martedì 14 gennaio 2014

Uscita dall’euro? Domande & risposte



di Tommaso Cabrini e Andrea Benetton


Articolo originariamente pubblicato su The Fielder (http://thefielder.net/10/12/2013/uscita-dalleuro-domande-risposte/)
 
L’articolo «Una soluzione monetaria per l’Europa» ha avuto un buon successo e sviluppato un interessante dibattito in Rete. Come autori, ci sembra doveroso rispondere alle critiche dei lettori sviluppatesi sia su The Fielder sia sui molti blog e testate su cui è stato rilanciato l’articolo.

Q — Il «portafoglio» di monete assomiglia piú a un incubo ricorsivo da Alice nel Paese delle Meraviglie (cioè l’Italia) che a una realtà economica. Oltre al casino già ai limiti dell’impossibile nella scelta tra prodotti concorrenti, ci manca quello della scelta tra monete concorrenti con cui pagare, magari in mix

A — Una delle obiezioni piú comuni ai processi di mercato in concorrenza è proprio questa. Il pericolo di complicare un sistema all’apparenza semplice, di stampo socialista: un solo fornitore (lo Stato) e un solo prodotto (nel nostro caso l’euro, ma si può adattare a qualunque altra merce). Quasi di certo, il sistema si complicherebbe in un primo tempo. Nuove monete sorgerebbero in quantità; ma molte di queste sarebbero infine soppresse dal mercato, a favore d’un piccolo paniere di monete considerate migliori dagli utenti. Rimarrebbe quindi un sistema con un piccolo gruppo di monete in concorrenza. All’apparenza il sistema si complica: piú monete tra cui scegliere, con diverse caratteristiche. Tuttavia, la libera scelta porta obbligatoriamente verso un sistema monetario piú trasparente, senza un monopolista che goda di rendite di posizione — tutti fattori che darebbero ai cittadini la possibilità d’arricchirsi di piú e meglio, di raggiungere al meglio i propri fini. Senz’altro, la scelta per l’acquisto d’un’automobile (per far un esempio di merce altamente complessa) è molto difficile: ben pochi hanno tutte le informazioni e le competenze necessarie per scegliere senza fare lunghe ricerche — ma non per questo preferiremmo poter guidare solo la Trabant.

Q— La soluzione lascia insoluti tre dubbi:
1.Chi gestisce emissione e tassi della neomoneta? Certo non la BCE, che deve perseguire uniforme trasmissione politica monetaria unitaria in UME, cosa impossibile con due o piú monete coesistenti.
2.I vincoli europei di politica economica e finanza pubblica rimarrebbero in vigore nel periodo transitorio? A logica sarebbe da rispondere «no», ma allora il rischio che
tutti gl’investitori percepiranno sarà di voler concretare debito e deficit, perciò addio a speranze d’apprezzamento delle neomonete: quelle dei Paesi «deboli» si deprezzeranno in proporzione alla perdita di competitività implicita nei tassi di cambio effettivi, con effetto di rialzo del premio al rischio, leggasi spread, con tutto quel che ne consegue per finanze pubbliche ed economia reale via canale bancario.
3.Chi garantisce che non avvenga una fuga di capitali, peraltro agevolata dalla persistenza del trattato di Schengen?

A — 1. Se per neomoneta intendiamo un’ipotetica neolira, il potere d’emissione (e conseguentemente la fissazione del tasso d’interesse) risiede nel Ministero del Tesoro, che lo può gestire direttamente oppure devolverlo ad altre istituzioni (per esempio, una nuova Banca d’Italia). Se parliamo, invece, d’un sistema di monete in libera concorrenza, ogni emittente deciderà quali politiche monetarie adottare (l’esempio del Bitcoin e delle altre «criptovalute» è molto calzante).
2. Si rinvia nuovamente alla lettura dell’articolo del professor McLeod, dove s’analizza un processo d’adozione d’una nuova moneta attraverso processi di mercato, in grado d’interiorizzare, già in fase d’asta iniziale, le aspettative s’un’eventuale futura svalutazione della moneta. Da tale processo consegue che la futura politica fiscale e monetaria d’una neovaluta sarà decisa da ogni singolo Stato, compreso il mantenimento o no degl’impegni presi, in base ai propri obiettivi, esattamente come avviene per gli Stati esterni alla zona euro.
3. Come già analizzato nell’articolo del professor McLeod, si tratta d’un rischio assolutamente inconsistente, poiché l’adozione della nuova moneta risulta puramente volontaria. Sicché non è necessario esportare il capitale, per salvarlo da un’eventuale svalutazione: è sufficiente non convertirlo nella neovaluta.

