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venerdì 19 aprile 2013

Nota Politica del 19/04/2013 "La democrazia immobile"

 Il controsenso italiano

di Luigi Angotzi



Sono passati più di cinquanta giorni da quando gli elettori italiani sono stati chiamati alle urne per le elezioni politiche nazionali.
Non si è ancora arrivati al record storico del Governo Amato I , ben 82 giorni, ma poco ci manca, infatti il teatrino della politica la tirerà ancora per le lunghe visto il momento di particolare impasse istituzionale.
Inoltre ad allungare ulteriormente i tempi ci si metterà di mezzo anche l'elezione del Presidente della Repubblica, e questo significa che nemmeno per fine Aprile si avrà un nuovo esecutivo.

Appare quindi strano come sia possibile che gli elettori, ancora una volta, diano fiducia alla politica affinché questa risolva i problemi che essa stessa ha prodotto, un vero controsenso.

L’attuale classe politica si sente impunita e senza vergogna pensa esclusivamente a fare i propri interessi cercando il solo scopo di perdurare nel tempo.
Quotidianamente gli elettori assistono attoniti a questo spettacolo indecoroso, che vede nella politica e più in generale nel sistema Stato i principali protagonisti di questa tragedia nazionale a cui hanno dato il nome di crisi economica in modo da far ricadere le colpe su altri soggetti.

sabato 9 marzo 2013

The Liberty Bell: recessione o secessione

di Paolo Amighetti
 
L'inverno volge al termine, la natura comincia a sciogliersi dalla morsa del freddo, gli alberi presto torneranno a fiorire. Ma sul versante politico imperversa ancora la bufera. Il febbraio decisivo delle elezioni ha tradito ogni aspettativa: tanto per cominciare le consultazioni non hanno decretato un risultato definito e definitivo, limitandosi a frazionare il voto in tre blocchi, di cui quello più sorridente è oggi il Movimento 5 Stelle. Non tanto per una questione di numeri, quanto perché ha rosicchiato voti di qua e di là, ed è l'unica forza politica in grado di dettare legge a tutte le altre. Dietro al duo Grillo-Casaleggio rumoreggia una folla di fedeli decisi a rivoluzionare la politica italiana. Seguono come pecore i loro pastori: e se Beppe dichiara che non tollererà opposizioni in Parlamento, e che spera che i cittadini diventino lo Stato, è lecito preoccuparsi. Il successo dei cinquestelle è fragoroso quanto il flop di FARE. Il movimento è stato azzoppato prima dalle imperdonabili gaffes del suo eccentrico leader, e poi dall'indifferenza dell'elettorato, certamente influenzato dalle lauree (inesistenti) e dal master (immaginario) esibiti da Oscar Giannino. Costretto dalla forza delle cose alle dimissioni, il giornalista torinese ha abbandonato la sua nave in gran tempesta, cosicché ora FARE sembra sull'orlo dello squagliamento.

giovedì 7 marzo 2013

Grillo: «Maggioranza assoluta in Parlamento!»

di Paolo Amighetti

Che fenomeno, Beppe Grillo. Una ne fa, cento ne pensa e un'altra ne dice. Per poi contraddirsi. I media, secondo il guru genovese, non fanno che
«sputtanare il suo movimento»: sono infatti in pugno ai partiti, che soffrono delle picconate che il grillismo ha dato loro e tremano all'idea di buscarne di nuove. Il leader a cinque stelle è abituato a parlar chiaro, come si sa. Ma quest'oggi ha rilasciato dichiarazioni forti al Time*: tanto forti che stavolta non sembra ci sia esagerazione giornalistica che tenga. «L'Italia è divisa in due. Quelli che hanno votato per i partiti di sempre, che non vogliono cambiare le cose. Gente che gode di ricche pensioni. [...] Abbiamo 4 milioni di impiegati statali e 18 milioni di pensionati: non tutti loro, ma una larghissima parte non vuole il cambiamento perché questo comprometterebbe la loro sopravvivenza. Lo Stato gliela garantisce.» Come se i cinquestelle fossero in maggioranza imprenditori e produttori, quando al contrario il nerbo dell'elettorato grillino è costituito da una gioventù ideologizzata che sogna (come tutte le gioventù dal Sessantotto in poi) una rivoluzione all'insegna della decrescita e dello sviluppo sostenibile. Come se il grillismo cercasse di azzoppare l'apparato parassitario, quando è da tempo che i suoi parlamentari ventilano la proposta di dare mille euro al mese a tutti i giovani disoccupati.

