lunedì 31 dicembre 2012

Passiamo l'ultimo con Mises

di Damiano Mondini

L'elaborazione teorica delle dottrine e dei programmi deve essere rigorosa, coerente ed esente da contraddizioni. Se però non si riesce a convincere la maggioranza a realizzare pienamente il proprio programma, bisogna accontentarsi di ciò che si può ottenere nelle condizioni oggettive in cui ci si muove.Ho sempre criticato la middle-of-the-road-policy di tutte le varianti dell’interventismo, e credo di aver mostrato che esse finiscono inevitabilmente per sfociare nel socialismo vero e proprio. Ma questo non mi ha impedito di capire benissimo che i rapporti di potere politici possono costringere anche un convinto e coerente difensore del liberalismo a venire a patti temporaneamente con certe misure interventistiche (per esempio, i dazi doganali). Di regola bisogna accontentarsi di scegliere il male minore
Ludwig von Mises, lettera ad Alfred Müller-Armarck, 14 novembre 1961

domenica 30 dicembre 2012

L'ultimatum di Barack


Barack Obama a ruota libera: «Un piano equilibrato che protegga la classe media, tagli le spese in maniera responsabile e chieda ai più ricchi di pagare un po’ di più: questa è la cosa giusta per la nostra economia»*. Se tutto andrà a catafascio, la colpa sarà dei repubblicani: questo il messaggio sotteso. Dato che la spesa pubblica non si può tagliare, l'élite democratica ha pensato bene di seguire l'alto esempio di Hollande, il Krusciov di Rouen. Viva la grande madre Amerika.

*Fonte: http://www.blogtaormina.it/2012/12/30/fiscal-cliff-obama-lancia-lultimatum/140965

venerdì 28 dicembre 2012

2014: la Catalogna intravede l'indipendenza

di Paolo Amighetti

Dallo scorso 19 dicembre, in Catalogna è lecito sognare l'indipendenza. Niente più provocazioni o fantapolitica: raggiunto il «patto di sovranità» tra CiU e Esquerra tutto è possibile. Nella fattispecie, è possibile che la classe politica catalana lavori d'amore e d'accordo per indire un referendum nel 2014.
Che si profila come un annus mirabilis per scozzesi e catalani, anche se molte analisi lasciano intuire che i primi, in larga misura tax-consumers, preferiranno all'indipendenza la comoda redistribuzione inglese. A prescindere dal risultato dei referenda, comunque, in Europa si prenderà atto di un grosso evento: e cioè che a decidere dello status politico di intere aree saranno i cittadini che vi vivono e lavorano, la cui libera scelta le caste governative dovranno rispettare. In attesa di questa rivoluzione, diamo un'occhiata alla situazione catalana per come si presenta oggi.
Da un lato, il «patto di sovranità» ha scalzato dal dibattito politico lo scontro tra destra e sinistra, privilegiando quello tra centro e periferia; che l'iniziativa sia bipartisan testimonia quanto sia ampio il consenso attorno alle tesi indipendentiste. L'intera classe politica catalana è stata costretta a prenderne atto, e a lasciarsi coinvolgere dall'entusiasmo popolare. Dall'altro, a Madrid le forze politiche nazionali sembrano aver siglato un patto silenzioso e nemmeno tanto segreto per ostacolare la Catalogna: nessuno ha interesse a lasciarsi sfuggire il motore dell'economia, l'area più produttiva del Paese, la Lombardia del Mediterraneo.

