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lunedì 29 luglio 2013

[Freebanking] Rigettiamo l’accusa di frode (seconda parte)

di George Selgin e Lawrence H. White (traduzione di Tommaso Cabrini)


È ugualmente inesatto storicamente il ragionamento di Block (1988, pp. 30-31) secondo il quale, poiché il possessore di una banconota emessa da una banca con una riserva del 20 percento avrebbe solo il 20 percento di possibilità di vedersi restituito il suo denaro in caso di una corsa agli sportelli, una banconota emessa da banca a riserva frazionaria è indistinguibile da un biglietto della lotteria, e sarebbe valutato al di sotto della pari se il pubblico avesse “pienamente digerito” le implicazioni dell’emissione a riserva frazionaria. E’ vero che una particolare banconota verrebbe valutata sotto la pari se gli attori del mercato fossero preoccupati di non essere in grado di riscattarla a causa di una imminente corsa agli sportelli. Ma questa banconota, sulla quale penderebbe un non trascurabile rischio di default, non continuerebbe a circolare, nemmeno a sconto. Verrebbe, infatti, immediatamente presentata per il riscatto, e quindi rimossa dalla circolazione. I marchi di banconote sopravvissuti sarebbero i soli per i quali ci si aspetta, nella pratica, che tutte le richieste di riscatto vengano soddisfatte (vedi Mises 1966, p. 445). Le banconote a riserva frazionaria emesse da banche degne di rispetto (e tali banche non furono storicamente rare) furono in grado di circolare diffusamente al valore nominale, poiché le altre banche e i clienti, giustamente, riconobbero che le probabilità di andare incontro a qualunque difficoltà nel rimborso delle banconote fosse incredibilmente piccola.

sabato 20 luglio 2013

[Freebanking] Rigettiamo l’accusa di frode (prima parte)

di George Selgin e Lawrence H. White (traduzione di Tommaso Cabrini)
[Il seguente articolo è un estratto del paper "In Defense of Fiduciary Media-or, We are Not Devo(lutionists), We are Misesians!" - The Review of Austrian Economics Vol. 9, No. 2 (1996): 83-107 ISSN 0889-3047]

Rothbard (1962, 1983b, 1990, 1995) a lungo sostenne che la riserva frazionaria è intrinsecamente fraudolenta, e Hoppe segue Rothbard lungo questo sfortunato vicolo cieco. Noi troviamo che la posizione della intrinseca-frode sia impossibile da riconciliare con la stessa teoria di Rothbard (1983a, pp. 133-48) del trasferimento di titoli tramite contratto, che noi accettiamo, e alla quale Rothbard si appella per difendere la libertà, da parte di individui consenzienti, di impegnare volontariamente la loro proprietà (di cui sono giustamente in possesso). Rothbard (1983a, p. 142) definisce la frode come “l’incapacità di rispettare un accordo volontario riguardante il trasferimento di proprietà” [1] Gli accordi relativi alla riserva frazionaria non possono quindi essere intrinsecamente o inevitabilmente fraudolenti. Il fatto che una particolare banca stia commettendo una frode detenendo una riserva frazionaria dipende dai termini dell’accordo di trasferimento dei titoli tra la banca e i suoi clienti.

Rothbard (1983a, p. 142) ne “L’etica della libertà” da due esempi di frode, entrambi coinvolgono lampanti rappresentazioni fuorvianti (in una, A vende a B un pacco il quale A dice contenere una radio, ed invece contiene solamente un cumulo di rottami metallici). Rothbard conclude che “se l’oggetto non è come lo descrive il venditore, allora ha avuto luogo una frode e quindi un furto implicito”. La conseguente applicazione di questa visione all’attività bancaria dimostrerà che il comportamento di una banca che detiene riserve frazionarie è fraudolento se, e solo se, la stessa banca si presenta come se detenesse una riserva intera, o se il contratto con i clienti prevede espressamente l’accantonamento di una riserva intera. [2] Se una banca non si presenta come tale o non si obbliga espressamente a detenere una riserva intera, allora la riserva frazionaria non viola l’accordo tra la banca e i suoi clienti (White 1989, pp. 156-57). (Nella pratica, l’incapacità di soddisfare la richiesta di rimborso, che la banca è obbligata contrattualmente a soddisfare, costituisce violazione dell’accordo). Mettere fuorilegge i contratti volontari che permettono la detenzione di riserve frazionarie rappresenta quindi un intervento nel mercato, una restrizione della libertà contrattuale, che è una parte essenziale dei diritti della proprietà privata.