giovedì 28 febbraio 2013

Se Grillo è il nuovo, ridateci il vecchio!

di Paolo Amighetti

Ha vinto Grillo. Ora che il suo movimento è l'ago della bilancia della politica italiana, gli auguriamo che sappia trasformare in fatti le promesse: che, dopo aver messo al tappeto la Casta, la seppellisca e buonanotte suonatori. Questo è pressappoco quello che scriverei se il recentissimo, strabiliante successo dei grillini lasciasse sperare in una ristrutturazione (e non in una riverniciatura) del sistema politico. Purtroppo, la sensazione prevalente è di essere passati dalla padella alla brace. Straordinario. Possibile che ci tocchi rimpiangere i teatranti sul viale del tramonto? Berlusconi, Bersani, Fini, Casini: tutti sono stati più o meno ridimensionati da queste elezioni. Con loro muoiono gli ultimi vent'anni di storia italiana. La loro, ormai, è la vecchia politica. La nuova è quella che si fa nelle piazze e sul blog di Beppe Grillo, dove si dà sfogo agli umori più neri dell'invidia sociale, del delirio ambientalista, dello spasimo tipico dei «rottamatori». Grillo ha fatto man bassa dei voti di tutti: ha svuotato l'Idv, il partitino di Ingroia, ha azzoppato il Pd e indebolito Lega e Pdl. Nei suoi ranghi si distinguono elettori di ogni idea e condizione: giovani dell'estrema sinistra, nostalgici del Duce, casalinghe stufe del centrodestra e del centrosinistra, pirati del web, giornalisti antifascisti, intellettuali di regime. Le idee vaghe hanno sempre un futuro, diceva un giornalista.

domenica 24 febbraio 2013

Ansie (?) elettorali

di Paolo Amighetti

«Rinnovare i due rami del Parlamento» non è mai stato così difficile. Troppe liste troppo simili, troppe sigle e nomi fastidiosi (come si fa a dire: «ho votato Ingroia?» Il suono, Ingroia, è sgradevolissimo). Schede di dimensioni strabilianti, procedure intricate tra voti disgiunti, Politiche, Camera e Senato, Regionali. Un macello. Nemmeno questo, però, mortifica l'entusiasmo dell'elettore. Il buon cittadino va alle urne anche sotto la neve e la pioggia, perché è risaputo: votare è «un diritto e un dovere civico». Noi di The Road to Liberty non siamo buoni cittadini, non pensiamo affatto che votare sia un «dovere», ma questo non significa che nel nostro gruppo ci sia la dittatura: vige anzi la piena libertà di coscienza e di incoscienza. Pertanto, qualcuno di noi voterà, qualcuno l'ha già fatto, qualcuno eviterà. Come blog ci siamo schierati: stiamo dalla parte di Marco Bassani e quindi, indirettamente, di FARE per Fermare il Declino. Ma in cabina elettorale ognun per sé e Dio (che ci vede!) per tutti. In queste ore in cui la febbre elettorale si coniuga alla smania calcistica, attendiamo il responso delle urne senza troppo entusiasmo. Andrà male, perché «bene» non può andare. Speriamo almeno di avere qualcosa di cui rallegrarci mercoledì. Incrociamo le dita...

sabato 23 febbraio 2013

Chi votare? Chi si impegna contro tasse e spesa!

di Nicolò Petrali*




Riceviamo e pubblichiamo con piacere questo contributo di un caro amico nostro e della Libertà, Nicolò Petrali, che riflette sul voto di domani, illustrando un'interessante iniziativa del movimento anti-tasse Tea Party Italia, che da tempo questo blog sostiene con forza e convinzione.