giovedì 27 dicembre 2012

Gramsci e Turati, due idee di sinistra

di Damiano Mondini

Non credo di poter essere sospettabile di simpatie a sinistra. La cultura della gauche, socialista o comunista che sia, mi è quanto mai estranea, senza che la cosa mi turbi eccessivamente. Nondimeno, anche considerando la naturale antipatia che da liberale provo dinnanzi a questo universo culturale e politico, ritengo sia di fondamentale importanza studiarne i caratteri. A mio avviso, infatti, conoscere il nemico, col suo habitus mentale e la sua forma mentis, è indispensabile per rispondere efficacemente alle sue obiezioni, nonché per rendere evidenti i limiti e le mistificazioni intrinseci alla sua speculazione. Il pensiero socialista ci stimola inoltre a tornare sempre con spirito critico sulle nostre convinzioni liberali, anche solo per corroborarne adeguatamente le fondamenta. Infine, non è da escludersi a priori che i modelli pedagogici degli avversari non possano rivelarsi utili, quando declinati in un’ottica politica differente. Vado ad illustrare ciò che intendo.





martedì 25 dicembre 2012

Un Natale libertario

di Damiano Mondini


Ricordo ancora con tenerezza la lettera che il fanciullo che è in me aveva inviato a Babbo Natale lo scorso anno. Col senno di poi, mancava sia di realismo che di slancio poetico, ma il bello del Natale è a mio avviso quello di trascendere le quotidiane catene che avvolgono la nostra mente; esso ci permette di far volare in pensiero oltre le barriere della realtà quotidiana, ma d’altro canto ci consente pure di sognare cose che altri giudicherebbero banali, dando sfogo ai nostri più profondi desideri, se lo vogliamo. Insomma, il Santo Natale ci rende possibile, almeno nell’onirico vaniloquio, lasciare da parte le regole della pragmatica e della metrica, per far dominare null’altro che le nostre più intime aspirazioni.

lunedì 24 dicembre 2012

La ricerca della felicità

di Luigi Angotzi*


L'istinto dell'uomo, che è stato definito come un animale sociale, è intrinseco alla sua natura ed egli viene indirizzato da questo come una guida che gli suggerisce le decisioni da intraprendere. Tra gli istinti più importanti, se non il più importante essendo la summa di molti altri, c’è l’istinto alla felicità o per meglio dire alla sua ricerca, un cammino [1] interiore che durerà per tutta la vita, e che non smetterà mai di essere percorso. Una ricerca che può essere descritta come un cibo che alimenta l’uomo tenendolo in vita dalla tenera età fino alla vecchiaia e di cui non sarà mai sazio.

Non starò qui però a fare una lista di definizioni su cosa sia la felicità o di come attraverso diverse strade la si possa raggiungere: ognuno è libero di percorrere ogni sentiero, e sono piuttosto la riduzione o la mancanza di libertà che ne ostacolano il cammino ed il raggiungimento finale.

domenica 23 dicembre 2012

The Liberty Bell: cento!

di Paolo Amighetti

Tra la rava e la fava, siamo arrivati all'articolo numero 100. Il cuore del nostro minuscolo blog batte al ritmo di un «pezzo» al giorno: spesso, però, impegni e imprevisti ci obbligano a sospendere le pubblicazioni per riprenderle dopo qualche giorno di stop. Tutto sommato, va bene così.
The Road to Liberty non riempie le nostre giornate: segue la sua vocazione di modesto punto di incontro tra i liberali e libertari più giovani, e non gli si può chiedere di più. Se ne occupa in tutta tranquillità una piccola, laboriosa redazione, che può contare sugli interventi di alcuni collaboratori esterni: il blog, snello e nervoso, resta di sana e robusta Costituzione. Più sana di quella di Benigni, perlomeno.
Negli ultimi mesi abbiamo proseguito a passo sostenuto il cammino iniziato nel settembre di quest'anno: possiamo guardarci alle spalle con un po' di soddisfazione? Soltanto i lettori e i commentatori hanno l'ultima parola: indubbiamente. Ma azzardando un giudizio, dico: ragazzi, ne abbiamo fatta di strada. In centotredici giorni di vita, abbiamo sfornato un centinaio di pezzi; quasi un articolo al giorno. Una bella fatica.
Al di là dei numeri c'è un progresso costante: piano piano, articolo dopo articolo, link dopo link, ci siamo fatti largo nel marasma del web alla ricerca di una nicchia, e ci pare di averla trovata. La nostra pagina Facebook ha più di un centinaio di fan. Molti dei nostri articoli vengono pescati e «rilanciati» dai guru del libertarismo italiano. La redazione collabora con siti di tutto rispetto come La Critica, Diritto di Voto, Movimento Libertario, LibertariaNation, Ludwig von Mises Italia. Pochi giorni fa siamo sbarcati pure su Twitter, desiderosi di ampliare il nostro pubblico e farci conoscere ancora di più. Lentamente, insomma, ci stiamo espandendo in visibilità; speriamo di soddisfare le aspettative dei lettori, giustamente esigenti. Fiduciosi di superare anche quest'impresa, ringraziamo coloro che ci seguono; e auguriamo loro buon Natale e un sereno 2013. Equitalia permettendo.

