domenica 10 marzo 2013

Cattolici per il capitalismo (parte prima)

di Damiano Mondini

E’ un luogo comune diffuso quello secondo il quale il pensiero cristiano – e segnatamente quello cattolico – dovrebbe porsi inevitabilmente in contrasto con l’economia di mercato, e per il quale d’altro canto il messaggio evangelico presenterebbe numerosi punti di contatto con le sollecitazioni socialiste. I riferimenti in questi senso sono molteplici, essendosi ormai accumulati due secoli di interpretazioni gauchistes del Vangelo: da Le nouveau christianisme del conte di Saint-Simon (1825), alle esperienze dei “Cristiani per il socialismo” e della “Teologia della Liberazione” nel Sud America degli anni Settanta, alle figure del cattolicesimo democratico italiano – basti menzionare Giuseppe Dossetti e Amintore Fanfani. Fautori e detrattori del capitalismo di mercato sembrano ormai concordare su di un punto, ovverossia che “il Vangelo è socialista” : il buon cristiano dovrebbe dunque guardare con sospetto ai “gran sabba degli istinti capitalistici” e propendere per una loro ferrea regolamentazione in chiave redistributiva e solidaristica; d’altra parte, i sostenitori del libero mercato e della libera iniziativa privata dovrebbero fuggire le superstizioni religiose del cristianesimo, considerandole l’ennesima riproposizione del ben noto e odiato spirito anticapitalistico. Ciò premesso, ci riproponiamo in questa sede di avanzare delle critiche a questi leit motiv – osservazioni che naturalmente non pretendono di essere definitive, né tanto meno di esaurire un dibattito accesso e tutt’altro che concluso a livello accademico. Saranno sufficienti alcune evidenze fattuali, cui accenniamo ora e che andremo poi a sviluppare, a far sospettare che dietro la semplice impostazione suddetta vi siano quanto meno delle linee di faglia.

Innanzitutto, non può essere ignorata la tesi – avanzata fra i più noti da Karl Marx e Werner Sombart – per cui una manifestazione particolare della religione cristiana, la sua derivazione protestante, sarebbe il prodotto dell’affermarsi del modo di produzione capitalistico. Sul fronte opposto si colloca la celebre e discussa argomentazione di Max Weber, per la quale sarebbe lo “spirito del capitalismo” ad essere il portato storico dell’affermarsi della Riforma luterana e calvinista. Infine, dovrà essere adeguatamente analizzata quella posizione – di cui si sono fatti portavoce gli esponenti della Seconda Scolastica spagnola, diversi economisti di Scuola Austriaca e lo stesso san Josemarìa Escrivà de Balaguer – secondo cui il cattolicesimo avrebbe elaborato una propria etica del mercato e del lavoro, eterogenea a quella protestante, la quale avrebbe avuto un ruolo storico di primaria importanza e avrebbe prodotto un capitalismo alternativo a quello moderno ed industriale figlio delle sette riformate.
L’etica protestante e lo spirito del capitalismo
E’ risaputo cosa il filosofo di Treviri pensasse della religione: essa era per Marx “l’oppio dei popoli”, una potente ideologia in grado di ottundere i sensi dei membri della classe sfruttata e di corroborare così il loro sfruttamento da parte della classe dominante. La lettura materialistica della storia condusse Marx a considerare ogni sovrastruttura ideologica il portato della struttura economica: in questo modo la religione si configurava come un prodotto di un determinato modo di produzione atto a reiterarne il dominio. Per quanto concerne il modo di produzione capitalistico caratterizzante la modernità, esso aveva dato luogo ad un credo religioso particolarmente adatto a sorreggerlo, quello protestante. Questa lettura marxiana – al di là della sua correttezza, di cui come vedremo è lecito dubitare – rende subito evidente un dato, ovverossia che il fenomeno economico e quello religioso non sono per nulla eterogenei, essendo anzi in simbiosi. Ancor di più, l’analisi di Marx testimonia come non vi sia affatto opposizione ideologica fra le istanze del capitalismo industriale e quelle del cristianesimo protestante, essendo il secondo conseguenza del primo. Marx rileva correttamente come gli insegnamenti protestanti siano in perfetta sintonia con le esigenze del nascente capitalismo moderno, dimostrando che – almeno nella prospettiva del cristianesimo riformato – il Vangelo non propone dottrine in se stesse contrastanti l’economia di mercato.
Ciò nondimeno, non è Marx l’autore cui ci si riferisce solitamente per testimoniare la relazione causale fra capitalismo e protestantesimo: al contrario, l’intellettuale di riferimento è proprio colui che ha scritto che
il rapporto causale è in ogni caso l’inverso di quello che si dovrebbe postulare dal punto di vista “materialistico”. Ma la giovinezza di tali idee è sempre più ricca di spine di quanto non suppongano i teorici della “sovrastruttura”, e il loro sviluppo non si compie mai come quello di un fiore.
Si tratta naturalmente del Max Weber de Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus (1904-1905). Com’è noto, Weber riteneva che fosse la fede protestante causa diretta dell’affermarsi dello “spirito del capitalismo”; quest’ultimo, nella definizione weberiana, consiste in
una mentalità che assegna un valore etico positivo all’attività economica distinguendola dal mero desiderio di denaro (la auri sacra fames); che esercita la professione con il sentimento di compiere un dovere morale; che adotta un atteggiamento dinamico, creativo e responsabile per cui è disposto a lavorare in modo indefesso, ad assumere dei rischi, a fare delle ricerche per migliorare quanto più possibile la sua attività ed anche a guadagnare e a produrre sempre di più.
Weber si sarebbe trovato d’accordo con le parole del cattolico liberale Lord Acton, per il quale la religione era “la chiave della Storia”; avrebbe anche condiviso con Keynes e Hayek la convinzione per cui Ideas have consequences – sono  le idee ad avere conseguenze, non tanto i sistemi produttivi come riteneva Marx. Per il sociologo tedesco non soltanto le regole sociali non sarebbero il precipitato dei modi di produzione, ma sarebbe anzi vero l’esatto contrario. Non è questa la sede per entrare nello specifico dell’analisi weberiana delle dottrine del Beruf, dell’ascesi intramondana e della predestinazione, e del modo in cui queste avrebbero avuto l’effetto non intenzionale di dare vita al capitalismo industriale moderno. Siano sufficienti alcuni brevi cenni. Per il protestante – ed in modo precipuo per il calvinista ed il puritano – il lavoro si poneva come un dovere morale mediante cui glorificare Dio per la grazia ricevuta; di più, il successo professionale era il segno evidente della predestinazione alla salvezza eterna, mentre l’insuccesso e la devianza conseguente testimoniavano la propria dannazione, secondo la volontà imperscrutabile e arbitraria del Signore.

