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mercoledì 5 dicembre 2012

Un «Sì» che ci fa male

di Michele Andreoletti*
È proprio vero che a volte sono le parole più semplici, quelle che sembrano più innocue, quelle che usiamo tutti i giorni a nascondere i più orrendi misfatti, a generare le conseguenze più gravi. E purtroppo molte, troppe volte queste parole si pronunciano con una noncuranza e ingenuità che definire criminale è sinceramente un eufemismo. E così, anche un semplicissimo «sì» può diventare qualcosa di mostruoso. Esattamente come il sì pronunciato appena pochi giorni fa, davanti all'assemblea generale delle Nazioni Unite, da 138 dei 193 paesi membri che hanno riconosciuto ufficialmente la Palestina come stato, facendola entrare nel consorzio internazionale.
La cosa che lascia tuttavia maggiormente disorientati non è tanto che il parere favorevole alla risoluzione ONU sia stato dato da paesi, come quelli facenti parte del blocco arabo, che certamente non sono mai stati grandi estimatori di Israele; sorprende piuttosto che abbiano dato il nulla osta anche degli alleati storici dello stato ebraico, tra cui gran parte dei paesi UE come Francia, Spagna, e in particolare l'Italia, in netto contrasto con Usa, Regno Unito e Germania. Che questo «sì» sia stato un errore strategico madornale commesso dalle nazioni occidentali è abbastanza facile da dimostrare. L'entrata della Palestina nell'ONU avrà a medio e lungo termine non solo una funzione pro-palestinese, ma anche e sopratutto un effetto anti-israeliano.

domenica 2 dicembre 2012

The Liberty Bell: 31 giorni dopo...

di Paolo Amighetti

Da noi, qualche tempo fa, la nebbia era piuttosto fitta. Ma altrove si intravedeva già qualche raggio di sole. In Catalogna, per esempio, c'erano in ballo le elezioni: facile prevedere come sarebbe andata a finire, sulla scorta di quanto era appena successo nei Paesi Baschi. Mi unii al coro dei pronostici che davano gli indipendentisti per vincitori: non sbagliai, ma che in Catalogna la «febbre di libertà» aumenti di mese in mese lo sanno anche i politici romani. Ora che in Generalitat dominano i secessionisti (occupano 87 seggi su 135), bisogna che venga approvato ed indetto, questo referendum per l'indipendenza. La palla potrà così passare al parlamento madrileno, e poi a sua maestà Juan Carlos. La strada è lunghissima, più impervia di quanto si possa credere pensando alle belle immagini della manifestazione di Barcellona. Ma la direzione è quella giusta.

Il mese scorso si discuteva anche della situazione in Veneto, delle solite beghe dei venetisti, delle mosse future di Diritto di Voto. Mi chiedevo cosa sarebbe successo, ed in breve è andata così: il 28 novembre il consiglio regionale ha discusso e approvato la «risoluzione 44» proposta da Indipendenza Veneta, che spiana la strada ad un percorso legale perché i veneti decidano, di fatto, del loro futuro. Un piccolo grande passo che alcuni hanno giudicato sovversivo ed altri troppo timido. Insomma, sembra abbia scontentato proprio tutti. Che molti politici avrebbero fatto spallucce era scontato.

domenica 18 novembre 2012

Teheran contro Israele: «Serve azione di rappresaglia»

di Paolo Amighetti

In Medio Oriente tira una brutta aria, oggi più che mai. All'eterna faida arabo-israeliana, infatti si sovrappongono in questi mesi l'instabilità politica dei Paesi del Magreb e le ambizioni espansionistiche di Teheran. Tra Hamas e Israele lo scontro prosegue e aumenta di intensità, come prova la brusca interruzione, pochi giorni fa, della tregua proposta da Gerusalemme. I raid su Gaza si susseguono ai lanci di missili sulle città israeliane: e non sono da escludere operazioni terrestri.
Più in generale, l'equilibrio delle forze in campo sembra mutato, a tutto danno di Israele: Mubarak, da sempre filo-occidentale, è stato spazzato via dalla «primavera araba» che ha dato voce e forza a molte organizzazioni islamiste come i Fratelli Musulmani (da una cui costola nacque Hamas).

venerdì 16 novembre 2012

Razzi su Tel Aviv

di Paolo Amighetti
Sibilano missili nel cielo di Tel Aviv. Partono da Gaza, e a lanciarli è Hamas. Le agenzie di stampa di tutto il mondo seguono il susseguirsi degli eventi: la «tregua» indetta in occasione della visita del premier egiziano in Israele è dunque sfumata. Come al solito, è difficile ricostruire gli eventi e individuare chi attacca e chi si difende: il caso di oggi è solo un pezzo del complicatissimo puzzle arabo-israeliano, nel quale è difficile raccapezzarsi. Pare, comunque, che Israele abbia risposto agli attacchi a Beer Sheva e Ashqelon con dei raid su Gaza; e che Hamas abbia deciso di ripagare Tel Aviv della stessa moneta. Se il 14 si parlava di «venti di guerra» oggi si sa che Israele ha mobilitato 16000 riservisti, tra fanti e unità del genio.