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mercoledì 27 febbraio 2013

Il vero Lincoln e le bugie di Spielberg (parte seconda)

di Damiano Mondini


The real Lincoln: l’ Unione über alles
Nel marzo del 1850, a pochi giorni dalla propria morte, il grande statista e pensatore del South Carolina John C. Calhoun scriveva quanto segue ad un amico:
L’Unione è destinata ad essere dissolta, i segnali sono evidenti. […] [Non è più possibile] evitare, o concretamente posporre, la catastrofe. Plausibilmente mi aspetto che ciò accada entro dodici anni o tre mandati presidenziali. […] Il modo in cui succederà non è così chiaro, […] ma con ogni probabilità la detonazione avverrà nel corso di una elezione presidenziale.

martedì 26 febbraio 2013

Il vero Lincoln e le bugie di Spielberg (parte prima)

di Damiano Mondini

Il 24 gennaio è uscito nelle sale italiane il film Lincoln, diretto da Steven Spielberg con Daniel Day-Lewis nel ruolo di protagonista. Come largamente previsto dalla critica, la pellicola ha sbancato il botteghino. Un successo degno del regista, un film in grado di commuovere e di colpire nel profondo. Si tratta di una ricostruzione storica – ancorché hollywoodiana - , che dovrebbe avere fra i suoi primi obiettivi quello di narrare in modo relativamente esaustivo fatti realmente accaduti. E quest’obiettivo è stato completamente mancato: la ricostruzione è ai limiti della “fantastoria”, la partigianeria è stomachevole e indigesta, la prospettiva yankee assurge a voce dominante nel peggior stupro di una realtà drammatica come quella della Guerra civile americana. In questo modo una figura complessa, inquietante  e a tratti mefistofelica come quella del sedicesimo Presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln viene dipinta con toni agiografici e santificatori, coi soliti banali orpelli dell’emancipatore di schiavi, del salvatore della pace e della libertà. Per chi nella pace e nella libertà crede davvero – e proprio per questo non sopporta che la memoria del Vecchio Sud sia infangata dell’ideologia dei vincitori -  è quanto mai cogente rispolverare alcune semplici verità fattuali relative a quel periodo miliare della storia americana che fu la Civil War, disincrostandola dai luoghi comuni, dalle interpretazioni faziose e soprattutto dalle mistificazioni sesquipedali che ne accompagnano le narrazioni più in voga – non ultimo questo ritratto demenziale fornito da Spielberg, anche se invero molti pregiudizi sono divenuti patrimonio comune.

sabato 8 dicembre 2012

Rothbard e la guerra (parte seconda)

di Paolo Amighetti


A prima vista, la posizione libertaria sulla guerra sembra coincidere con quella di un pacifista irriducibile. Le cose sono un po' diverse. Rothbard crede che una «guerra giusta» esista: quella che contrappone gli oppressi all'oppressore, i cittadini all'arroganza del potere.
Il filosofo newyorkese difende il diritto di resistenza fino alle sue estreme conseguenze, quando afferma che «una guerriglia rivoluzionaria può essere più coerente con i principi libertari di qualsiasi guerra tra Stati.»1
Come mai? È presto detto: «Dal momento che i guerriglieri per ottenere la vittoria hanno bisogno del sostegno dei civili, essi debbono, come parte essenziale della loro strategia, salvaguardare la popolazione da qualsiasi violenza e organizzare le loro azioni in modo da colpire solamente l'apparato dello Stato e le sue forze armate. Di conseguenza, la guerriglia possiede l'antica e onorata virtù di bersagliare solo il nemico, risparmiando i civili innocenti.»2
Nel reprimere queste forme di resistenza, lo Stato non può evitare di aggredire sia gli innocenti che gli insorti, dal momento che ogni movimento rivoluzionario di una qualche efficacia è sostenuto spesso da una buona parte della popolazione. «Esso [lo Stato] conta soprattutto su campagne di terrorismo di massa: uccidendo, minacciando e sequestrando i civili.» 3

venerdì 7 dicembre 2012

Rothbard e la guerra (parte prima)

di Paolo Amighetti

La riflessione di Rothbard sulla guerra evolve da due precise premesse.