Ci siamo. L’appuntamento elettorale è finalmente (o purtroppo!) arrivato e gli ultimi indecisi stanno navigando in rete e chiedendo consigli ad amici e parenti per scegliere su quale simbolo mettere la croce domani. 

L’astensionismo sarà quasi certamente il primo partito, ma per quelli che, nonostante tutto, si recheranno alle urne, è giusto fornire fino all’ultimo degli spunti sperando che il loro voto diventi davvero consapevole.

sabato 16 febbraio 2013

Giannino, tormento del Cavaliere

di Paolo Amighetti
Chi è, oggi, il nemico numero uno di Silvio Berlusconi, l'uomo che più irrita il Cavaliere? Non è Bersani. L'affabile emiliano recita il suo copione di leader del centrosinistra, dal quale non ci si aspettano baci né carezze. Sarebbe strano il contrario. Non è nemmeno Monti. Berlusconi ha ribadito un giorno sì e l'altro pure che il centrodestra ha sostenuto il professore ma ha preso un grosso abbaglio, al quale rimedierà in caso di vittoria il 24-25 febbraio: la questione, tutto sommato, è morta lì. Non è Vendola, né Ingroia, né Grillo. I primi due sono pesci piccoli, il comico genovese è più probabile tolga voti alla sinistra che agli aficionados di Silvio. Chi manda in bestia l'ottimista ex-premier è Oscar Giannino, capo di un partito modesto con modeste aspirazioni e poco seguito. Perché mai? Per vari motivi. Tanto per cominciare, gli uomini si somigliano poco. Berlusconi è irriverente, colorito e volgare come Giannino è ironico, sottile e (di solito) cortese. L'uno vende prodotti scadenti che piacciono al grande pubblico, l'altro parla quasi «che non si capisce» a furia di lanciarsi in analisi squisitamente economiche. L'uno cerca di sembrare giovane e giovanile, l'altro sembra sbucato da un salotto di fine Ottocento. Due figure incompatibili, condannate all'antipatia da quando Giannino si è deciso a «scendere in campo» per sparare a zero sugli ultimi diciotto anni di delusioni berlusconiane.

venerdì 1 febbraio 2013

The Liberty Bell: che vinca il peggiore! O no?

di Paolo Amighetti

Questi sono i giorni «della merla». I più freddi dell'anno, secondo la tradizione e il termometro: raro caso in cui la scienza più moderna e il vecchio bagaglio delle credenze popolari vanno a braccetto. Purtroppo, non c'è che la politica a scaldare queste mattine invernali: le elezioni sono vicinissime, manca ormai pochissimo al 24-25 febbraio. Una due giorni rovente alla quale ci avviciniamo con un sacco di indifferenza ma anche, udite udite, con un pizzico di speranza. Non ci sono in ballo soltanto le Politiche, stavolta: in Lombardia si vota pure per le Regionali. Dunque, la posta è un po' più alta del solito. Digerito l'amaro boccone della bocciatura di Forza Evasori, speriamo che questa campagna elettorale scialba e monotona (l'ultima veramente avvincente, dopotutto, fu nel 1948: «Nel segreto della cabina elettorale, Dio ti vede, e Stalin no!») si avvii alla conclusione, e che vinca il peggiore. Ce ne faremo una ragione, come sempre. Ma stavolta forse, ed ecco la ragione della scintilla d'entusiasmo, dopotutto c'è un «migliore», uno per la cui vittoria si possono incrociare le dita: si chiama Marco Bassani, è una delle punte di diamante del libertarismo italiano e si candida per le regionali in Lombardia nelle liste del movimento di Giannino, Fare per Fermare il Declino. Vi diremo perché abbiamo intenzione di sostenerlo, e vi inviteremo a farlo a vostra volta: in alternativa vi proporremo una sana astensione, per chi non volesse diventare ingranaggio della macchina democratica verso la quale, sia chiaro, siamo sempre diffidenti. Sullo sfondo, campeggiano le rivoluzioni regionaliste di cui vi parliamo ogni mese: quella scozzese, quella catalana e quella veneta. Votare Bassani vuol dire sostenere e far scoppiare, al più presto, quella lombarda: per questo il 24 e il 25 di questo mese potremmo pure evitare di turarci il naso.