Sola fide, sola gratia aveva scritto Lutero: non le opere buone avrebbero salvato la propria anima, non la redenzione dei peccati o i sacramenti spuri del cattolicesimo romano; solo la fede e la grazia avrebbero condotto l’uomo alla salvezza eterna. Calvino era stato finanche più radicale, rescindendo qualsivoglia legame con le “superstizioni magiche” del cattolicesimo: il Dio calvinista aveva già deciso il destino di ognuno, indipendentemente dalla condotta di vita terrena, senza alcun riferimento a criteri umani di giustizia e senza possibilità di redimersi con il perdono; all’uomo era data nondimeno la facoltà di conoscere – per quanto possibile – la propria sorte, e ciò attraverso il successo lavorativo. Portare il fedele ad assumere una “condotta di vita razionale” che rendeva il lavoro, il guadagno e il reinvestimento dei fini in se stessi, e non dei mezzi per soddisfare i propri bisogni: questa era stata la conseguenza inintenzionale del credo calvinista, che aveva creato terreno fertile per il sorgere dello “spirito del capitalismo”. Weber non testimonia soltanto la correlazione strettissima fra capitalismo e  protestantesimo: delinea altresì un ben preciso modello economico, culturale ed istituzionale, quello del capitalismo precipuo dell’Occidente moderno: una realtà affermatasi nell’Inghilterra della rivoluzione industriale, nelle aree tedesche a più densa presenza protestante e negli Stati Uniti del Nord – quel New England puritano ed industrializzato che aveva sempre fatto da contraltare al Sud anglicano e rurale. Weber suggerisce una tesi forse ancora più interessante: che questo idealtipico “spirito del capitalismo”, proprio perché prodotto del protestantesimo, sia in contrasto con l’etica cattolica e da questa avversato.