sabato 22 dicembre 2012

[The Quarrel] Cronaca di un disastro annunciato

di Tommaso Cabrini




Certamente pesa l’effetto dell’efficienza energetica e di un parziale spostamento delle fonti energetiche verso le cosiddette “energie green” ed il metano.

D'altra parte, però, bisogna considerare che negli anni ’60 avvenne il boom economico, quindi cominciarono i grandi consumi di energia elettrica per alimentare l’industria in sviluppo e ci fu l’avvento della motorizzazione di massa, con le famiglie che acquistarono in massa Vespe, Lambrette, 500 e, soprattutto, 600.

Non bisogna dimenticare che siamo una società fondata sul petrolio (si fa tanto parlare di nuove forme energetiche non fossili, ma nessuna fin’ora ha scalzato il vecchio oro nero per economicità e praticità) di conseguenza l'indice dei consumi mette in chiara evidenza l'andamento REALE delle nostre economie.

Le cause di questo calo dei consumi sono ovvie: la crisi economica in atto (che colpisce le famiglie, sia con la diminuzione delle entrate, che con l'aumento delle uscite sotto forma di tasse), si risparmia dove si può, e visti gli enormi aumenti delle accise sui carburanti c’è molto da risparmiare.

venerdì 21 dicembre 2012

Un giorno alla scuola di Stato

di Damiano Mondini

Una lunga assenza per impegni scolastici potrebbe anche dirsi giustificata, nel caso in cui la materia di specie si rivelasse interessante e degna d’essere approfondita. D’altra parte, le premesse v’erano tutte, trattandosi di quella Storia contemporanea la cui conoscenza approfondita considero un imperativo categorico. Nondimeno, va considerata altresì un’ulteriore e non indifferente variabile nella nostra analisi, ovverossia che abbiamo a che fare – ahimè inesorabilmente – con la scuola pubblica italiana. Un sostantivo nobile e due aggettivi macabri che anticipano pienamente la misura di quanto sto per raccontarvi. Non ho intenzione di soffermarmi sul tenore del corso, sull’attendibilità dei manuali o su altri dettagli peraltro sostanziali: me ne manca il tempo, oltre che la forza d’animo. Vorrei limitarmi a riflettere sull’ultima lezione, affidata dal docente in carica ad un collaboratore esterno, presentato all’uditorio come “esperto di globalizzazione”, che risponde al nome di Ferruccio Capelli – o Fessuccio, come direbbe Guglielmo Giannini. Costui è autore di un pamphlet edito da Mimesis e intitolato Indignarsi è giusto. In effetti, com’è mestamente prevedibile, si tratta di una riflessione sulle mobilitazioni di massa del 2011, dalla “primavera araba” agli indignados in Spagna, passando per “Occupy Wall Street” negli Stati Uniti.

giovedì 20 dicembre 2012

[The Quarrel] Perché the Quarrel?

di Tommaso Cabrini

Mi sembrava carino dare una breve spiegazione del nome della rubrica, dopo aver rimandato più volte eccovi qua qualche riga sul perché.