martedì 12 marzo 2013

Cattolici per il capitalismo (parte seconda)

di Damiano Mondini

Un capitalismo cattolico: prospettive di studio
I primi a rilevare incongruenze nella ricostruzione weberiana furono gli storici; essi si limitarono a constatare un dato, di per se ovvio ma fondamentale, noto allo stesso Weber ma da questi stranamente reputato secondario: ovverossia che forme di capitalismo mercantile si erano sviluppate nelle città libere italiane già nel Tardo Medioevo, ed erano attecchite anche in altre aree tipicamente cattoliche come il Belgio e la Bassa Renania. E tutto ciò ben prima  che Lutero affiggesse le sue 95 Tesi sulla Cattedrale di Wittemberg. Come ha scritto Luciano Pellicani, riprendendo uno spunto del grande sociologo francese Raymond Boudon:
sia il capitalismo che lo spirito capitalistico precedono, e di secoli, la Riforma. Basterebbe ciò per invalidare la complessa costruzione weberiana, dal momento che un fenomeno non può essere assunto come una delle cause di un altro fenomeno se questo è successivo.

Weber non solo aveva rischiato di cadere nella banalità per cui post hoc ergo propter hoc – prima era venuta la Riforma poi il capitalismo industriale, dunque la prima aveva causato il secondo. Aveva finanche falsato i termini del sillogismo: un evento successivo non può dirsi causa di un fenomeno ad esso precedente. E non si pensi che il capitalismo pre-Riforma fosse una realtà minoritaria e di scarsa importanza, come sembra volerlo considerare il sociologo tedesco: basti pensare alla straordinaria importanza dei Fugger ad Augusta e di Jacques Coeur in Francia. Furono figure imprenditoriali notevoli, che con i loro investimenti di capitali contribuirono a mettere in crisi i monopoli feudali legati alle regolamentazione delle arti e dei mestieri. Nel pieno solco della tradizione cattolica essi superarono il pregiudizio medievale legato alla nota sentenza di Girolamo, il quale con tali parole si era riferito alla figura del mercante: homo mercator vix aut numquam potest Deo placere.

domenica 10 marzo 2013

Cattolici per il capitalismo (parte prima)

di Damiano Mondini

E’ un luogo comune diffuso quello secondo il quale il pensiero cristiano – e segnatamente quello cattolico – dovrebbe porsi inevitabilmente in contrasto con l’economia di mercato, e per il quale d’altro canto il messaggio evangelico presenterebbe numerosi punti di contatto con le sollecitazioni socialiste. I riferimenti in questi senso sono molteplici, essendosi ormai accumulati due secoli di interpretazioni gauchistes del Vangelo: da Le nouveau christianisme del conte di Saint-Simon (1825), alle esperienze dei “Cristiani per il socialismo” e della “Teologia della Liberazione” nel Sud America degli anni Settanta, alle figure del cattolicesimo democratico italiano – basti menzionare Giuseppe Dossetti e Amintore Fanfani. Fautori e detrattori del capitalismo di mercato sembrano ormai concordare su di un punto, ovverossia che “il Vangelo è socialista” : il buon cristiano dovrebbe dunque guardare con sospetto ai “gran sabba degli istinti capitalistici” e propendere per una loro ferrea regolamentazione in chiave redistributiva e solidaristica; d’altra parte, i sostenitori del libero mercato e della libera iniziativa privata dovrebbero fuggire le superstizioni religiose del cristianesimo, considerandole l’ennesima riproposizione del ben noto e odiato spirito anticapitalistico. Ciò premesso, ci riproponiamo in questa sede di avanzare delle critiche a questi leit motiv – osservazioni che naturalmente non pretendono di essere definitive, né tanto meno di esaurire un dibattito accesso e tutt’altro che concluso a livello accademico. Saranno sufficienti alcune evidenze fattuali, cui accenniamo ora e che andremo poi a sviluppare, a far sospettare che dietro la semplice impostazione suddetta vi siano quanto meno delle linee di faglia.