Torniamo dunque circolarmente alla tesi con cui avevamo esordito: se infatti il cattolicesimo si colloca agli antipodi della moderna economia di mercato, è facile accostarne il messaggio a quell’impostazione socialista che nasce col dichiarato intento di superare dialetticamente il capitalismo. A prima vista parrebbe contraddittorio ritenere che il Vangelo sia socialista solo per i cattolici e non per i protestanti. In effetti fra le più poderose conseguenze dalla Riforma vi fu la polverizzazione dell’esegesi biblica: Lutero aveva insistito affinché fosse estirpata l’intermediazione ecclesiastica, che nel cattolicesimo accompagnava i fedeli nella lettura delle Sacre Scritture. La ragione del proliferare delle più disparate sette protestanti nei secoli sta proprio nella dottrina del “libero esame” della Bibbia che fu un cardine del credo riformato – anche se non è chiaro come potessero convivere in Lutero il “libero esame” ed il “servo arbitrio”; e d'altro canto l'affermarsi del luteranesimo e del calvinismo non produsse esperimenti politici particolarmente liberali. In breve, se ogni fedele deve essere libero di leggere ed interpretare autonomamente la Parola di Dio, la funzione del clero diventa marginale, se non inutile in se stessa: questo potrebbe d'altra parte mettere in luce il ruolo avuto dal protestantesimo nel processi di secolarizzazione e di progressivo distacco dalle convinzioni religiose che hanno accompagnato la modernità.

Ciò che tuttavia è rilevante ai fini della nostra analisi è la profonda divergenza interpretativa del messaggio evangelico che intercorre fra cattolicesimo e cristianesimo riformato. Pare significativo a chi scrive che siano sovente gli stessi intellettuali che condividono l’impostazione weberiana a sostenere i due seguenti corollari: in primo luogo, che vi sia nel capitalismo moderno qualcosa di intrinsecamente sbagliato che necessita di essere superato – se non proprio rivoluzionato dalle fondamenta in un'ottica socialista. In secondo luogo, che come accennato poc’anzi l’etica cattolica sia in se stessa anticapitalistica, quando non del tutto antimodernista; il dibattito si porrebbe semmai fra i cattolici di sinistra – che parteggiano per un cattolicesimo anticapitalista ma progressista – e gli anticlericali di sinistra – che condannano in egual misura religione ed economia di mercato. La diatriba sul tema è in realtà molto più ampia e sofferta. Il professor Carlo Lottieri, docente di Dottrina dello Stato presso l’Università di Siena, riassume così i due principali punti di vista contrapposti del panorama accademico mainstream:
uno cattolico, antimoderno e avverso al capitalismo (in nome di logiche comunitariste e solidariste); e uno favorevole alla Riforma, alla modernità e al capitalismo (magari solo come “tappa”, in senso hegelo-marxiano, verso una sua cancellazione e sostituzione), e per questo risolutamente anti-cattolico.
Questa impostazione appare nondimeno fuorviante quando ci si confronta con un’interpretazione alternativa del cattolicesimo medesimo, che si pone in un’ottica estremamente favorevole al libero mercato, ostile ad una modernità di cui il laicismo e lo statalismo sono i caratteri più marcati, ed altrettanto in contrasto con quel “Geist des Kapitalismus” che per Weber anima lo sviluppo dell’Occidente industrializzato.
[CONTINUA...]

8 commenti:

  1. Dopo la lettura del post ho qualche motivo in più per continuare a dirmi anticapitalista e almeno uno per dirmi anticattolico.

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    1. Non era esattamente lo scopo che mi ero prefisso di raggiungere, ma mi fa comunque piacere che l'articolo abbia corroborato le sue convinzioni.