Quarrel in italiano significa quadrello che altro non è che la freccia della balestra.
Perché questo nome? Innanzitutto la balestra fu il meccanismo, per allora molto avanzato, che aiutò il comuni a liberarsi del giogo imperiale. Relativamente più facile da usare dell’arco, era un’arma del popolo. Arma che secondo la leggenda venne usata anche da Guglielmo Tell per uccidere il balivo imperiale, dando il via alla rivolta ed alla costituzione della Confederazione Svizzera.
Il quadrello, inoltre, è assai diverso dalla freccia, è corto, molto pesante e molto potente, esattamente come vuole essere questa rubrica. Infine il quadrello deve il suo nome al fatto di avere una punta con quattro lati, il che provocava ferite difficili da rimarginare.

martedì 18 dicembre 2012

Lettera al governo: Fermate le armi!



di Miki Biasi 


Caro governo,

“noi tutti” ci siamo qui riuniti per farvi una richiesta: dovete impedire, una volta per tutte, l’uso delle armi ai privati cittadini.

Siamo stufi di rivedere sempre le stesse scene.

Non meritiamo di svolgere il nostro mestiere con la tranquillità che dovrebbe essere tipica di ogni lavoro?
Pensate: proprio quando siamo vicinissimi alla raccolta dei frutti del nostro lavoro, questi privati cittadini ci puntano le loro armi contro, trattenendo così i prodotti della nostra attività.
Quindi ribadiamo: è davvero necessario lavorare con l’ansia di essere sparati in qualunque momento?

Per questi motivi, Governo, vi chiediamo di intervenire! E dovete farlo subito! Per il nostro bene.


venerdì 14 dicembre 2012

La filantropia del profitto


Di Stephen J. Dubner e Steven D. Levitt (traduzione e premessa di Tommaso Cabrini)


Da studenti (non pretendiamo di essere denominati nemmeno studiosi) di economia austriaca non ci interessa studiare con grandi formule matematiche l’economia nel suo complesso, azione che non si rivelerebbe altro che una pretesa di conoscenza.
Per questo mi è sembrato interessante proporre un articolo, scritto dagli autori dei libri Freakonomics e SuperFreakonomics, che studia l’azione umana, riducendo al minimo le presunzioni e focalizzandosi sulle scelte dei singoli individui. Con questo pezzo non si intende fare nulla di più che uno spaccato di un settore molto particolare, il no profit.
Naturalmente, come è loro solito, Dubner e Levitt non approcciano in modo tradizionale e banale il problema ma osservano come i metodi tradizionali non si rivelino sempre i migliori.
In particolare in questo articolo viene mostrata l’importanza della concorrenza come motore di sviluppo dell’innovazione. Tramite la concorrenza si possono non solo sviluppare modi diversi per approcciare ad un problema ma anche avere risposte su quali modalità risultino più efficienti e più efficaci.
Altro tema importante sono gli incentivi: le persone rispondono agli incentivi ed agiscono di conseguenza, se gli stimoli che si offrono sono sbagliati o mal calibrati i frutti non arriveranno, oppure saranno risultati opposti a quelli voluti.
Il concetto più importante però compare perfino nel titolo; il profitto, viene ripetuto in Italia, è una cosa quasi sempre negativa, che non porta alcun bene alla società nel suo complesso, al massimo (come sostiene anche la costituzione) può essere distruttivo del “utilità sociale”. Ora tramite lo scritto di Levitt e Dubner il profitto assume una valenza totalmente diversa, la sua vera valenza, cioè di incentivo ad agire e di conferma di raggiungimento dei risultati prefissati.
Naturalmente parliamo di esempi rigorosamente privati, qui il profitto privato è l’incentivo ad agire filantropicamente, in concorrenza con altre organizzazioni che si pongono gli stessi fini ma con mezzi e strutture differenti, dove l’utile (la bottom-line del titolo originale) rappresenta chi ha successo nel raggiungere gli scopi.
In futuro ho intenzione di proporre altre traduzioni degli stessi autori, spero quindi risulti interessante quanto presentato oggi.

