mercoledì 5 dicembre 2012

Un «Sì» che ci fa male

di Michele Andreoletti*
È proprio vero che a volte sono le parole più semplici, quelle che sembrano più innocue, quelle che usiamo tutti i giorni a nascondere i più orrendi misfatti, a generare le conseguenze più gravi. E purtroppo molte, troppe volte queste parole si pronunciano con una noncuranza e ingenuità che definire criminale è sinceramente un eufemismo. E così, anche un semplicissimo «sì» può diventare qualcosa di mostruoso. Esattamente come il sì pronunciato appena pochi giorni fa, davanti all'assemblea generale delle Nazioni Unite, da 138 dei 193 paesi membri che hanno riconosciuto ufficialmente la Palestina come stato, facendola entrare nel consorzio internazionale.
La cosa che lascia tuttavia maggiormente disorientati non è tanto che il parere favorevole alla risoluzione ONU sia stato dato da paesi, come quelli facenti parte del blocco arabo, che certamente non sono mai stati grandi estimatori di Israele; sorprende piuttosto che abbiano dato il nulla osta anche degli alleati storici dello stato ebraico, tra cui gran parte dei paesi UE come Francia, Spagna, e in particolare l'Italia, in netto contrasto con Usa, Regno Unito e Germania. Che questo «sì» sia stato un errore strategico madornale commesso dalle nazioni occidentali è abbastanza facile da dimostrare. L'entrata della Palestina nell'ONU avrà a medio e lungo termine non solo una funzione pro-palestinese, ma anche e sopratutto un effetto anti-israeliano.
L'indebolimento di Israele che ne conseguirà avrà un effetto destabilizzante sull'intera regione, a favore di stati come Siria, Egitto e Iran, nemici non solo dello stato di Netanyahu, ma anche dell'intero Occidente.
Se nell'ambito macro-regionale Israele potrebbe perdere il suo ruolo di baluardo a guardia degli interessi occidentali in Medio Oriente, anche nel contesto più modesto (ma certamente non meno delicato) dei contrasti arabo-israeliani per la striscia di Gaza o per il riconoscimento delle opposte rivendicazioni sulla Cisgiordania, l'approvazione di questa risoluzione, come giustamente affermato dal segretario di Stato americano Hillary Clinton, rischia di allontanare ogni prospettiva di un equilibrio stabile e duraturo. L'errore, insomma, è stato grande, e l'Italia ne è uno dei responsabili: in tale ottica le parole dell'ambasciatore israeliano a Roma, che a pochi minuti dalla risoluzione ha affermato mestamente: «Quando si è molto vicini a qualcuno, quando lo si considera un grande amico, la delusione è più forte», sono eloquenti. Sono cioè il campanello di un errore politico che fa a pugni pure con il buonsenso.
*Collaboratore esterno

2 commenti:

  1. E' un si che ci avrebbe fatto male anche se fosse stato un no.
    I politici che plasmano, a carico degli amministrati, un ipotetica e solo immaginaria "volontà politica di relazione tra popoli" sono, in pieno orgasmo di onniscienza, dei manovratori ciechi ai quali abbiamo incautamente delegato funzioni impossibili che legano in un unica sorte favorevoli, contrari ed agnostici di ogni landa e che con totale arroganza cognitiva violano e stuprano:
    in primo luogo i danti causa obbligandoli a sostenere posizioni sommamente opportunistiche attraverso la sottrazione di risorse destinate ad un improbabile "bene comune";
    in secondo altri popoli a sostenendo attraverso la dissuasione militare e diplomatica azioni sempre opportunistiche (da soli od in consorzio) con la forza delle risorse degli amministrati.
    L'Onu, senza distinzione di parte, è una organizzazione di arroganti nazzistelli.

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