domenica 17 marzo 2013

San Francesco? Ha inventato il capitalismo!

di Damiano Mondini

L’elezione al soglio pontificio dell’argentino Jorge Mario Bergoglio, divenuto Vicario di Cristo col nome di Francesco, ripropone la discussione sulla figura di San Francesco d’Assisi (1182-1226) e sull’Ordine francescano da questi fondato nel 1209. Ed ecco che – puntuali ed immancabili – vengono ripetute le solite banalità sul presunto pensiero del Santo di Assisi come connotato da velleità pauperiste: egli viene così contrapposto agli eccessi “plutocratici” della Chiesa moderna e contemporanea. “Il richiamo a Francesco – sostengono parimenti esponenti del cattolicesimo progressista e dell’intellighenzia laicista – è un monito a questa Chiesa corrotta, affinché abbandoni il fascino demoniaco del denaro, si spogli delle proprie nefaste influenze temporali e torni ad una religione privata e vicina ai poveri, agli umili, ai deboli, ai dimenticati”. Non ci è dato di sapere quale impronta darà il nuovo Pontefice alla Chiesa di Roma; possiamo nondimeno evidenziare con chiarezza la falsità di questi leit-motiv reiterati con ardore dalla stampa liberal e dai commentatori cattocomunisti. Perché San Francesco, lungi dall’essere il seguace di un pauperismo dalle tendenze vagamente anticlericali e di un socialismo ante litteram, ha in realtà inventato il capitalismo.
 