giovedì 13 dicembre 2012

[The Quarrel] A volte ritornano

di Tommaso Cabrini

Circa un anno fa Berlusconi ed il suo governo crollavano davanti al disastro più totale.
La maggioranza s’era sfaldata con litigi da assemblea condominiale, nel bilancio pubblico si aprivano voragini sempre più ampie ed i mercati bocciavano il Paese con uno spread galoppante (e tralasciamo gli altri nani e le ballerine). Idee per fronteggiare il disastro: nessuna.
Non restava altro da fare che salire mestamente il colle, cospargersi il capo di cenere e inginocchiarsi davanti a Re Giorgio.

Da quel momento Mr B. si è ritirato dalla vita politica, ha ridotto gli interventi al minimo se non a zero, sembravano ormai gli ultimi giorni di un dittatore sudamericano, nessuno vede più il generalissimo di turno e corre voce che questi sia morto nei modi più fantasiosi.
Tutti parlavano di fine del “berlusconismo”, morte della seconda repubblica, avanti il nuovo, avanti il tecnico bocconiano Mario Monti. Doveva essere una breve transizione, con annesse riforme e salvataggio del Paese, però il nuovo s’è rivelato stantio, la transizione brevissima, le riforme e il salvataggio non sono pervenuti.

mercoledì 12 dicembre 2012

Il consiglio di Pascal ai liberali: siate Bastiat!

di Miki Biasi


Sono parecchi i motivi che impediscono la diffusione del  liberalismo tra la gente. Oggi, ne discutiamo solo uno. Trattasi di un motivo che troppo spesso sottovalutiamo, forse per il suo carattere, per così dire, metodologico.

Mi riferisco al modo di esporre  agli altri e in pubblico le teorie liberali e libertarie.

La scena che si ripropone su forum, blog e video è solitamente la seguente.
Ci sono un liberale e un non-liberale che discutono su un qualsivoglia argomento. Cosa fa solitamente il primo per convincere il secondo ad assumere posizioni liberali sull’argomento in questione?
Tiene (congiuntamente o alternativamente) 2 comportamenti:
1) comincia a dargli del socialista, comunista, nazi fascista e cosi via, aggiungendo che non apprezza le potenzialità della proprietà privata e della libertà;
2)comincia a parlare di diritto naturale e dell’assoluta inviolabilità delle libertà individuali.

Credete che il liberale riuscirà nel suo intento, almeno nell’ 1% dei casi?

martedì 11 dicembre 2012

La secessione è un diritto?


Di David Gordon (traduzione di Tommaso Cabrini)
Grant sconfisse Lee, la Confederazione si sbriciolò, e l’idea di secessione scomparve per sempre, o perlomeno questo è quanto l’opinione comune dice. La secessione non è storicamente irrilevante, semmai, al contrario, l’argomento è parte integrante del liberalismo classico. Anzi, il diritto di secessione deriva a sua volta dai diritti difesi dal liberalismo classico. Come persino gli alunni di Macaulay sanno, il liberalismo classico inizia con il principio di auto-proprietà: ognuno è proprietario del proprio corpo. Inoltre, secondo i liberali classici, da Locke a Rothbard, esiste il diritto di appropriarsi della “cosa di nessuno”.
In questa visione lo Stato occupa un ruolo rigorosamente secondario, questi esiste solamente per proteggere i diritti che gli individui possiedono indipendentemente da esso, e non rappresenta la fonte di tali diritti. Come scrive la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti: “per assicurare tali diritti [alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità], sono stati istituiti tra gli uomini gli stati, derivando i loro legittimi poteri dal consenso dei governati."
Ma cos’ha tutto questo a che fare con la secessione? La connessione è ovvia: se lo Stato non protegge i diritti degli individui allora gli individui possono interrompere la loro fedeltà verso lo Stato, ed una forma che questa interruzione può prendere è la secessione: un gruppo è in grado di rinunciare alla lealtà verso il proprio Stato e formarne uno nuovo. (Non si tratta, ovviamente, dell’unica forma possibile: una fazione può rovesciare il governo invece di ripudiare la sua autorità su di essi.)