giovedì 15 novembre 2012

L'Europa che (non) ci piace

di Damiano Mondini

Il futuro e la soluzione si chiamano Europa.
Pierluigi Bersani

Mi ripropongo in questo breve scritto di avanzare alcune lapidarie riflessioni sull’Europa e su quanto le gravita attorno. Sulla scorta delle riflessioni dell’economista spagnolo di Scuola Austriaca Jesùs Huerta de Soto è possibile affermare due verità apparentemente contrastanti: da una parte, l’Euro pare configurarsi come la più concreta approssimazione allo standard aureo che gli austriaci si ripropongono di raggiungere come situazione ottimale; dall’altra, la gestione della politica monetaria dell’Eurozona da parte della Banca Centrale Europea e l’amministrazione burocratica dell’Unione rappresentano senz’altro un pericoloso ostacolo al risanamento dell’economia e al progredire della libertà. Insomma, risulta estremamente difficile dare un giudizio conclusivo e chiaro pro o contro l’Europa, la moneta unica e l’integrazione. Da un lato infatti si pongono gli europeisti più convinti, gli sbandieratori del “sogno” di un continente unito sotto il profilo economico e politico, “una preziosa eredità da lasciare alle future generazioni”; dall’altro, parimenti deprecabile è la tesi degli oppositori dell’Euro che vagheggiano di un ritorno alla sovranità monetaria degli Stati, ai quali venga concessa la possibilità di “uscire dalla crisi” stampando autonomamente moneta senza riserva alcuna.

venerdì 7 settembre 2012

Huerta de Soto: un austriaco a difesa dell'euro (parte seconda)

di Damiano Mondini
- Viva l’euro, abbasso la BCE. Nonostante quanto fin qui sostenuto a favore dell’euro, Huerta de Soto afferma di rimanere un “euroscettico che ritiene che l’Unione Europea dovrebbe limitarsi esclusivamente a garantire la libera circolazione di persone, capitali e beni in un ambito di moneta unica (meglio se regime aureo)”; muove di conseguenza aspre critiche all’assetto istituzionale europeo e ai suoi problemi strutturali, dei quali la moneta unica non fa tuttavia parte. Le difficoltà economiche e sociali che ammorbano l’Eurozona sono infatti ascrivibili alla politica monetaria operata dalla Banca Centrale Europea, oltre che alla pressante regolamentazione che si accompagna al processo di progressiva centralizzazione politica [8]. Quest’ultima viene peraltro sostenuta sia dai “fanatici dell’euro”, sempre pronti a sostenere ogni possibile ampliamento del potere e del centralismo di Bruxelles, sia dai suoi detrattori più accaniti, che la considerano un detonatore che potrebbe rivelarsi fatale per la stessa moneta unica.

mercoledì 5 settembre 2012

Huerta de Soto: un austriaco a difesa dell'euro (parte prima)

di Damiano Mondini



Si tiene in questi giorni a Praga l’annuale seminario della Mont Pèlerin Society, l’organizzazione internazionale fondata da F. A. Hayek nel 1947 con lo scopo di diffondere e difendere i più sinceri ideali liberali [1]. Il 3 settembre è intervenuto l’economista spagnolo di Scuola Austriaca Jesùs Huerta de Soto, con un discorso i cui contenuti sono ampiamente sviluppati in un occasional paper pubblicato da IBL col titolo In difesa dell’Euro: un approccio austriaco. Chi scrive ha dato una lettura abbastanza approfondita al testo, e intende svilupparne in questa sede una ragionata – e si spera anche sensata – analisi sintetica. Premetto fin da subito di condividere ogni riga scritta da Huerta de Soto, le cui lezioni di Economia Politica sono peraltro brillantemente riportate nel libro a Scuola di Economia, a cura di Francesco Carbone ed edito da USEMLAB. Il sottotitolo del testo illustra una parte integrante delle tesi argomentate dall’autore: Con una critica agli errori della BCE e all’interventismo di Bruxelles. In effetti, l’intervento si articola in una difesa “congiunturale” dell’Euro, in una critica dei suoi detrattori d’ogni sorta e della politica economica e monetaria posta in essere dalla Banca Centrale Europea. Vediamone i principali step: