mercoledì 10 ottobre 2012

Invito al pensiero di Murray N. Rothbard (parte seconda)

di Damiano Mondini

Dal liberalismo all’anarchismo
I liberali sono anarchici ma non lo sanno, gli anarchici sono liberali ma non lo vogliono dire, e i libertari sono liberali e anarchici consapevoli ed espliciti, anzi: sono anarchici perché liberali.
                Nicola Iannello

Nel regno della politica, ovvero nell’azione dello Stato, il diritto naturale fornisce all’uomo una serie di norme che possono essere radicalmente critiche nei confronti del diritto positivo esistente imposto dallo Stato. […] La semplice esistenza di un diritto naturale che la ragione può scoprire [è] una minaccia, potenzialmente assai seria, allo status quo e un permanente atto d’accusa al regno della cieca adesione alla tradizione o a quello dell’arbitraria volontà dell’apparato statale.
Murray N. Rothbard


Il pensiero anarchico americano precedente a Rothbard (si pensi a Henry David Thoreau, Benjamin Tucker e Albert Jay Nock) aveva identificato lo Stato come il supremo detentore del potere politico, ovvero della possibilità di intervenire coercitivamente nella società e nella vita degli individui. Questi pensatori, diversamente da molti anarchici europei ben più nichilisti, non sognavano la disgregazione dei legami sociali e il caos generale: al contrario,  essi credevano nella società come insieme dei rapporti spontanei e volontari fra gli individui, nei quali non intervenissero né coercizione né potere arbitrario. Il loro volontarismo, dunque, innalzava la società civile e condannava lo Stato come immorale ed illegittimo. Il sociologo tedesco Franz Oppenheimer aveva sostenuto che vi fossero due modi per ottenere ricchezza: il primo modo consiste nello scambio volontario, nel lavoro, nella compravendita e nel dono, è considerato legittimo ed è definito “mezzo economico”; il secondo modo consiste nel furto o nell’appropriazione indebita, nell’espropriazione coercitiva e violenta della ricchezza prodotta da altri, è considerato illegittimo e viene definito “mezzo politico”. Rifacendosi a questa analisi, gli anarchici americani concludevano che lo Stato non è altro che il supremo organizzatore dei mezzi politici. Rothbard si inserisce nel solco di questa tradizione, e contribuisce a rafforzarla attraverso la dottrina del diritto naturale. Innanzitutto, lo Stato deve la sua stessa esistenza alla violazione dell’assioma di non aggressione, essendo il suo potere imposto ai cittadini, senza derivare da un loro esplicito consenso; del resto, nessuna persona dotata di senno acconsentirebbe spontaneamente a che un’autorità coercitiva imponga il proprio controllo unilaterale sulla sua vita e le sue proprietà. In secondo luogo, lo Stato si mantiene attraverso la tassazione, che si configura come un’espropriazione coercitiva, e non certo volontaria, della legittima proprietà di ognuno: una sorta di “furto legalizzato” cui difficilmente corrispondono servizi proporzionati, non essendovi il fondamentale incentivo all’efficienza dato dal meccanismo della concorrenza, tipico del mercato ma non dello Stato. Inoltre, detenendo il monopolio della forza, oltre che della tassazione, lo Stato si premura di non avere possibili concorrenti che possano indebolire il suo potere, vulnerando ulteriormente il diritto all’autodeterminazione dei propri cittadini, che in questo modo divengono sudditi del suo arbitrio. Più lo Stato si impone, dunque, più gli uomini scivolano verso quella che Hayek ha definito la “via della schiavitù”. La soluzione proposta da Rothbard è tanto semplice quanto radicale: lo Stato, detentore del monopolio della forza e organizzatore dei mezzi politici, va espunto totalmente dall’ordine sociale: solo così si possono tutelare i diritti degli individui, e la società può dirsi giusta almeno nelle sue primarie fondamenta.


Prospettive libertarie per una società anarchica
Se la demolizione dello Stato rappresenta la pars destruens della filosofia politica rothbardiana, la pars construens consiste nel delineare possibili scenari relativi ad una futura (e forse improbabile) società organizzata in forme non statuarie. In linea coi principi del liberalismo classico, resi coerenti nel XX secolo dal pensiero di Hayek, Rothbard conviene che tutta la fornitura di beni e servizi possa essere gestita da agenti privati, ossia da liberi cittadini singolarmente o in comproprietà, in concorrenza sul mercato.  Che quest’ultimo possa funzionare correttamente è dimostrato dai numerosi studi della Scuola Austriaca, cui lo stesso Rothbard contribuisce con importanti e voluminosi scritti di economia come Man, Economy and State (1962), Power and Market (1970) e America’s Great Depression (1963). Rothbard e gli Austriaci sostengono con forza che lo Stato non debba avere alcun ruolo nella gestione del sistema economico, come invece ritengono i marxisti, i keynesiani e in qualche misura anche i monetaristi come Milton Friedman. Rimane l’ultima fondamentale questione che divide i liberali classici dagli anarchici liberali: se allo Stato vada riservato il monopolio della forza ; per Max Weber è infatti quest’ultimo carattere che differenzia lo Stato da altre tipologie di aggregati sociali. Se i liberali sono sostanzialmente miniarchici, ossia favorevoli ad uno “Stato minimo” o comunque leggero, Rothbard è chiaramente anarchico nel sostenere la necessaria denazionalizzazione della giustizia e dei codici legali. Innanzitutto, uno Stato che impone il proprio modello giuridico su una data area non cessa di usare violenza ai cittadini, fintanto che a questi è impedito di optare per scelte alternative. In secondo luogo, uno Stato cui fosse concesso un uso seppur minimo della forza sarebbe pressoché certamente propenso ad allargarlo; contrariamente ad ogni concezione “immacolata” dello Stato[1], la storia dimostra come sia lo “Stato minimo” la vera utopia, non una società senza Stato, che al contrario è storicamente esistita ed è peraltro l’unica autenticamente morale. Rothbard non esclude, ed anzi auspica, la realizzazione di comunità volontarie e spontanee, in cui gli individui scelgano volontariamente di vivere, adeguandosi ad un particolare ordinamento legale, uno fra i tanti in concorrenza; nel suo linguaggio, si tratta di “decostruire lo Stato-nazione in nazioni per consenso” (nations by consent). Certamente, Rothbard non fu mai un utopista per il quale l’unica possibile azione fosse abolire il governo: al contrario, riteneva che il potere dello Stato andasse ridotto il più possibile e in ogni modo, e in vita ha sempre lavorato per questo. In ogni caso, la nascita, sul suolo statunitense, di numerose privatopie o counties, comunità private sul modello da lui delineato, testimonia come  le sue idee rivoluzionarie, almeno in parte, abbiano attecchito.

Bibliografia (ultra)minima
(a cura di) N. IANNELLO, La società senza Stato (2004, Rubbettino-Leonardo Facco)

C.LOTTIERI, Il pensiero libertario contemporaneo (2001, Liberilibri)
M. ROTHBARD, La grande depressione (1963, in Italia per Universale Rubbettino)
M. ROTHBARD, Per una nuova libertà (1973, in Italia per Liberilibri)
M. ROTHBARD, L'etica della libertà (1982, in Italia per Liberilibri)


Note:
[1] = Il riferimento ironico e polemico è allo “Stato minimo” teorizzato da Robert Nozick in Anarchy, State and Utopia (1974). Si veda Nozick e l’immacolata concezione dello Stato in L’etica della libertà.

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