      Damiano Mondini

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  2. a un monaco agostiniano (entrato in monastero per sfuggire a una vendetta privata) che trasse pretestoda una pretesa "corruzione" della Chiesa per fondare una religione completamente nuova. Per questo è inesatto parlare di "Riforma".
    Infatti se il problema fosse stato davvero costituito dalla vendita delle indulgenze, delle cariche ecclesiastiche e dalla non osservanza del celibato ecclesiastico, si sarebbe potuto benissimo ovviare a tali abusi semplicementeeliminandoli. Non era la prima volta che la Chiesa si autoriformava sotto l'impulso di Santi (pensiamo a san Francesco), e lo stesso Lutero venne invitato al Concilio di Trento per esporre le sue tesi. Ma non ci andò. Ormai si era spinto troppo in là ed aveva rivelato dove realmente voleva andare a parare. Personalmente ossessionato
    dal sesso, dal demonio e dal peccato, proprio la notte di Ognissanti del 1517 (per coincidenza è la "notte delle streghe") affisse le sue famose "Tesi" sulla porta della chiesa di Wittemberg, la prima delle quali diceva che tutta la vita del cristiano deve essere una penitenza.;.
    Questa allegra prospettiva fu puntellata con tutta una serie di rivendicazioni che, di fatto smantellavano completamente il Cattolicesimo: abolizione della gerarchia ecclesiastica perché ogni cristiano può interpretare da solo le Scritture, abolizione del culto dei Santi e della Madonna, sostituzione della Messa (in cui si ripete il sacrificio di Cristo) con una semplice commemorazione dell'Ultima Cena, abolizione degli ordini religiosi e della Confessione.
    Naturalmente finì come doveva finire: se ogni cristiano è libero di interpretare le Scritture come vuole perché dovrebbe interpretarle come dice Lutero? Infatti già durante la sua vita le sètte protestanti si moltiplicarono. Ma lui instaurò un clima di terrore e ricorse ai prìncipi tedeschi per reprimere nel sangue ogni dissenso.
    Cominciarono le guerre di religione e la Cristianità si spaccò per sempre. L'Inghilterra di Enrico VIII, la Munster degli Anabattisti, la Ginevra di Calvino, la Scozia di Knox e la Francia degli Ugonotti divennero teatro di massacri senza fine, a cui si poté porre termine solo con il compromesso del
    "cuius regio eius religio".

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  3. Adesso ogni suddito doveva obbligatoriamente professare la religione dello stato in cui viveva, cosa che portò all'instaurarsi di inquisizioni e alla repressione di ogni diversa religione all'interno di ogni stato. Le idee protestanti, in tutte le loro forme, veicolate attraverso la nuova invenzione della stampa, crearono dappertutto fermenti, rivolte e stragi.
    Le novità introdotte dalla cosiddetta Riforma furono: la dottrina della
    Predestinazione e l'impossibilità della Confessione liberatoria, che determinarono una psicologia pessimistica (da qui la plumbea "austerità" delle popolazioni nordiche). La sottoposizione della religione allo Stato e la conseguente creazione di chiese nazionali abituò i protestanti all'obbedienza al governo, con la stessa intensità con cui prima si doveva obbedire a Dio stesso. Le donne, private anche della possibilità della carriera ecclesiastica, finirono "angeli del focolare" e vennero relegate in ruoli esclusivamente casalinghi. La sessuofobia di Lutero venne portata ad esasperazione dai Puritani inglesi, i quali la trapiantarono in America. Non è un caso se è proprio in quella nazione che i presidenti sono costretti alle dimissioni se scoperti in flagranza di adulterio. In Italia invece il senatore a vita anziano ( che presidererà la prossima prima seduta del Senato ) è un tranquillo cocainomane ed omosessuale . Il bigottismo sessuale, poi, generò il suo contrario per reazione: infatti la rivoluzione sessuale rockettara e poi sessantottina è partita proprio dagli Usa.
    Ancora: Lutero vietò le immagini sacre, costringendo l'arte alla sola musica: per questo motivo le zone
    protestanti partorirono da allora in poi praticamente solo musicisti
    La drastica diminuzione delle feste e della "gioia di vivere" (come si fa, infatti, a sapere se si è "predestinati" o meno?), ha prodotto quel concentrarsi nel lavoro, quel reinvestire continuo, quella attitudine all'irregimentazione, quello sfruttamento degli operai (i poveri, come nell'Antico Testamento, sono tali perché "peccatori", non predestinati), quella propensione all'alcool (non si può sempre fingere una virtù che non si ha: ogni tanto bisogna "rilassarsi") che è assente nei paesi latini, quel reprimere la manifestazione pubblica dei sentimenti che porta da un lato all'ipocrisia, dall'altro allo sbracamento (impeccabili di giorno e ubriachi fradici il week-end; il , l'occultamento delle emozioni ai funerali e gli hooligans; e così via), ma ha determinato l'ineluttabile superiorità economica e militare dei paesi nordici. Questo tipo di mentalità da "predestinati", incontrando il darwinismo, ha generato il razzismo biologico, prima totalmente sconosciuto.
    Si noti come nei film anglosassoni non si mangi quasi mai: si beve. Nel West c'erano i
    saloon, dove si beveva ma non si mangiava. E da dove ogni tanto le benpensanti nerovestite della città facevano cacciare le "svergognate" ballerine.