sabato 26 gennaio 2013

Cronaca da Bologna: assemblea di Forza Evasori

di Tommaso Cabrini


10.40 inizia l'assemblea, presenti circa una trentina di persone

10.42 prende la parola Giorgio Fidenato

10.45 l'intervento di Fidenato inizia con autocritica e preoccupazione, dispiaciuto per la scarsa partecipazione anche al Movimento Libertario, con la fuga di molti partecipanti verso Fermare il Declino

10.52 "se qualcuno non ci mette anima e corpo, non è disposto a seguire, a viaggiare e anche a mettere i soldi in quello in cui crede, non ci interessa. Chi vuole trova il tempo."

domenica 20 gennaio 2013

Partiti personali? Il male minore

di Paolo Amighetti
Stamattina, il Giornale di Brescia si è affidato alla penna di Roberto Chiarini per un giudizio tagliente sui cosiddetti «partiti personali». Il sunto del fondo, che riprende una recente affermazione di Bersani, è pressappoco questo: la democrazia italiana è in fin di vita a causa dei leader che fondano un partito a loro immagine e somiglianza. Chi costituisce un gruppo o un movimento per diventarne l'unico simbolo, l'unica bandiera, ha la colpa di tutto. Scrive Chiarini: «A lungo da noi si è opposta una strenua, cieca resistenza ad ogni forma di personalizzazione della politica. Non si voleva prendere atto che sono finiti i tempi dei cosiddetti "partiti chiesa". Questi avranno anche avuto il loro papa ma si reggevano pur tuttavia su una schiera nutrita di officianti e soprattutto su una sterminata massa di fedeli. Con la fine delle ideologie, il trionfo dell'individualismo e il passaggio ad una comunicazione politica dominata dal mezzo televisivo si è consumata una rivoluzione nel modo d'essere dei partiti: la loro causa si è identificata praticamente solo con una faccia, mentre il loro corpo si è enormemente smagrito e svigorito finendo quasi a scomparire.» Ohibò. Dunque, dopo la sepoltura della «prima repubblica», dopo la morte del pentapartito e della partitocrazia vecchio stampo, dopo una mezza rivoluzione non riusciamo a chiedere di meglio che il ritorno agli apparati elefantiaci, all'onnipotenza delle segreterie? Non ci eravamo stufati dei «partiti chiesa»? Non ci davano ormai fastidio le liturgie, i sermoni, i paramenti dell'ideologia?

mercoledì 16 gennaio 2013

In difesa di Forza Evasori, in difesa della Libertà

di Tommaso Cabrini

“Il ministero in merito al presente contrassegno ha rilevato che in esso sono presenti espressioni letterali quali STATO LADRO e FORZA EVASORI che possono integrare fattispecie, anche penalmente rilevanti, di vilipendio dello stato e delle istituzioni e di istigazione a delinquere (artt. 290 e 414 del cc)” (motivazioni con le quali il Ministero ha bocciato il contrassegno di Forza Evasori)

martedì 15 gennaio 2013

Vietato votare? Il Viminale boccia Forza Evasori

di Paolo Amighetti

I partiti affollano l'Italia. Sigle, loghi, slogan a non finire. Dai due mastodonti di centro-destra e centro-sinistra alle liste più sgangherate, dal Partito Democratico a Forza Lazio: c'è di tutto. Nel 1992, Bettino Craxi esordiva nel suo appello agli elettori constatando che

