezioni/regionali-lombardia-2013/lista-fermare-il-declino-marco-bassani.html
lunedì 31 dicembre 2012
Passiamo l'ultimo con Mises
di Damiano Mondini
L'elaborazione teorica delle dottrine e dei programmi deve essere rigorosa, coerente ed esente da contraddizioni. Se però non si riesce a convincere la maggioranza a realizzare pienamente il proprio programma, bisogna accontentarsi di ciò che si può ottenere nelle condizioni oggettive in cui ci si muove.Ho sempre criticato la middle-of-the-road-policy di tutte le varianti dell’interventismo, e credo di aver mostrato che esse finiscono inevitabilmente per sfociare nel socialismo vero e proprio. Ma questo non mi ha impedito di capire benissimo che i rapporti di potere politici possono costringere anche un convinto e coerente difensore del liberalismo a venire a patti temporaneamente con certe misure interventistiche (per esempio, i dazi doganali). Di regola bisogna accontentarsi di scegliere il male minore
lunedì 15 ottobre 2012
Gallio: prove di «contro-risorgimento» (parte seconda)
di Damiano Mondini
Ante meridiem. La mattinata è stata un sostanziale tour de force nel mondo libertario e indipendentista, una realtà grondante di fascino. Con tre compagni di viaggio d’eccellenza, i prufesùr Carlo Lottieri, Luigi Marco Bassani e Alessandro Vitale. Conclude un intervento, ad avviso di chi scrive, deludente e fuori luogo di Oscar Giannino. Sale l’aspettativa per la sessione pomeridiana.
Post meridiem. Alla “tavola rotonda” pomeridiana siedono cinque professori universitari degni della miglior nota: il già citato Lottieri dell’Università di Siena, Daniele Velo Delbrenta dell’Università di Verona, Alberto Berardi dell’Università di Padova, Andrea Favaro dello Studium Generale Marcianum di Venezia e Paolo Bernardini dell’Università dell’Insubria di Como. Il simposio si ripropone di riflettere sui temi dell’indipendenza – del resto, la pietra d’angolo della giornata -, della Costituzione, dello Stato, del diritto e della libertà. Un obiettivo dunque ambizioso, ma che nondimeno è stato indubbiamente raggiunto, superando persino le aspettative dell’uditorio.
domenica 14 ottobre 2012
Gallio: prove di «contro-risorgimento» (parte prima)
di Paolo Amighetti
Per discutere di indipendenza e autodeterminazione non c'è posto migliore dell'altopiano di Asiago: per cinquecento anni questi monti a ridosso della Mitteleuropa hanno ospitato infatti la Spettabile Reggenza dei Sette Comuni, federazione pacifica e del tutto autonoma che solo Napoleone, all'inizio dell'Ottocento, si risolse a spazzar via. Con buona pace del gran museo a cielo aperto che ricorda il dramma della guerra bianca del 1915-1918, condotta per «liberare» le terre irredente, ieri s'è parlato di come dare avvio al contro-risorgimento italiano: di come il Veneto potrebbe salutare l'Italia, imitando la Catalogna, sempre più lontana da Madrid, e la Scozia, alla quale basta aspettare il referendum del 2014.
lunedì 8 ottobre 2012
Invito al pensiero di Murray N. Rothbard (parte prima)
di Damiano Mondini
Grazie al pensiero del filosofo ed economista americano Murray Newton Rothbard (1926-1995), la tradizione liberale e quella anarchica vengono a convergere nell’anarchismo liberale o “anarco-capitalismo”, termine coniato negli anni ’50 dallo stesso Rothbard. La sua personale elaborazione risente dell’influsso di diverse tradizioni filosofiche ed economiche: l’anarchismo individualista americano, il giusnaturalismo, la Scuola Austriaca dell’economia, la ricerca dell’essenza dell’uomo di matrice aristotelico-tomista, la dottrina lockeiana dei diritti assoluti di proprietà. Di conseguenza il suo pensiero è una sintesi coerente dotata di una metodologia ultrarazionale, sulla quale viene fondata una difesa perentoria della libertà e dei diritti inalienabili dell’uomo, operata all’insegna di un individualismo metodologico radicale. Tale difesa implica la necessità di espungere la coercizione e il dominio dell’uomo sull’uomo dall’ordine sociale: in questo senso essa implica l’anarchia, ovvero la dispersione di ogni forma di potere, e dunque l’abolizione dello Stato e la risoluzione del dato sociale in forme differenti dalla statualità. Secondo le parole del professor Luigi Marco Bassani, docente di Storia delle dottrine politiche dell’Università di Milano e attento studioso del pensiero libertario americano,
chi si occupa di pensiero politico liberale classico troverà nella costruzione di Rothbard una sorta di termine ad quem, una soglia, inestricabilmente commista di anarchismo e liberalismo, che non è possibile oltrepassare. Poiché se è vero che nel fondo di ogni pensatore autenticamente liberale si nasconde un anarchico, Rothbard, con quel candore tipico degli eretici [poco prima lo aveva definito un happy warrior, n.d.r.], lascia affiorare sia il suo anarchismo, sia il suo liberalismo, costringendoci a guardare con lenti del tutto nuove queste due grandi tradizioni politiche.
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