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  4. Della grande tragedia che distrusse l'unità cristiana cosa è rimasto? Chi, oggi, pensa ancora che le buone opere non servano a niente? Chi crede in un Dio che ha predestinato al paradiso solo alcuni, mentre tutti gli altri sono dannati qualunque cosa facciano? Chi è spiacente che tutti i capolavori dell'arte sacra non siano stati distrutti? Chi vorrebbe al potere solo persone in "stato di grazia"? La storia e il buonsenso hanno dato ragione al Cattolicesimo "papista", piaccia o no. Certo oggi sono molti quelli che si rivolgono a nuovi culti o a vecchi culti riverniciati. Ma il mix di spiritismo, astrologia, reincarnazionismo chiamato New Age, ha davvero maggiore attendibilità scientifica di Babbo Natale? Il neo-buddismo è una religione? No, è una filosofia tutto sommato nichilista. Il suo fondamento (nelle sue infinite varianti) è questo: liberarsi dal desiderio per liberarsi dal dolore, evitare le cattive azioni per uscire dal ciclo delle reincarnazioni e raggiungere il Nirvana (cioè il Nulla, dove non c'è dolore, ma neanche gioia). Se uno soffre non ci si può far niente: è il suo karma; è stato cattivo in una vita precedente. In fondo queste "religioni" sono la proiezione mistica (insopprimibile nell'uomo) dell'edonismo imperante. Ognuno si crea una sua religione-fai-da-te, con un Dio che è a propria immagine e somiglianza.
    Anche il proliferare di stregoni, maghi e cartomanti ha lo stesso scopo: star bene ed avere fortuna. Molti cercano di ovviare al proprio disagio esistenziale tuffandosi in una qualsiasi delle offerte che l'attuale "supermarket delle religioni "

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  5. C è chi ancora sostiene che la rivoluzione protestante abbia aperto la via alla "libertà". E' vero l'esatto contrario.
    Spezzato il monopolio romano sulla religione il compromesso "cuius regio eius religio"
    consegnò le varie chiese, ormai "nazionali", al potere civile. I re, ormai, non riconoscevano più l'autorità morale del Papa. Dunque su di loro adesso c'era solo Dio. In Inghilterra lo scisma di Enrico VIII proclamò il re capo della chiesa anglicana: cioè lo dichiarò "papa" nei suoi possedimenti, con potere di decidere in materia di dogmi e di fede (cosa che i sovrani inglesi hanno ancora oggi). Chi la pensava diversamente non era più solo eretico ma anche "traditore", passibile di impiccagione e conseguente squartamento del cadavere. Già lo vedemmo, ne fecero le spese oltre settantamila cattolici (tra parentesi, solo alla fine del secolo scorso cessarono le discriminazioni amministrative nei confronti dei cattolici inglesi). La dittatura di Cromwell completò l'opera sterminando mezza Irlanda in uno dei primi genocidi organizzati della storia.
    Le idee espresse dall'Umanesimo, maturate nel Rinascimento ed esplose nella Riforma vennero poco a poco condensate sul piano politico da un ceto di "legisti", stipendiati dai sovrani. Costoro presero
    a costruire teoricamente lo stato moderno, quello al di sopra del quale non c'è niente e nessuno. Ai re faceva comodo, naturalmente. Finì che la volontà di Dio venne identificata con quella del sovrano, il quale divenne "assoluto", cioè ab (legibus) solutus,
    "sciolto dalle leggi" che egli stesso emanava …..

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  6. Il capitalismo nasce in Italia nelle città-stato medievali, così come nascono in Italia le banche, le assicurazioni, la contabilità. Vogliamo parlare delle università? Sono nate in Italia da sole, frutto di libere associazioni tra studenti e docenti, senza l'appoggio né della Chiesa, né dello Stato, sette secoli prima che Adam Smith teorizzasse la "mano invisibile". Avrei tanti altri esempi, ma mi limito a questi. Se il capitalismo "mediterraneo" se la passa male non è certo a causa del cattolicesimo.

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    1. Una cronaca encomiabilissima =) in pratica mi ha anticipato la seconda parte! Ed è stato molto più anti-protestante rispetto al tenore conciliante del mio articolo. Vivissimi complimenti!

      Damiano Mondini

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