sabato 8 dicembre 2012

Rothbard e la guerra (parte seconda)

di Paolo Amighetti


A prima vista, la posizione libertaria sulla guerra sembra coincidere con quella di un pacifista irriducibile. Le cose sono un po' diverse. Rothbard crede che una «guerra giusta» esista: quella che contrappone gli oppressi all'oppressore, i cittadini all'arroganza del potere.
Il filosofo newyorkese difende il diritto di resistenza fino alle sue estreme conseguenze, quando afferma che «una guerriglia rivoluzionaria può essere più coerente con i principi libertari di qualsiasi guerra tra Stati.»1
Come mai? È presto detto: «Dal momento che i guerriglieri per ottenere la vittoria hanno bisogno del sostegno dei civili, essi debbono, come parte essenziale della loro strategia, salvaguardare la popolazione da qualsiasi violenza e organizzare le loro azioni in modo da colpire solamente l'apparato dello Stato e le sue forze armate. Di conseguenza, la guerriglia possiede l'antica e onorata virtù di bersagliare solo il nemico, risparmiando i civili innocenti.»2
Nel reprimere queste forme di resistenza, lo Stato non può evitare di aggredire sia gli innocenti che gli insorti, dal momento che ogni movimento rivoluzionario di una qualche efficacia è sostenuto spesso da una buona parte della popolazione. «Esso [lo Stato] conta soprattutto su campagne di terrorismo di massa: uccidendo, minacciando e sequestrando i civili.» 3

venerdì 7 dicembre 2012

Rothbard e la guerra (parte prima)

di Paolo Amighetti

La riflessione di Rothbard sulla guerra evolve da due precise premesse.



1) Dato che essa comporta un omicidio di massa, è necessario limitarla perlomeno agli eserciti in lotta, evitando il coinvolgimento dei civili. Rothbard fa riferimento al vecchio diritto internazionale e alle «leggi di guerra», il cui fine era tutelare i diritti dei cittadini.
«Il principio fondamentale di questo codice era che le ostilità tra popoli civili si dovessero limitare alle forze armate effettivamente impegnate... Esso individuava una distinzione tra combattenti e non combattenti, stabilendo che l'unico compito dei combattenti fosse quello di combattersi gli uni con gli altri e che i non combattenti dovessero essere esclusi dall'ambito delle operazioni militari.»1
Gli Stati moderni conducono abitualmente guerre totali considerandosi in lotta non con l'esercito, ma con l'intero popolo «nemico». Da quando poi l'industria ha iniziato a sostenere massicciamente lo sforzo bellico, produzione e combattimento sono diventate due facce della stessa medaglia: tutti si è in guerra, operai nelle fabbriche e soldati al fronte. L'operaio, infatti, produce il fucile e i proiettili che il fante scaricherà sul nemico. La propaganda americana durante la seconda guerra mondiale era molto esplicita: «Ferma questo mostro [la Germania e il Giappone, n.d.A] che non si ferma dinanzi a nulla. Produci il più possibile. Questa è la tua guerra!». I governi colgono due piccioni con una fava: tengono in costante fibrillazione il «fronte interno» agitando lo spauracchio dell'invasore, e spingono i militari a farsi pochi scrupoli per la sorte dei civili del paese nemico.

