lunedì 31 dicembre 2012

Passiamo l'ultimo con Mises

di Damiano Mondini

L'elaborazione teorica delle dottrine e dei programmi deve essere rigorosa, coerente ed esente da contraddizioni. Se però non si riesce a convincere la maggioranza a realizzare pienamente il proprio programma, bisogna accontentarsi di ciò che si può ottenere nelle condizioni oggettive in cui ci si muove.Ho sempre criticato la middle-of-the-road-policy di tutte le varianti dell’interventismo, e credo di aver mostrato che esse finiscono inevitabilmente per sfociare nel socialismo vero e proprio. Ma questo non mi ha impedito di capire benissimo che i rapporti di potere politici possono costringere anche un convinto e coerente difensore del liberalismo a venire a patti temporaneamente con certe misure interventistiche (per esempio, i dazi doganali). Di regola bisogna accontentarsi di scegliere il male minore
Ludwig von Mises, lettera ad Alfred Müller-Armarck, 14 novembre 1961


Vorrei concludere con voi questo 2012 – peraltro primo anno di vita del nostro blog – con una riflessione sulla citazione dell’economista L. von Mises riportata qui sopra. Nel caso di specie, Mises sta argomentando a sostegno della sintesi economica della Bundesrepublik Deutschland, la Germania ovest: quest’ultima, infatti, grazie al Neoliberalismus della Scuola di Friburgo – noto altresì come Ordoliberalismus - e al carismatico Ministro dell’Economia Ludwig Erhard, aveva elaborato e concretizzato la soziale Marktwirtschaft, l’economia sociale di mercato. Essa era stata senza dubbio il propulsore del noto Wirtschaftswunder, il miracolo economico tedesco-occidentale, e rendeva la misura della distanza abissale con la spartana Deutsche Demokratische Republik, che pure era uscita ugualmente sconfitta dal secondo conflitto mondiale. A. Müller-Armarck è un esponente anomalo della Scuola di Ordo, e rispetto al più noto Wilhelm Röpke si dimostra vicino ad una sensibilità sociale che tenta un avvicinamento teorico, magari ingenuo, col pensiero liberal-socialista – elaborando una speculazione non solo superficialmente vicina a quella di un John Rawls. Sia come sia, è opinione di Mises che il modello tedesco sia apprezzabile per le modalità efficaci con cui è sceso a compromessi con la realtà dei “rapporti di potere politici” ed venuto “a patti temporaneamente con certe misure interventistiche”. Insomma, partendo dall’assunto per cui “di norma bisogna accontentarsi di scegliere il male minore”, la concessione al realismo operata dall’economia sociale di mercato dimostra di essere stata adeguata, ed in ogni caso sempre memore della sua anima liberale. E’ interessante che a tessere queste lodi del pragmatismo politico sia un economista come “Lu” Mises, per il resto assai indisposto ad ogni corruzione delle più cristalline convinzioni liberali e mercatiste. Ed è egli stesso a ricordarlo a Müller-Armarck nella lettera: “ho sempre criticato la middle-of-the-road-policy – noi si direbbe la “pragmatica della via di mezzo” – di tutte le varianti dell’interventismo, e credo di aver mostrato che esse finiscono inevitabilmente per sfociare nel socialismo vero e proprio”. Questo è stato peraltro uno dei meriti più nobili di Lu, quello di aver ribadito come ogni opzione statalista, estrema o meno che sia, abbia la naturale predisposizione a tendere inesorabilmente verso il proprio drammatico parossismo, ovverossia l’economia socialista. Ed il cuore del messaggio misesiano sta proprio qui: ad una elaborazione economica teorica cristallina e scevra di pervertimenti, deve senza dubbio accompagnarsi la consapevolezza delle “condizioni oggettive in cui ci si muove”. Se dunque il liberale non deve mai cedere sulle proprie convinzioni – e dunque gli ideali socialisti sono e rimangono sempre fonte di ammorbamento -, quando si trova a doverle tradurre in pratica egli deve inevitabilmente tener conto dell’humus culturale, politico ed economico che lo circonda. L’economista liberale non può ragionare soltanto secondo la nota massima “fiat iustitia, pereat mundus”: al contrario, deve fare in modo che l’ineluttabile compromesso a cui giungerà sia il più fedele possibile ai suoi principi originari, peraltro nella consapevolezza che si tratta di una situazione temporanea, e che verrà il tempo per un’economia sana ed autenticamente di mercato. Difficile sarebbe stato rispondere agli ordoliberali che la loro scelta era esecrabile in quanto non puramente di mercato, poiché altrettanto complesso sarebbe stato per costoro porre mano ad un siffatto sistema economico. Gli impedimenti possono essere stati i più variegati, come ben sa chiunque tenti di porre in essere politiche economiche liberali: l’opposizione ideologica di gran parte della popolazione, e dunque la mancanza di un sostengo democratico – non che la maggioranza abbia la facoltà di stabilire cos’è giusto e cosa non lo è, ma essa ha senza dubbio la potestà di delegittimare, con  modi più o meno violenti, chi crede stia ledendo i suoi “diritti legittimi”; il populismo demagogico sempre pronto ad insinuarsi nella coscienza del popolo; la precarietà estemporanea dell’assetto economico post-bellico, che rendeva insostenibile una “cura da cavallo” atta ad instaurare un regime liberale. Insomma, con grande capacità di comprensione, Lu dimostra un vivo interesse per l’esperimento tedesco-occidentale, pur riaffermando quale sia l’obiettivo finale cui è necessario avvicinarsi asintoticamente.
Da questo punto di vista, è un peccato che l’elaborazione teorica di Friburgo, insieme al modello autentico di soziale Marktwirtschaft, siano finiti nel dimenticatoio. Da un lato, sempre più scarso interesse viene rivolti agli economisti ordoliberali – una pregevole eccezione è l’Istituto Bruno Leoni, che vi dedica questo paper -; dall’altro, i tanti economisti di seconda categoria che oggi esaltano l’economia sociale di mercato dimenticano che quella tedesca, prima che “sociale”, rappresentava un’apertura inedita al mercato: i novelli economisti sociali come Stefano Zamagni, al contrario, difficilmente si distinguono dai colleghi mainstream e keynesiani, che solo con uno stupro concettuale possono essere affiancati a Röpke o a Erhard. L’entusiasmo con cui un radicale del liberalismo come Lu accoglieva l’esperienza tedesca rendono davvero la misura di quanto questa tradizione andrebbe recuperata a livello teorico e – quant’è più improbabile! – a livello pratico.
In ogni caso, la riflessione di Mises si dimostra attuale anche per ciò che concerne la situazione politica italiana degli ultimi mesi. Voglio essere chiaro: non intendiamo incensare l’operato dal Governo Monti per essere venuto a patti con delle misure interventistiche! Anzi, non vi sono dubbi che Mises, se fosse ancora con noi, rinnoverebbe senza tema una condanna vibrante verso questa infelice parentesi – sempre ammesso che di parentesi si sia trattata. Vorremmo limitarci ad analizzare la galassia dei liberali italiani, tendendo conto dell’imminenza del voto di febbraio. Potremmo dire, con le parole del geniale allievo di Mises Murray N. Rothbard, che lo spettro del liberalismo nostrano ha una destra compromissoria rappresentata da FARE per Fermare il Declino ed una sinistra intransigente che gravita attorno al Movimento Libertario; al centro, mi permetto di inserire il Tea Party di cui sono orgogliosamente membro, per la sua forte carica ideale, unita ad una naturale predisposizione dialogica con le forze politiche che si ripropongono di attuare, tutte o in parte, le sue istanze. Il messaggio di Mises ha a mio avviso qualcosa da insegnare, e se mi permettete anche da recriminare, tanto a destra quanto a sinistra: a Fermare il Declino può essere utile rammentare che la necessità del momento non deve far obliare i sani principi da cui si parte, pena il rischio di sacrificarli sull’altare della Realpolitik, anche se meritevole è lo sforzo di proporre una soluzione nuova e concreta nel panorama altrimenti desertico e desolante; agli estremisti libertari – che godono della mia stima e simpatia – va riconosciuto l’indubbio merito di non esser disposti a transigere sulla purezza dei più puri convincimenti liberali, anche se i rischi di non considerare a pieno la situazione cogente non sono ancora stati adeguatamente evidenziati. So di non essere un osservatore terzo ed imparziale, ma credo che il profilo tenuto dal Tea Party e da altre illustri personalità liberali – penso primariamente ai professori Carlo Lottieri Luigi Marco Bassani e Nicola Iannello – sia quello più convincente, oltre a rispettare pienamente l’ammonimento vivo e attuale di Lu.
Con ciò detto, auguro a tutti – a nome della redazione – una buona notte di San Silvestro ed un felice e liberale anno nuovo!