No, non si tratta di una provocazione, bensì di una verità tanto lapalissiana quanto ignorata dalla storiografia e dall’ermeneutica mainstream. In realtà, gli studiosi dei più disparati orientamenti politici e religiosi – allorquando si sono trovati a studiare con onestà e serietà il pensiero di Francesco – non hanno potuto far altro che sottolineare l’immenso e straordinario contributo dato dalla teologia francescana all’elaborazione teorica e pratica della libera economia di mercato. E’ stato fra gli altri un illustre storico dell’economia medievale, il professor Giacomo Todeschini dell’Università di Trieste, ad aver ribadito in diverse pubblicazioni l’importanza della limpida analisi del mercato compiuta dal Santo e dagli eredi del suo messaggio. Scrive a tal proposito Sandro Magister:
La moderna teoria del libero mercato nacque proprio dai primi discepoli di San Francesco, dai teologi francescani che più esaltavano il voto di povertà […]. Nel 2002, l’editrice Il Mulino ha pubblicato di Todeschini un libro dal titolo “I mercanti e il tempio”. Nel quale egli mostra le fortissime radici teologiche ed ecclesiologiche delle moderne teorie e pratiche capitalistiche. Fin dal Medioevo, molto prima che arrivasse Calvino. E nell’estate di quest’anno ecco ancora il Mulino pubblicare di Ceccarelli “Il gioco e il peccato”. Dove a segnare il passaggio dalla condanna totale del gioco d’azzardo ad una sua ridefinizione come contratto a rischio sono proprio i teologi francescani dal Duecento in poi. Le sorprese sono forti. E’ la riflessione francescana sulla povertà volontaria a riconoscere nel possesso materiale dei beni un desiderio naturale e universale dell’uomo. E’ dal loro volontarismo e dal primato dato all’individuo, sulle orme di sant’Agostino, che i francescani ricavano una teoria economica tutta centrata sul soggetto contraente e sui contratti intersoggettivi. Sono soprattutto i francescani a precorrere la Salamanca del Cinquecento: dove i teologi sia francescani che domenicani che gesuiti creano una vera e propria “scuola” del capitalismo in ascesa […]. Curiosamente, però, questo liberismo economico “ante litteram” dei teologi medievali e del Cinquecento è oggi pochissimo valorizzato in campo ecclesiastico.
Sorpresa delle sorprese: la povertà volontaria dei francescani ha posto le basi per la nascita del capitalismo! E questo ben prima che il “Geist des Kapitalismus” di cui parla Max Weber nel suo noto e inflazionato saggio distruggesse l’unità dei cristiani nell’Europa del Cinquecento. Non fu la presunta libertà religiosa dell’altrettanto presunta "Riforma" protestante a liberare le forze intellettuali e pratiche dell’economia: fu semmai l’elaborazione tutta cattolica dei teologi medievali legati all’Ordine francescano e – nel Cinquecento – alla spagnola e cattolicissima Scuola di Salamanca, di cui furono figure rappresentative i parimenti cattolicissimi Luis de Molina e Doctor Navarrus. Questi ultimi sono noti agli storici del pensiero economico per i loro profetici studi sulla moneta, sull’attività bancaria e sul ciclo: qualche secolo prima, verrebbe da dire, della Currency School legata agli ambienti anglosassoni e a David Ricardo, economista classico imbevuto di presbiterianismo.
In un suo saggio intitolato For the Glory of God, lo studioso Rodney Stark – curiosamente protestante e battista - si è spinto tanto oltre i luoghi comuni da affermare una verità straordinariamente “revisionista”: il cattolicesimo, grazie anche all’indubbio contributo della speculazione francescana, sarebbe all’origine non solo del capitalismo, ma anche della scienza e della nozione di libertà personale; il protestantesimo, semmai, avrebbe danneggiato l’economia moderna nascente e ne avrebbe ritardato il progresso. La presunta liberalizzazione della religione, concretizzatasi nella ferità inferta da Martin Lutero al “monopolio religioso” della Chiesa di Roma, avrebbe in realtà dato vita ad esperimenti politici ben più vigorosi e liberticidi, incrementando notevolmente il potere dei principi: la pace di Augusta, col noto principio del cuius regio eius religio, avrebbe fatto il resto. Difficile dunque concordare con John Stuart Mill e con altri sedicenti liberali provenienti dalla “perfida Albione” quando affermano che la Riforma luterana fu l’apripista del moderno concetto di libertà e di diritti soggettivi.
Per non parlare poi del volontarismo, del primato della scelta individuale e dunque del soggettivismo che caratterizzano la speculazione francescana. Una posizione perfettamente in linea con quella del provenzale  Pierre de Jean Olivi, anch'egli francescano, che sempre nel XIII secolo elaborò una teoria soggettivista del valore che anticipava le conquiste della Scuola marginalista ottocentesca e la teoria dell’utilità marginale – cui avrebbe fatto da contraltare, nel XVIII secolo, la nefasta teoria del valore-lavoro introdotta dal calvinista Adam Smith, e che Karl Marx avrebbe posto a fondamento del suo edificio teorico. Nell’ambito della determinazione del valore di un bene è centrale anche la riflessione di un altro noto teologo francescano, Giovanni Duns Scoto, che insieme a Olivi delineò peraltro una giustificazione teologicamente e razionalmente fondata della pratica dell’usura.  La sintesi di questo florido panorama intellettuale ci viene fornita dallo studioso cattolico e liberale Dario Antiseri:
Il pregiudizio illuministico che vedeva nel Medioevo l’età dei secoli bui, un’epoca di ignoranza e di superstizione, è ormai stato demolito da tutta una serie di indagini di prim’ordine sul pensiero scientifico, sulla filosofia, sul pensiero logico e quello matematico, sulle tecniche produttive, sugli scambi e l’economia monetaria, fioriti, appunti, nell’età di mezzo. Così come è stata revisionata a fondo la tesi di cui siamo debitori a Max Weber il quale ha individuato nella Riforma calvinista la genesi dello spirito del capitalismo. […] l’età moderna e la stessa epoca contemporanea, hanno beneficiato e continuano a beneficiare – relativamente alla pratica degli affari e alla teoria del pensiero economico – di una quantità di invenzioni risalenti esattamente agli ultimi quattro secoli del Medioevo: “dal contratto di affitto alla lettera di scambio, dall’assegno bancario alle tratte e alle cambiali, dalle principali forme e tecniche del credito, all’attività bancaria”.
I francescani, ben più di Dante Alighieri, proprio perché immersi nel tessuto sociale ed economico del periodo in cui si trovarono a vivere, elaborarono teorie in grado di coniugare la nascente economia di libero mercato – nascente nelle libere città italiane di cultura e religione cattolica, repetita iuvant – con l’etica cristiana. E’ stato naturalmente un percorso di riflessione dalla durata secolare; come scrive sempre Antiseri:
E’ così, dunque, che dobbiamo a dotti e geniali francescani l’origine di quella possente tradizione che, grazie alla successiva elaborazione dottrinale dei tardo-scolastici, si innestò nel filone dell’illuminismo scozzese e confluirà, nei giorni nostri, nella Scuola Austriaca di economia.
Ci troviamo dinnanzi ad un filo rosso che unisce sant’Agostino, Tommaso d’Aquino, San Francesco, la Seconda Scolastica spagnola, l’Illuminismo scozzese – direi forse più Francis Hutchinson che non i ben più lustrati  David Hume e Adam Smith – e la Scuola austriaca di economia. Un floridissimo indirizzo teorico, quest’ultimo, fondato a Vienna dall’economista austriaco Carl Menger negli anni ’70 dell’Ottocento, e proseguito con figure intellettuali illustri come Eugen von Böhm-Bawerk, Friedrich von WieserLudwig von Mises, Friedrich von Hayek e Murray N. Rothbard, e giunto fino ai giorni nostri con Jesùs Huerta de Soto, Pascal Salin, Hans-Hermann Hoppe e diversi altri studiosi. Economisti, filosofi e pensatori che hanno sempre posto sullo sfondo – più o meno scientemente – le origini cattoliche dell’economia di mercato da loro strenuamente difesa contro gli attacchi del socialismo, della Scuola neoclassica e dello statalismo in tutte le sue multiformi manifestazioni. L’americano Rothbard, in modo particolare, ha dedicato un’ampia riflessione a tali radici cattoliche e al ruolo giocato da francescani, domenicani e gesuiti nel delineare un intorno particolarmente felice di società libera di mercato. Come ha scritto Carlo Lottieri:
se dietro a dibattiti apparentemente confinati nell’ambito dell’economia o del diritto è facile riconoscere il segno di aspre controversie teologiche, anche oltre la lettera della lezione rothbardiana è oggi necessario chiedersi come si potrà mai recuperare le libertà perdute e iniziare ad arginare le mitologie contemporanee del potere e della pianificazione senza che vi sia anche una rinascita di quelle stesse condizioni non solo culturali, ma  perfino spirituali, che nel passato avevano saputo proteggere la società e sconfiggere le naturali ambizioni egemoniche che costantemente albergano nel cuore degli uomini.
Se il Papato di Francesco si apre sotto questi auspici, vi sono ottime ragioni di credere che ci riserverà molte piacevoli sorprese. In ogni caso, alberga sempre in noi la consapevolezza che "portae inferi non praevalebunt".