Q — Che cosa significa «Per i privati, la scelta d’usare la nuova moneta sarebbe del tutto consensuale»? Quale imprenditore non vorrebbe incassare euro e pagare salari in lire? Quale operaio preferirebbe ricevere lire anziché euro? Quindi, nei contratti di lavoro del settore privato, come la mettiamo?

A — I contratti preesistenti del settore privato recitano chiaramente d’uno stipendio in euro, e quindi in tale valuta rimarranno denominati (salvo, ovviamente, un comune accordo bilaterale tra lavoratore e datore di lavoro per cambiare a favore d’una diversa valuta). Per quanto riguarda i nuovi contratti, la scelta sarà ovviamente demandata alla contrattazione tra le parti.
Inoltre, non è vero che un imprenditore voglia per forza di cose incassare in euro e pagare salari in lire.
Ammesso (a titolo d’esempio) che ci sia aspettativa di svalutazione della lira, un imprenditore potrebbe preferire lavorare unicamente in lire per approfittare di svalutazioni competitive. Viceversa, un imprenditore che incassa euro potrebbe preferire pagare stipendi in euro, evitando cosí sia d’incorrere in un rischio di cambio sia di dover continuamente ricontrattare e aggiornare gli stipendi dei dipendenti. D’altronde, uscire dall’euro come previsto in tutte le altre proposte che abbiamo visto vuol dire comunque ricevere lire e quindi perdere potere d’acquisto — visto che la ragione addotta dai proponenti è d’effettuare una svalutazione competitiva, che avrebbe come effetto l’aumento dei prezzi di tutto quel che importiamo, cioè della maggior parte delle materie prime e dei beni di consumo. Con la nostra proposta, quantomeno, consentiamo a tutta una serie d’aziende d’effettuare tale svalutazione e di sopravvivere. Noi continuiamo a preferire aziende aperte con riduzioni di salari reali, piuttosto che lasciarle fallire per difendere principi astratti, col risultato di lasciare i lavoratori in mezzo alla strada. Perché è questo che sta accadendo oggi in Italia.

Q — Per cambiare davvero, bisogna trovare una definitiva soluzione a: sovranità monetaria (la moneta è dell’intera comunità, che le attribuisce il valore con la fiducia, la laboriosità e l’ingegno, trasformandola cosí in denaro); la criminale riserva frazionaria; la criminale usura; la criminale ingegneria finanziaria.

A — Per quanto riguarda il primo punto, è esattamente il nostro pensiero. Gli utenti d’una moneta, tramite la propria fiducia, ne determinano il successo. Proprio per questo siamo contrari a qualunque imposizione (sovra)statale nella scelta della moneta. La nostra proposta dà la sovranità ai cittadini; altre proposte la danno ai politici italiani, in cui gli autori hanno scarsa fiducia, vista la storia passata e presente. In base a queste idee siamo giunti alla formulazione della nostra proposta.
I restanti punti, pur non trovandoci d’accordo, non sono pertinenti all’articolo.

Q — «Conservando il pagamento in euro per i debiti preesistenti»: quindi, se uno ha un mutuo o qualcosa di simile in euro, dovrà continuare a pagarlo nella moneta forte, ricevendo uno stipendio o una pensione verosimilmente molto inflazionati?

