venerdì 26 aprile 2013

Una breve storia ed analisi del Free Banking scozzese, 1716-1845 (Seconda Parte)


 Di Michael Crook (traduzione di Tommaso Cabrini)

La Banking Company of Aberdeen entrò nel mercato nel 1747 e rapidamente emise troppe banconote a fronte delle reserve detenute. Diventò rapidamente illiquida in seguito al riscatto di banconote da Edimburgo e fece crack nel 1753. Forse il più importante aspetto di tale avvenimento fu la regola secondo la quale con sommaria diligenza non si detengono banconote, ad eccezione di quelle emesse dalla Bank of Scotland. La causa intentata da un detentore di banconote della Banking Company of Aberdeen fu archiviata. Non fu che 10 anni dopo, nel 1765, che questa regola si invertì. 

Gli anni 50 e 60 del 1700 rappresentarono per il settore un periodo con molti nuovi entranti nel mercato, ma molti di essi erano piccoli e provinciali. Il settore andò da 14 società nel 1750 a 23 nel 1765 e ben 32 nel 1769. L’alto numero di nuovi entranti portò alcune società ad essere malgestite, cosa ben esemplificata dal management della Ayr Bank. 

La Ayr Bank fu fondata nel 1769 ed in breve tempo divenne illiquida. Aveva emesso troppe banconote e, nel 1772 fece bancarotta, con perdite per circa 666.000 sterline inglesi. Il fallimento mandò in bancarotta anche 8 banchieri privati di Edimburgo, con la conseguente scomparsa di 9 delle 29 banche in affari all’inizio del 1772. 

I postumi e le conseguenze del fallimento Ayr sono interessanti. In parole povere il Note Exchange System, che sarà successivamente approfondito, era un sistema che permetteva alle banche di ottenere il rimborso delle reciproche banconote. Queste brevi tempistiche di cambio significavano che le banche venivano tenute sotto reciproco controllo, e se avessero ecceduto nelle emissioni sarebbe divenuta evidente la loro incapacità di far fronte al flusso di banconote con la moneta. Fu quindi l’Exchange System, che metteva a nudo le eccessive emissioni, che evitò che le altre banche emittenti fallissero assieme alla Ayr. Come conseguenza dell’esistenza dell’Exchange System, le banche non detenevano grandi quantità di banconote Ayr ed a seguito delle crescenti difficoltà da parte di Ayr a far fronte agli scambi, le altre banche ebbero un importante preavviso della sovraemissione. Consapevoli del fatto che un fallimento di tali dimensioni avrebbe potuto portare ad implicazioni fortemente negative per l’intero settore bancario, la Bank of Scotland e la Royal Bank decisero di accettare le banconote Ayr ormai senza valore. Questa azione rafforzò la fiducia nel settore bancario, attraendo depositi addizionali, ed incrementò il numero di banconote in circolazione delle due banche. 

Un altro elemento fondamentale della bancarotta Ayr fu il quadro normativo nel quale operavano le società. Gli azionisti delle banche prive di approvazione della corona [che cioè erano prive dello status di “Chartered company” Ndt] erano illimitatamente responsabili dei debiti contratti, principio valevole fino al 1862 (parecchi anni dopo la fine del free banking). Questo aiutò ad autoregolare le società, ma anche a limitare il rischio dei creditori in caso di default. Si dice che nel caso della Ayr Bank i creditori siano stati interamente rimborsati. Di fatto non ci fu alcun caso in cui una banca con più di 9 soci fosse incapace di rimborsare integralmente i propri debiti, non solo, il totale delle perdite stimate patite dal pubblico in seguito a tutti i fallimenti di banche scozzesi avvenuti fino al 1841 fu di sole 32.000 sterline. Per contro, le perdite per il pubblico della sola Londra furono il doppio di tale importo nel solo anno 1840 (White). La nascita della Commercial Bank of Scotland nel 1810 e l’avvio della sua estesa rete di filiali segnarono la fine dei piccoli banchieri privati in Scozia. Fondata come “banca dei cittadini” (Anderson 1910) la Commercial Bank non premise ad alcun banchiere privato di sedere nel suo Consiglio di Amministrazione e fu fondata con i capitali di più di 650 azionisti. Queste particolari caratteristiche fondative furono apprezzate dalla popolazione e rafforzò la loro strategia di grande espansione della rete di filiali, la Banca rapidamente divenne un successo. Nel 1819 aveva 14 filiali e nel 1830 sorpasso tutti i propri rivali con 30 filiali. 