«un numero così grande di liste non si vede neppure al Carnevale di Rio; un numero così grande di guaritori, di medicastri, di salvatori della patria non si leva neppure nei Paesi del Terzo mondo. E noi siamo invece una grande nazione che deve dare al mondo l'immagine di una democrazia stabile, affidabile, governabile.» Cosa intendeva Ghigno di Tacco? Che troppe liste danneggiavano l'immagine dell'Italia, e che bisognava votare soltanto i partiti di governo, solidi, anziani, inamovibili. Dopo la bufera-Tangentopoli si cercò di arrivare ad un bipolarismo spietato, all'americana, anche perché con il maggioritario appena approvato non c'era altra scelta. Macché. Morta la Balena bianca DC, ebbe campo libero il merluzzo del CDU, l'odierna UDC. La sinistra si frazionò in vari gruppuscoli, così come la destra di Alleanza Nazionale; e anche la Lega con i suoi valzer scombussolava i giochi. Ma veniamo a noi: dopo il lungo duello tra i post-comunisti e Berlusconi, dopo il rigor Montis, si sono candidate alle elezioni di febbraio qualcosa come duecento liste. Il Viminale, data un'occhiata al mucchio per una salubre e arbitraria scrematura, ne ha ammesse soltanto centosettanta: e così Forza Evasori, la provocatoria formazione di Leonardo Facco e Giorgio Fidenato, non ha ottenuto il via libera.

domenica 13 gennaio 2013

Intervista esclusiva a Leonardo Facco

di Redazione

Leonardo Facco è uno dei più accesi nemici dello Stato ladro. La sua battaglia ha avuto inizio molti anni fa: all'epoca i libertari si contavano sulle dita di una mano. Pur di delegittimare i padroni del fumo, ha seguito svariate strategie e sfruttato i mezzi più disparati. Negli anni Novanta, quando la secessione sembrava imminente, è stato redattore de La Padania; in occasione delle elezioni padane del 1997 ha contribuito all'allestimento di Padania Liberale e Libertaria; ha diretto dal 1998 al 2011 la prima rivista libertaria in Italia, Enclave; ha dato vita alla Leonardo Facco Editore, casa editrice impegnata nella divulgazione di molti autori liberali e libertarian; ha fondato nel 2007 il Movimento Libertario, che sfida apertamente la regolamentazione sugli OGM e il sostituto d'imposta a fianco di imprenditori coraggiosi come Giorgio Fidenato; ha scritto libri taglienti e documentati come Elogio dell'evasore fiscale, Umberto Magno e Elogio dell'antipolitica; ha calcato i palcoscenici ribadendo che le tasse sono un furto con lo spettacolo Le tasse sono una cosa bellissima (così ci dicono); nel gennaio del 2012 ha dato un contributo decisivo alla fondazione del giornale online L'Indipendenza, che difende ad oltranza il diritto delle comunità all'autodeterminazione. Pochi mesi orsono, colpo di scena: ha annunciato che parteciperà alle elezioni del 24 e 25 febbraio assieme ad un manipolo di fedelissimi, anche se non si candiderà personalmente. Il nome del nuovo partito è tutto un programma: Forza Evasori. Il candidato premier sarà Giorgio Fidenato. Incuriosita, la redazione ha insistito per saperne di più.

domenica 6 gennaio 2013

Monti «sale in campo»

di Paolo Amighetti


E così, il Verbo si è fatto carne. Mario Monti scende (anzi, sale) in politica, con tanto di simbolo elettorale e liste in via di allestimento. Guiderà Scelta Civica: con Monti per l'Italia, una curiosa DC in sedicesimo, alla testa della quale si propone di raccogliere i voti dei cosiddetti moderati.
Il suo ruolo è quello del leader dimesso, buttato nella mischia dalle circostanze, che controvoglia deve salvare capra e cavoli. Secondo il professore, la situazione politica italiana è così caotica che non si può fare a meno di lui: è costretto quindi a presentarsi alle elezioni. Poverino.
Quella dell'«eroe suo malgrado» è una parte che interpreta con disinvoltura, che diede fortuna anche a Berlusconi nel 1994. Nello studio della Gruber Monti ha ammesso che gli sarebbe piaciuto ritirarsi in un aureo riposo da senatore a vita, ma ora che si è posto alla testa dei moderati tirerà dritto. Spalleggiato da chi? Secondo i sondaggi di La7, addirittura dal 25% dell'elettorato. Per ora, il professore ha dalla sua alcuni campioni del riformismo più deciso: gente del calibro di Casini, Fini, Mastella, Pisanu, Buttiglione, La Malfa.



