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lunedì 22 ottobre 2012

L'annosa questione del valore: la controrivoluzione classica

di Damiano Mondini


Una rinascita tomista. Accanto all’avanzata elaborazione di Olivi, nel Medioevo era stato tuttavia presente un indirizzo teorico volto alla ricerca del cosiddetto “giusto prezzo”, determinato esclusivamente dai costi di produzione del bene. Un netto superamento di questa teoria – una variante della quale darà in seguito il alla teoria del valore-lavoro – si trova nella speculazione della Scuola di Salamanca (XVII secolo), e in modo particolare nel pensiero del domenicano Doctor Navarrus e del gesuita Luis de Molina. Navarrus, interessato agli effetti dell’arrivo di metalli preziosi dalle Americhe, rileva come nei paesi dove il metallo è scarso il prezzo sia più elevato rispetto a dove esso è più abbondante. Ne deduce correttamente che parte del valore del metallo prezioso derivi di necessità dal suo grado più o meno elevato di scarsità; su queste basi fonderà una embrionale teoria quantitativa della moneta, ma questo esula dal nostro excursus sul valore. De Molina ha il merito di aver trattato diffusamente una teoria soggettiva del valore e del prezzo, sostenendo che l’utilità di un bene varia da persona a persona, e che dunque il “giusto prezzo” viene determinato dalle interazioni commerciali, al netto delle distorsioni monopolistiche, delle violazioni di proprietà e degli interventi governativi. Se pure è vero che la Scuola di Salamanca non ha poi sviluppato queste intuizioni in modo sistematico, le va riconosciuto il merito di aver ampiamente anticipato, e non solo in questo ambito, alcune delle principali conclusioni della Scuola Austriaca.