9 commenti:

  1. Diciamo che i francescani (non San Francesco) inventano e teorizzano l'economia di mercato. Il capitalismo non c'entra proprio niente, è solo una possibilità nell'economa di mercato. Tra il pensiero francescano e la massimizzazione del profitto, con la sua redistribuzione tra gli azionisti di maggioranza, c'è una distanza siderale. Il pensiero francescano sdogana moralmente il concetto di profitto ma lo considera in funzione di come è realizzato e come è distribuito.

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    1. Già l'equivalenza fra capitalismo e "massimizzazione del profitto" mi pare tanto di derivazione calvinista, e di scuola mainstream. Diciamo che l'influenza intellettuale di Marx e Weber ci ha convinti del fatto che l'economia di mercato sia qualcosa che in realtà non è. Quando poi si parla della redistribuzione - la famosa "reddistribbbbuzzzzione delle ricchezze", la chiamano all'Università - come "essenza positiva e morale" del capitalismo mi cadono le braccia. Parlo del CAPITALISMO VERO, non di quello di Stato. Che - chiariamoci subito - è ben poco cattolico. E ricordo che il gesto originario di "povertà volontaria" fu di Francesco, ripreso poi dai suoi discepoli.

      Damiano Mondini

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  2. In sostanza i francescani inventano il credito e la finanza etica o responsabile, in opposizione alle pratiche usurarie del tempo, e riconducono tutta l'attività economica al bene comune, alla ricchezza della comunità tutta, incorporando concetti come dono e gratuità nell'attività economica. Altro che capitalismo!

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    1. Evidentemente abbiamo due idee diverse di cosa sia questo "capitalismo". E' nelle cose: rispetto la sua opinione pur non condividendola. C'est la vie.

      Damiano Mondini

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    2. I francescani, ribadisco, parlano di divisione del lavoro, produzione e accumulazione di ricchezza, libertà d'impresa e concorrenza. E inventano per così dire l'economa di mercato, nel '400. È la base, e il capitalismo che si impone più tardi rappresenta una possibilità. Per i francescani era determinante il concetto di bene comune, profitto al servizio della comunità. È per questo che fondano monti di pietà e altre istituzioni simili. Accostare il pensiero francescano all'economia di mercato è corretto, al capitalismo un po' meno. E non c'entra lo Stato, c'entra la modalità con la quale un sistema economico genera profitto e come (a chi e con quali fini) lo redistribuisce. I francescani, non solo quelli del '400, sono la cosa più lontana che possa esistere da Hobbes e Smith. È una distinzione antropologica fondamentale, con conseguenze economiche divergenti. In sostanza, è vero che i francescani aprono la strada al capitalismo, ma le loro imprese non sono e non sarebbero imprese che generano profitto con qualunque mezzo e lo redistribuiscono solo tra gli azionisti di maggioranza. Per dirla in sintesi estrema

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    3. Abbiamo trovato un punto di contatto: "I francescani sono la cosa più lontana che possa esistere da Hobbes e Smith". Concordo. Anche il "capitalismo" di cui parlo io è sideralmente lontano da questi due infausti pensatori =)

      Damiano Mondini

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    4. "Di cui parlo io"...in realtà, di cui parlano i filosofi e gli economisti da me rapidamente citati in questo e in altri articoli.

      Damiano Mondini

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  3. Le cose che scrivi sono molto interessanti. A me preme sottolineare solo che esiste l'economia civile di mercato, l'economia sociale di mercato, l'economia capitalistica di mercato. La dottrina sociale della Chiesa si esprime più a favore della prima, essendo oltretutto equidistante da statalismo e liberismo. Il cristianesimo non è socialista né tantomeno liberista. Esalta la libertà dell'individuo, ma la riconduce alla promozione della persona umana nella sua integrità, al bene comune, ai concetti di dono e gratuità, di giustizia e fratellanza. (Il pensionamento di Weber è cosa acquisita).

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    1. Sono sempre più persuaso che, nonostante si sia forse iniziato col piede sbagliato, protremmo trovarci d'accordo su molte cose. Non ultimo il pensionamento di Weber ;)

      Damiano Mondini

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