giovedì 6 dicembre 2012

Sant'Agostino e lo Stato, «nato dal sangue»

di Andrea Fenocchio*
La Chiesa Cattolica, tallonata e minacciata dal marxismo che ormai dominava nella cultura occidentale, si era decisa a portare una ventata di novità con il Concilio Ecumenico Vaticano II. Conseguentemente un padre della Chiesa come sant'Agostino, col suo pessimismo e con la sua «scomoda» visione della religiosità, finì in soffitta. Per parlare della «scomodità» di sant'Agostino un libro non basterebbe e probabilmente nemmeno un'enciclopedia. Ci limiteremo perciò ad alcune considerazioni generali.
Sant'Agostino, innanzitutto, non credeva nella bontà dell'uomo: a causa del peccato originale siamo tutti dannati e solo l'intervento della grazia di Dio può determinare la nostra salvezza. Possiamo comportarci rettamente, fare la carità e andare a messa per le feste comandate, ma se Dio non ci redime con la sua grazia noi siamo tutti pronti per l'inferno. Da questa visione deriva la sua concezione politica illustrata nella Città di Dio («De civitate Dei»).

mercoledì 5 dicembre 2012

Un «Sì» che ci fa male

di Michele Andreoletti*
È proprio vero che a volte sono le parole più semplici, quelle che sembrano più innocue, quelle che usiamo tutti i giorni a nascondere i più orrendi misfatti, a generare le conseguenze più gravi. E purtroppo molte, troppe volte queste parole si pronunciano con una noncuranza e ingenuità che definire criminale è sinceramente un eufemismo. E così, anche un semplicissimo «sì» può diventare qualcosa di mostruoso. Esattamente come il sì pronunciato appena pochi giorni fa, davanti all'assemblea generale delle Nazioni Unite, da 138 dei 193 paesi membri che hanno riconosciuto ufficialmente la Palestina come stato, facendola entrare nel consorzio internazionale.
La cosa che lascia tuttavia maggiormente disorientati non è tanto che il parere favorevole alla risoluzione ONU sia stato dato da paesi, come quelli facenti parte del blocco arabo, che certamente non sono mai stati grandi estimatori di Israele; sorprende piuttosto che abbiano dato il nulla osta anche degli alleati storici dello stato ebraico, tra cui gran parte dei paesi UE come Francia, Spagna, e in particolare l'Italia, in netto contrasto con Usa, Regno Unito e Germania. Che questo «sì» sia stato un errore strategico madornale commesso dalle nazioni occidentali è abbastanza facile da dimostrare. L'entrata della Palestina nell'ONU avrà a medio e lungo termine non solo una funzione pro-palestinese, ma anche e sopratutto un effetto anti-israeliano.

martedì 4 dicembre 2012

L'alba della stessa era

di Damiano Mondini
La vittoria di Pierluigi Bersani era tutto sommato prevedibile, anche se certamente non ci si aspettava un risultato così inequivocabile: il 60,8% degli elettori del centrosinistra ha convenuto di affidarsi all’ “usato sicuro”, mentre soltanto uno sconsolante 39,2% ha tentato di deviare verso nuovi orizzonti. Nuovi, si fa per dire: si è già avuta occasione di rilevare quanto poco credibile fosse la scelta fra due alternative tanto distanti nella forma quanto simili nella sostanza. Ed è quest’ultima che conta, che fa la differenza, che determina l’apprezzabilità o meno di un soggetto politico. Matteo Renzi è stato – o è, se preferite non azzardare ancora giudizi terminali sulla sua parabola – senza dubbio un ottimo contenitore, l’utile packaging mediante cui veicolare idee e propositi variegati e più o meno condivisibili. Al di là dei propositi utopistici, era quanto di più moderno e rinfrescante potesse emergere dalle fila stantie del Partito Democratico; l’opzione più liberista che potesse fornire uno schieramento storicamente orientato su posizioni stataliste, welfariste o keynesiane che dir si voglia – sia detto per inciso, non si tratta certo di sinonimi, ma il disordine lessicale dei progressive ci consente di confonderli senza tema alcuna. Non è per coerente e ponderato appoggio alle sue svariate proposte che numerosi libertari – repetita iuvant, me compreso – hanno scelto di appoggiarlo tanto al primo quanto a ragion veduta al secondo turno delle primarie.