giovedì 27 dicembre 2012

Gramsci e Turati, due idee di sinistra

di Damiano Mondini

Non credo di poter essere sospettabile di simpatie a sinistra. La cultura della gauche, socialista o comunista che sia, mi è quanto mai estranea, senza che la cosa mi turbi eccessivamente. Nondimeno, anche considerando la naturale antipatia che da liberale provo dinnanzi a questo universo culturale e politico, ritengo sia di fondamentale importanza studiarne i caratteri. A mio avviso, infatti, conoscere il nemico, col suo habitus mentale e la sua forma mentis, è indispensabile per rispondere efficacemente alle sue obiezioni, nonché per rendere evidenti i limiti e le mistificazioni intrinseci alla sua speculazione. Il pensiero socialista ci stimola inoltre a tornare sempre con spirito critico sulle nostre convinzioni liberali, anche solo per corroborarne adeguatamente le fondamenta. Infine, non è da escludersi a priori che i modelli pedagogici degli avversari non possano rivelarsi utili, quando declinati in un’ottica politica differente. Vado ad illustrare ciò che intendo.





giovedì 13 dicembre 2012

[The Quarrel] A volte ritornano

di Tommaso Cabrini

Circa un anno fa Berlusconi ed il suo governo crollavano davanti al disastro più totale.
La maggioranza s’era sfaldata con litigi da assemblea condominiale, nel bilancio pubblico si aprivano voragini sempre più ampie ed i mercati bocciavano il Paese con uno spread galoppante (e tralasciamo gli altri nani e le ballerine). Idee per fronteggiare il disastro: nessuna.
Non restava altro da fare che salire mestamente il colle, cospargersi il capo di cenere e inginocchiarsi davanti a Re Giorgio.

Da quel momento Mr B. si è ritirato dalla vita politica, ha ridotto gli interventi al minimo se non a zero, sembravano ormai gli ultimi giorni di un dittatore sudamericano, nessuno vede più il generalissimo di turno e corre voce che questi sia morto nei modi più fantasiosi.
Tutti parlavano di fine del “berlusconismo”, morte della seconda repubblica, avanti il nuovo, avanti il tecnico bocconiano Mario Monti. Doveva essere una breve transizione, con annesse riforme e salvataggio del Paese, però il nuovo s’è rivelato stantio, la transizione brevissima, le riforme e il salvataggio non sono pervenuti.

mercoledì 5 dicembre 2012

Un «Sì» che ci fa male

di Michele Andreoletti*
È proprio vero che a volte sono le parole più semplici, quelle che sembrano più innocue, quelle che usiamo tutti i giorni a nascondere i più orrendi misfatti, a generare le conseguenze più gravi. E purtroppo molte, troppe volte queste parole si pronunciano con una noncuranza e ingenuità che definire criminale è sinceramente un eufemismo. E così, anche un semplicissimo «sì» può diventare qualcosa di mostruoso. Esattamente come il sì pronunciato appena pochi giorni fa, davanti all'assemblea generale delle Nazioni Unite, da 138 dei 193 paesi membri che hanno riconosciuto ufficialmente la Palestina come stato, facendola entrare nel consorzio internazionale.
La cosa che lascia tuttavia maggiormente disorientati non è tanto che il parere favorevole alla risoluzione ONU sia stato dato da paesi, come quelli facenti parte del blocco arabo, che certamente non sono mai stati grandi estimatori di Israele; sorprende piuttosto che abbiano dato il nulla osta anche degli alleati storici dello stato ebraico, tra cui gran parte dei paesi UE come Francia, Spagna, e in particolare l'Italia, in netto contrasto con Usa, Regno Unito e Germania. Che questo «sì» sia stato un errore strategico madornale commesso dalle nazioni occidentali è abbastanza facile da dimostrare. L'entrata della Palestina nell'ONU avrà a medio e lungo termine non solo una funzione pro-palestinese, ma anche e sopratutto un effetto anti-israeliano.

