sabato 19 gennaio 2013

Credere in Maroni?

di Damiano Mondini


La mia Lombardia vuole meno tasse per le imprese. La mia Lombardia da più lavoro ai giovani. La mia Lombardia taglia gli sprechi e crea più sviluppo. La Lombardia in testa”. Da settimane questo martellante spot pubblicitario assilla i frequentatori di YouTube. Si tratta dell’ultima – e chissà quanto efficace – trovata della campagna elettorale di Roberto Maroni, candidato della Lega Nord e del Popolo della Libertà alla Presidenza della Regione Lombardia. L’obiettivo è convincere gli elettori potenziali e i semplici simpatizzanti che la strada della Lega è l’unica percorribile per sciogliere il Nord dal giogo dello Stato centrale, da tempo esemplificato dalla nota immagine di “Roma Ladrona”. Dissoltasi la possibilità di tentare la scalata in Parlamento – poiché con ogni probabilità la prossima Camera sarà un’autentica débâcle per il Carroccio - , i vertici di via Bellerio hanno intelligentemente pensato di ripiegare al Nord, coll’obiettivo di fare il pieno in un bacino elettorale meglio predisposto. Lo slogan più efficace, da questo punto di vista, è senza ombra di dubbio il seguente: “Trattenere in Lombardia il 75% delle tasse pagate dai lombardi!”. Riecheggia per chi ha memoria il vecchio adagio "Paga somaro lombardo!" Un proposito apparentemente appetibile anche per gli indipendentisti più coerenti e radicali. Ma quant’è realmente credibile? E cosa si nasconde davvero dietro il simulacro della Lega Nord 2.0?
Chi scrive si definisce senza problemi un nostalgico della Lega dei primi tempi: quelli in cui, per intenderci celermente, ancora si chiamava Lega Lombarda e poteva vantare Gianfranco Miglio fra i propri fiori all’occhiello intellettuali. Era la Lega che poneva al Belpaese e al governo centrale due alternative nette e ineludibili: o federalismo vero o secessione, tertium non datur. Parlava di liberismo e di rivoluzione ben prima che la pantomima thatcheriana di Silvio Berlusconi divenisse di moda.  Ebbene, cos’è successo alla Lega che l’ha trasformata dal partito del Nord a Roma al partito italiano al Nord? Come si è passati dalle “macroregioni” di Miglio a quelle di cui va blaterando in questi giorni Maroni, peraltro citando il profesùr e distorcendo il suo pensiero nel peggiore dei modi? Per qualcuno, un partito che urla “Roma ladrona!” nel mentre in cui ambisce alle sue poltrone contiene in nuce il proprio inesorabile declino: da questo punto di vista, non dev’essere stato particolarmente arduo scadere nei bassifondi del Trota e di Belsito quando fin dalle origini il senatùr Umberto Bossi faticava a celare la propria “cialtronaggine”. Nondimeno, non ci interessa in questa sede riepilogare la storia del partito o tentare, come molti che ci hanno preceduti, di delinearne un profilo genetico. Cosa fu, cosa avrebbe dovuto diventare e cos’è divenuta in realtà la Lega è sotto gli occhi di tutti ed è sconsolante, ma ben più drammatico potrebbe rivelarsi ciò che essa ambirà ad essere se Maroni traslocherà al Pirellone.  La ridondanza morfo-sintattica della frase precedente mal cela l’idea di fondo, di cui sono mestamente consapevole, che tale probabilità non faticherà a divenire realtà. Poco male - potrebbe pensare qualcuno – dato che l’attuale Lega 2.0 intende porre il Nord al primo posto, trattenere i tributi sul territorio e “rompere i coglioni” al governo di Roma. Ed è invece molto male: non solo per chi potrebbe accontentarsi di tali richieste; a costoro -  sperando comunque che  ve ne siano parecchi - sono dolente di annunciare che tale sogno autonomista è solo l’ennesima e meglio congeniata scempiaggine da campagna elettorale. Tutt’al più, ciò che si otterrà sarà una maggior autonomia fiscale, che potrebbe facilmente tradursi nella possibilità, per i governi locali, di spendere e tassare con maggiore libertà. E con un’amministrazione leghista in Lombardia, avremmo davvero poco per cui stare tranquilli. In ogni caso, è soprattutto per chi crede davvero nell’indipendenza e nella libertà che l’ascesa di Maroni e dei “barbari sognanti” si configura come la più vibrante delle sconfitte. Solo sferrando un colpo mortale al partito del “federalismo fiscale” e dell’eterno compromesso al ribasso – condito con una più che legittima spartizione della torta pubblica – chi al Nord crede nei valori indipendentisti potrà quanto meno intravvedere un possibile futuro roseo. La conditio sine qua non di un eventuale ma concreto futuro libertario per il Nord è, per quanto a molti potrà sembrare paradossale, l’espunzione del partito che di questi valori detiene l’illegittimo appannaggio. Sono sicuro che molti militanti della Lega Nord agognino un futuro di prosperità per il settentrione, finalmente libero dalle catene opprimenti di Roma e dall’insopportabile peso del Mezzogiorno. Costoro dovrebbero tuttavia disilludersi il prima possibile, e rendersi conto che il modo più efficace per perpetuare l’attuale abuso è votare Lega, tanto al Parlamento quanto a maggior ragione in Lombardia. Infliggere una sonora sconfitta a Bobo Maroni e ai suoi insopportabili occhiali dalla montatura rossa significa porre la prima pietra per l’edificazione di un futuro di libertà. Una libertà che in fondo, sradicando al Sud i mali del parassitismo e dalla dipendenza dalla mammella dello Stato, potrà ivi favorire una ripresa economica autonoma e salutare. Mi rendo conto che veicolare un messaggio del genere in meridione sia un’autentica mission impossible: è dunque a noi “nordisti” – quanto odio questa parola! - che spetta l’onere di compiere il primo passo per spezzare “il muro di onnipotenza che ci ha reso schiavi”. Non cito a caso un noto inno padano, che ahimè rimembro sconsolato. Vorrei terminare proprio con il testo del ritornello: “Tutto per la libertà. Servi di Roma fuori, senza dubbi né ripensamenti, Padania bella e libera guarda avanti!”. Il messaggio – al netto dell’ambiguo riferimento alla Padania – è ancora vivo e attuale, e tradotto suonerebbe più o meno così: “Leghisti fuori, senza dubbi né ripensamenti!”. Dunque, cari lombardi, votate chi volete: Ambrosoli del centro-sinistra, turandovi il naso alla Montanelli; Albertini l’indipendente, che come sindaco di Milano vanta al proprio attivo un dignitoso ventaglio di privatizzazioni; oppure il bocconiano Pinardi, candidato di “FARE per Fermare il Declino”, lo stesso partito che propone Marco Bassani come consigliere regionale. Solo, ve ne prego, non sprecate il vostro voto: parafrasando il grande Murray N. Rothbard, “è ora di identificare Roberto Maroni per quello che realmente è. E’ ora di chiamare una vanga vanga e uno statalista municipale statalista municipale”.

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