lunedì 3 dicembre 2012

Curva di Laffer: campana del socialismo

di Tommaso Cabrini




La Curva di Laffer (da Arthur Laffer, il suo creatore) è una famosissima parabola che lega tra loro il gettito fiscale e l’aliquota applicata alla popolazione.
La funzione ad aliquota 0%, chiaramente, è a livello zero, così come ad una tassazione del 100%: nessuno infatti si darebbe da fare per produrre reddito se questo gli fosse interamente sottratto.
L’idea è molto semplice, all’aumentare dell’aliquota aumenta il gettito, ma marginalmente sempre più lentamente, poiché nuove imposte deprimono l’economia, finchè al punto t* raggiunge il massimo, dopodiché l’effetto scoraggiante sorpassa l’effetto dell’aumento di aliquota e il gettito decresce.
Chiariamo un punto, la Curva di Laffer prende in considerazione solamente l’effetto deprimente sull’economia e non un grande convitato della tassazione: l’evasione fiscale. Tale variabile potrebbe (ed in effetti lo fa, come da recenti studi) modificare la forma della curva.
Tutto molto semplice, geniale ed intuitivo, tant’è che, si dice, Laffer la spiegò a Reagan durante un pranzo disegnando la curva su un tovagliolino di carta e nessun politico ebbe problemi a capirla.

Ma questa teoria lascia numerosi dubbi.

domenica 2 dicembre 2012

The Liberty Bell: 31 giorni dopo...

di Paolo Amighetti

Da noi, qualche tempo fa, la nebbia era piuttosto fitta. Ma altrove si intravedeva già qualche raggio di sole. In Catalogna, per esempio, c'erano in ballo le elezioni: facile prevedere come sarebbe andata a finire, sulla scorta di quanto era appena successo nei Paesi Baschi. Mi unii al coro dei pronostici che davano gli indipendentisti per vincitori: non sbagliai, ma che in Catalogna la «febbre di libertà» aumenti di mese in mese lo sanno anche i politici romani. Ora che in Generalitat dominano i secessionisti (occupano 87 seggi su 135), bisogna che venga approvato ed indetto, questo referendum per l'indipendenza. La palla potrà così passare al parlamento madrileno, e poi a sua maestà Juan Carlos. La strada è lunghissima, più impervia di quanto si possa credere pensando alle belle immagini della manifestazione di Barcellona. Ma la direzione è quella giusta.

Il mese scorso si discuteva anche della situazione in Veneto, delle solite beghe dei venetisti, delle mosse future di Diritto di Voto. Mi chiedevo cosa sarebbe successo, ed in breve è andata così: il 28 novembre il consiglio regionale ha discusso e approvato la «risoluzione 44» proposta da Indipendenza Veneta, che spiana la strada ad un percorso legale perché i veneti decidano, di fatto, del loro futuro. Un piccolo grande passo che alcuni hanno giudicato sovversivo ed altri troppo timido. Insomma, sembra abbia scontentato proprio tutti. Che molti politici avrebbero fatto spallucce era scontato.

sabato 1 dicembre 2012

[The Quarrel] NON COERENTE

di Tommaso Cabrini

Le esternazioni di Befera (nostrana versione dello Sceriffo di Nottingham) in merito al risultato delle prove effettuate col cosiddetto redditest che evidenzierebbero il 20% dei contribuenti come “non coerente” lasciano parecchi dubbi.
Innanzitutto uno strumento che rileva il 20% delle famiglie come sospette che utilità può mai avere? Parliamo di più di quattro milioni di famiglie, come può essere possibile controllarle tutte? O anche controllarne solo una quota significativa. Per assurdo se il redditometro avesse rivelato come non coerente il 100% delle famiglie avrebbe individuato tutti gli evasori, ma che utilità avrebbe? Assolutamente nessuna.

Quindi a che pro fare questi annunci roboanti, stile proclama imperiale con tanto di banditori e tamburini?