1) Dato che essa comporta un omicidio di massa, è necessario limitarla perlomeno agli eserciti in lotta, evitando il coinvolgimento dei civili. Rothbard fa riferimento al vecchio diritto internazionale e alle «leggi di guerra», il cui fine era tutelare i diritti dei cittadini.
«Il principio fondamentale di questo codice era che le ostilità tra popoli civili si dovessero limitare alle forze armate effettivamente impegnate... Esso individuava una distinzione tra combattenti e non combattenti, stabilendo che l'unico compito dei combattenti fosse quello di combattersi gli uni con gli altri e che i non combattenti dovessero essere esclusi dall'ambito delle operazioni militari.»1
Gli Stati moderni conducono abitualmente guerre totali considerandosi in lotta non con l'esercito, ma con l'intero popolo «nemico». Da quando poi l'industria ha iniziato a sostenere massicciamente lo sforzo bellico, produzione e combattimento sono diventate due facce della stessa medaglia: tutti si è in guerra, operai nelle fabbriche e soldati al fronte. L'operaio, infatti, produce il fucile e i proiettili che il fante scaricherà sul nemico. La propaganda americana durante la seconda guerra mondiale era molto esplicita: «Ferma questo mostro [la Germania e il Giappone, n.d.A] che non si ferma dinanzi a nulla. Produci il più possibile. Questa è la tua guerra!». I governi colgono due piccioni con una fava: tengono in costante fibrillazione il «fronte interno» agitando lo spauracchio dell'invasore, e spingono i militari a farsi pochi scrupoli per la sorte dei civili del paese nemico.

giovedì 6 dicembre 2012

Sant'Agostino e lo Stato, «nato dal sangue»

di Andrea Fenocchio*
La Chiesa Cattolica, tallonata e minacciata dal marxismo che ormai dominava nella cultura occidentale, si era decisa a portare una ventata di novità con il Concilio Ecumenico Vaticano II. Conseguentemente un padre della Chiesa come sant'Agostino, col suo pessimismo e con la sua «scomoda» visione della religiosità, finì in soffitta. Per parlare della «scomodità» di sant'Agostino un libro non basterebbe e probabilmente nemmeno un'enciclopedia. Ci limiteremo perciò ad alcune considerazioni generali.
Sant'Agostino, innanzitutto, non credeva nella bontà dell'uomo: a causa del peccato originale siamo tutti dannati e solo l'intervento della grazia di Dio può determinare la nostra salvezza. Possiamo comportarci rettamente, fare la carità e andare a messa per le feste comandate, ma se Dio non ci redime con la sua grazia noi siamo tutti pronti per l'inferno. Da questa visione deriva la sua concezione politica illustrata nella Città di Dio («De civitate Dei»).

domenica 18 novembre 2012

Teheran contro Israele: «Serve azione di rappresaglia»

di Paolo Amighetti

In Medio Oriente tira una brutta aria, oggi più che mai. All'eterna faida arabo-israeliana, infatti si sovrappongono in questi mesi l'instabilità politica dei Paesi del Magreb e le ambizioni espansionistiche di Teheran. Tra Hamas e Israele lo scontro prosegue e aumenta di intensità, come prova la brusca interruzione, pochi giorni fa, della tregua proposta da Gerusalemme. I raid su Gaza si susseguono ai lanci di missili sulle città israeliane: e non sono da escludere operazioni terrestri.
Più in generale, l'equilibrio delle forze in campo sembra mutato, a tutto danno di Israele: Mubarak, da sempre filo-occidentale, è stato spazzato via dalla «primavera araba» che ha dato voce e forza a molte organizzazioni islamiste come i Fratelli Musulmani (da una cui costola nacque Hamas).

venerdì 16 novembre 2012

Razzi su Tel Aviv

di Paolo Amighetti
Sibilano missili nel cielo di Tel Aviv. Partono da Gaza, e a lanciarli è Hamas. Le agenzie di stampa di tutto il mondo seguono il susseguirsi degli eventi: la «tregua» indetta in occasione della visita del premier egiziano in Israele è dunque sfumata. Come al solito, è difficile ricostruire gli eventi e individuare chi attacca e chi si difende: il caso di oggi è solo un pezzo del complicatissimo puzzle arabo-israeliano, nel quale è difficile raccapezzarsi. Pare, comunque, che Israele abbia risposto agli attacchi a Beer Sheva e Ashqelon con dei raid su Gaza; e che Hamas abbia deciso di ripagare Tel Aviv della stessa moneta. Se il 14 si parlava di «venti di guerra» oggi si sa che Israele ha mobilitato 16000 riservisti, tra fanti e unità del genio.