A — Sí, chi ha un debito in euro continuerà a pagarlo in tale moneta, mantenendo quindi i tassi d’interesse legati all’euro. I tassi d’interesse della neolira, in ottica «austriaca», sarebbero sicuramente superiori. Nulla vieta a banche e debitori di procedere a ristrutturazioni consensuali del debito.
Quanto alla svalutazione, è vista come un processo inevitabile e inevitabilmente dannoso. Tuttavia, non si sta considerando che chi controlla la neolira e chi paga le pensioni e gli stipendi pubblici (gli unici convertiti nella nuova moneta) sono la stessa entità, lo Stato italiano. Proprio per questo, ci si troverebbe di fronte a un riallineamento degl’incentivi di pensionati e dipendenti pubblici. Non desiderando (presumibilmente) una svalutazione del proprio reddito, essi chiederanno al datore di lavoro di rendersi efficiente ed eliminare gli sprechi. L’alternativa è una continua svalutazione della moneta seguita da aumento di salari e pensioni nominali al fine di riallinearne il potere d’acquisto. La differenza tra le due soluzioni è principalmente politica.
Ovviamente, per i dipendenti pubblici rimane sempre la facoltà di trasferirsi nel settore privato, qualora quest’ultimo si riveli in grado di pagare stipendi piú alti o in valute piú stabili.

Q — La soluzione proposta non risolve il problema del debito privato; specificamente, non risolve i problemi che riguardano il settore bancario.

A — Vero: questa nostra proposta affronta, per ora, metà del problema. A breve affronteremo, in un altro articolo, la questione del settore bancario.

Q — Avere un portafoglio di monete non è una scelta scomoda?

A — In realtà, scomodo è imparare il tedesco e trasferirsi in Germania per cercare lavoro. Perché questo è l’esito del conservare la situazione attuale. Mentre la soluzione del cambio coattivo dei conti correnti rappresenterebbe una distruzione di ricchezza privata di dimensioni tali che qualunque presunta «scomodità» — perlopiú mentale — sarebbe di gran lunga preferibile. In realtà, ciascuna persona che non apprezzi il tenere in portafoglio piú monete perché «faticoso» si troverebbe, se la nostra proposta fosse attuata, a valutare solo i prezzi espressi in un’unità di conto calcolata sul paniere totale delle monete e a conoscere il cambio della sua moneta verso tale unità di conto. Come in tutte le situazioni d’innovazione, si svilupperebbero nuovi servizi per facilitare il detenere, il cambiare e lo spendere di portafogli di monete.

Q — Non è una proposta politicamente ed economicamente insostenibile?

A — Al contrario. L’emergere di forze politiche euroscettiche è una tendenza di lungo periodo derivante dalle disfunzionalità della zona euro. Il nostro scopo è appunto fornire quella che per ora è l’unica soluzione che non crea eventi di singolarità sistemica che neanche i partiti euroscettici hanno il coraggio e la possibilità politica di gestire.
Inoltre, non ci s’illuda ch’esista una soluzione che non abbia lati negativi alla crisi che sta vivendo la zona euro. I danni sono già stati fatti nel passato: ora si tratta solo di minimizzarli conservando intatti gli stock di risparmio degl’italiani, stock che sarebbero distrutti sia permanendo nella configurazione attuale, sia con un’uscita coattiva come proposto da chi vuol convertire nottetempo gli euro sui conti correnti in lire. La nostra proposta è una proposta che guarda al futuro, all’irrompere sulla scena delle criptovalute, mettendo l’Europa all’avanguardia nello sfruttare i vantaggi di queste nuove specie monetarie, e restituendo la moneta alla scelta delle persone, scelta ch’è stata tolta ai cittadini molto tempo fa coll’istituzione dell’uso politico della moneta.

Q — Quali leggi italiane e trattati internazionali sarebbero interessati da una transizione al free banking?

A — Il corso legale dell’euro è sancito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Treaty on the functioning of the European Union) all’articolo 128 comma 1. Lo scenario nel quale abbiamo presentato la soluzione — riduzione dell’UE al solo mercato comune ed eliminazione della sovrastruttura burocratica a opera di partiti «euroscettici» — metterà già in discussione l’intero trattato in questione.
Nella legislazione italiana, bisognerà intervenire emendando gli articoli 1277 (Debito in somma di denaro), 1278 (Debito di somma di monete non aventi corso legale), 1279 (Clausola di pagamento effettivo in monete non aventi corso legale), 1280 (Debito di specie monetaria avente valore intrinseco).
Bisognerà poi ovviamente promulgare una legge che definisca e specifichi tutti gli stadi della riadozione da parte dello Stato italiano d’una moneta propria, sulla falsariga dello schema indicato da McLeod.


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