Comunque la Commercial Bank non fu la sola banca dell’epoca in rapida espansione. Negli anni 30 del 1800 piccole e grandi banche aggiungevano filiali a ritmo sostenuto e per la fine del decennio il totale delle filiali superò le 300 (White). Cosa ancora più importante, questa espansione incrementò la disponibilità di servizi bancari in Scozia. Nel 1845 erano presenti 19 banche emittenti con 363 filiali aperte in tutta la Scozia. Questo significava 1 ufficio ogni 6.600 abitanti in Scozia, a fronte di 1 ufficio ogni 9.405 abitanti e ogni 16.000 abitanti rispettivamente in Inghilterra e negli Stati Uniti (Macfarlan).

Tuttavia la rapida espansione del numero di filiali da parte delle grandi banche non riusci ad espellere dal mercato le banche provinciali e locali. Thomas Kinner, direttore della Bank of Scotland, notò di essere incapace di competere in alcune aree e si trovò costretto a chiudere alcune filiali (White 1984). Nonostante le economie di scala fossero chiaramente all’opera per permettere alle grandi banche di espandersi, non erano così forti da permettere il formarsi di un monopolio naturale. Come notato da White nel 1984, non ci sono prove dall’esperienza scozzese che la produzione di moneta convertibile tenda a diventare un monopolio naturale. 

In breve il sistema scozzese di free banking ha prodotto un settore bancario di successo, composto da molte banche concorrenziali con una quota di mercato ben distribuita. Molte delle banche, durante l’esperienza, furono ben capitalizzate, e coloro che non lo erano furono rapidamente eliminate con ridotte ripercussioni per il pubblico e i depositanti. I servizi bancari furono a disposizione di una larga maggioranza del pubblico, la contraffazione fu minima, e molte importanti innovazione bancarie utilizzate ancora oggi nacquero dalla pressione competitiva per attrarre nuovi clienti. A dispetto di tutti questi benefici, il Peel Act del 1844 e lo Scottish Banking Act del 1845 fermarono a tutti gli effetti il free banking scozzese bloccando la libera entrata nel mercato ed istituendo ulteriori regolamentazioni.


Il quadro normativo

Il quadro normativo bancario scozzese fu estremamente semplice. Inizialmente non ci furono restrizioni legali o regolamentazioni specifiche per il settore bancario. Sulla base del common law tutti i contratti avevano piena efficacia, ma il settore bancario non aveva un proprio insieme di normative a sé stanti. L’entrata nel mercato era libera, e non c’erano coefficienti di riserva, limitazioni all’azionariato, requisiti minimi di capitale o una predefinita “moneta legale”. Infine vennero poste in essere due regolamentazioni bancarie con le leggi del 1765. Primo, fu posta fine all’emissione di banconote di valore inferiore alla sterlina. Questa fu una restrizione voluta dalle grandi banche, per le quali rappresentava un modo per limitare la concorrenza di concorrenti più piccoli, anche se fu presentato come di pubblico interesse, in quanto dovesse evitare alle banche di praticare emissioni eccessive con piccole banconote. Secondo, il contratto di opzione di interessi sulle banconote, che fu istituito per prima dalla Bank of Scotland e successivamente dalla Royal Bank, tra gli altri, fu reso illegale. Le banconote dovevano essere pagate immediatamente su richiesta del portatore.

[continua...]

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