4 commenti:

  1. Devo aggiungere un dettaglio di cui sono venuto a conoscenza stamattina: il succitato professor Bassani si è candidato alle regionale con "FARE per Fermare il Declino". Questo gioca molto a favore del movimento! =)

    Si veda qui: http://www.milanotoday.it/politica/elezioni/regionali-lombardia-2013/lista-fermare-il-declino-marco-bassani.html

    RispondiElimina
  2. Un po' di confusione di termini soprattutto tra liberalismo e libertarismo...? Non sono sinonimi, anzi sono agli antipodi. Questo è un errore grave.

    Movimento Libertario "sinistra intransigente"?

    "estremisti libertari" è poi un obbrobrio: o si è per la libertà o non lo si è. Non è questione di percentuali di libertà.
    Solo un liberale (appunto ecco la differenza tra liberale e libertario) potrebbe considerare un libertario un estremista.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Che il liberalismo - inteso all'italiana, non alla "liberal" anglosassone - sia agli antipodi del libertarismo me lo si deve ancora dimostrare; mi pare anzi che una fitta tradizione di pensiero, ed anche solo l'uso verbale, non mi contraddicano eccessivamente.

      Con "sinistra intransigente" - e cito giustappunto Rothbard - intendo la componente più pura, quasi tendente al settarismo (e lo dico senza vena di critica, anzi con una punta di ammirazione), dello spettro del libertarismo. Direi quindi che il Movimento Libertario rappresenta questa istanza con assoluta coerenza.

      "Estremisti della libertà" è pure un titolo di una monografia dedicata ai più coerenti pensatori liberali; e Milton Friedman diceva che si può essere schiavi con percentuali diverse, e così pure si può essere più o meno liberi, più o meno vicini alla libertà. Purtroppo, non possiamo ancora permetterci di dividere il mondo in anarchici e statalisti.

      Ribadisco che "liberale" e "libertario" non sono necessariamente in contrapposizione, anche se sottolineo di essere personalmente un libertario, rothbardiano per la precisione. Peraltro, "estremisti" non è affatto usato in tono critico, è anzi per me un complimento, quando si tratta di difendere la Libertà.

      Spero di essere stato esaustivo.
      Damiano Mondini

      Elimina