martedì 4 dicembre 2012

L'alba della stessa era

di Damiano Mondini
La vittoria di Pierluigi Bersani era tutto sommato prevedibile, anche se certamente non ci si aspettava un risultato così inequivocabile: il 60,8% degli elettori del centrosinistra ha convenuto di affidarsi all’ “usato sicuro”, mentre soltanto uno sconsolante 39,2% ha tentato di deviare verso nuovi orizzonti. Nuovi, si fa per dire: si è già avuta occasione di rilevare quanto poco credibile fosse la scelta fra due alternative tanto distanti nella forma quanto simili nella sostanza. Ed è quest’ultima che conta, che fa la differenza, che determina l’apprezzabilità o meno di un soggetto politico. Matteo Renzi è stato – o è, se preferite non azzardare ancora giudizi terminali sulla sua parabola – senza dubbio un ottimo contenitore, l’utile packaging mediante cui veicolare idee e propositi variegati e più o meno condivisibili. Al di là dei propositi utopistici, era quanto di più moderno e rinfrescante potesse emergere dalle fila stantie del Partito Democratico; l’opzione più liberista che potesse fornire uno schieramento storicamente orientato su posizioni stataliste, welfariste o keynesiane che dir si voglia – sia detto per inciso, non si tratta certo di sinonimi, ma il disordine lessicale dei progressive ci consente di confonderli senza tema alcuna. Non è per coerente e ponderato appoggio alle sue svariate proposte che numerosi libertari – repetita iuvant, me compreso – hanno scelto di appoggiarlo tanto al primo quanto a ragion veduta al secondo turno delle primarie.

venerdì 30 novembre 2012

PD, il partito disgraziato

di Damiano Mondini

Domenica scorsa, il 25 novembre 2012, si è svolto il primo turno delle primarie del centrosinistra, aventi come scopo l’elezione “dal basso” – espressione dolce e suggestiva – del futuro candidato alla Presidenza del Consiglio. Non si è trattato di un trionfo della democrazia - come hanno sostenuto persino i vertici del partito "liberale" FID -, di un rigurgito di sovranità popolare o di un reflusso del populismo e dell’antipolitica, bensì dell’ennesima finzione di cui lo Stato si serve per illudere i propri sudditi di avere un qualche ruolo nell’amministrazione della res publica. Risulta difficile credere che i 4 milioni di persone in fila ai gazebo del Partito Democratico & friends fossero davvero convinti di agire per il Bene Comune, o anche soltanto di essere in procinto di fare qualcosa di costruttivo per le sorti dell'Italia. Abbiamo assistito nel medesimo frangente al parossismo dell’ipocrisia e della banalità, e forse perché mai come in questa democrazia l’inganno è all’ordine del giorno. Il risultato era prevedibile e finanche scontato: il segretario del PD Pierluigi Bersani e il sindaco di Firenze Matteo Renzi hanno superato a pieni voti – se mi concedete la burla - il primo step e si accingono ad accedere al ballottaggio; trombati invece il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, l'insignificante Laura Puppato e l’outsider Bruno Tabacci. Il confronto finale non verterà su due visioni affatto diverse della politica, ma su differenti prospettive intorno ad un’unica certezza, paludata per il centrosinistra: lo Stato al centro, l’individuo in periferia e la Libertà oltre i confini.

lunedì 26 novembre 2012

Catalogna: vince l'indipendenza, perde Mas

di Paolo Amighetti

In Catalogna è terminato lo scrutinio delle urne: ha inizio il valzer delle ipotesi, delle congetture, dei calcoli. Il Corriere della Sera parla di «tracollo» degli indipendentisti. La parola è un po' troppo forte: se infatti Convergència i Uniò ha perso dodici seggi, i separatisti di sinistra dell'Esquerra Republicana ne hanno guadagnati undici in più rispetto alle ultime elezioni; i comunisti catalani e gli ecologisti favorevoli all'indipendenza, tre di più rispetto al 2010. Sulla carta, esiste dunque una maggioranza soberanista: il catalanismo ha conquistato ottantasette seggi sui 135 disponibili, anche se i rimanenti quarantotto rimangono in pugno a socialisti, democristiani e Ciutadans.