giovedì 10 ottobre 2013

La Moneta Merce di Sintesi [prima parte]


di George Selgin (traduzione di Tommaso Cabrini)

Quanto segue è un estratto dal paper di George Selgin "Synthetic Commodity Money"


Le Basi Monetarie Convenzionali

L’effettivo controllo della massa monetaria è, fondamentalmente, questione di stabilire uno standard che sia in grado di regolare la crescita della moneta in modo coerente con il mantenimento della complessiva stabilità macroeconomica. La natura del sistema bancario può avere riflessi sulla capacità di espansione della base monetaria per far fronte ai bisogni di un’economia. Ma lo standard monetario ideale è quello in grado di dare una relativa stabilità a fronte delle innovazioni bancarie.

Di conseguenza, la ricerca di una base monetaria “ideale” ha attratto a lungo gli economisti monetari. Solitamente la ricerca è partita dal presupposto che tutte le basi monetarie ricadano in due categorie: la moneta “merce” e la moneta “fiat”. Tuttavia, l’analisi degli attributi convenzionalmente assegnati a queste tipologie, suggerisce che questa dicotomia convenzionale sia fuorviante, se non addirittura falsa, poiché distoglie l’attenzione da una serie di potenziali basi monetarie, le cui caratteristiche sono tali da renderle particolarmente idonee a formare le fondamenta di regimi monetari che si dimostrino sia macroeconomicamente stabili sia di robusta costituzione.


Secondo la definizione condivisa, la moneta “merce” consiste in, come il termine suggerisce, qualche bene commercialmente utile, qualcosa che abbia altri usi oltre l’essere un mezzo di scambio1, e che inoltre sia spontaneamente scarso, questo conduce ad un valore di equilibrio positivo, che (supponendo produttori in libera concorrenza) sia uguale al suo costo marginale di produzione.

La moneta “fiat”, al contrario, è normalmente intesa come banconote cartacee, o depositi presso la banca centrale prontamente convertibili in tali banconote, che sono utili unicamente come mezzi di scambio, e che implicano un valore di equilibrio molto lontano dal loro costo marginale di produzione, che è prossimo allo zero. Ne consegue che la scarsità di moneta fiat non è una scarsità “spontanea” ma necessita di essere pianificata. In quanto tale, la moneta fiat, a differenza della moneta merce, non si presta ad una offerta in regime di concorrenza, qui intesa come produzione rivale di unità omogenee, poiché, come ha osservato Milton Friedman (1960, p.7), tale produzione tenderebbe ad azzerarne il valore:
Finchè la moneta fiduciaria [fiat] presenta un valore di mercato superiore ai suoi costi di produzione […] ogni emittente ha l’incentivo a produrne quantità addizionali. Una moneta fiduciaria probabilmente tenderebbe, attraverso l’incremento di emissione, a degenerare in una moneta merce – letteralmente in un paper standard – non ci sarebbe alcun equilibrio stabile del livello dei prezzi finchè il valore della moneta non sia diminuito fino a quello della carta che contiene”.

A dir la verità, poiché la quantità nominale di moneta fiat può essere incrementata senza ricorrere a più carta ed inchiostro, semplicemente fornendo banconote con una denominazione maggiore “non risulta chiaro che esista alcun livello dei prezzi finito” che possa costituire un equilibrio (ibid.).

L’offerta monopolistica risulta, quindi, una condizione necessaria per la moneta fiat affinché conduca ad un valore di equilibrio positivo, e possa quindi potenzialmente essere utile come fondamento della stabilità macroeconomica. Ma l’offerta monopolistica non è condizione sufficiente, un produttore monopolista di moneta fiat che voglia massimizzare il proprio profitto troverebbe vantaggioso espandere lo stock monetario ad un ritmo di gran lunga superiore a quello richiesto per sostenerne il potere d’acquisto. Per questa ragione la scarsità di moneta fiat deve essere programmata, non solo monopolizzandone la produzione, ma spingendo il monopolista ad offrire una quantità di moneta inferiore a quella che massimizzerebbe il profitto.

Lo svantaggio della moneta fiat, rispetto alla moneta merce, risiede proprio nel fatto che la sua scarsità, venendo così pianificata, è anche contingente. Si tratta solamente di una questione di scelta politica, soggetta a modifiche al volere delle autorità monetarie o, se tali autorità sono legate ad una regola monetaria, a quelle del legislatore. Di conseguenza, anche se una moneta fiat può essere gestita in modo tale, non solo da preservarne il potere d’acquisto nel tempo, ma anche da conseguire la massima stabilità macroeconomica possibile, non vi è alcuna garanzia che venga effettivamente amministrata in questo modo, e le stesse forze del mercato non offrono un efficace controllo contro una cattiva gestione.

La storia della moneta fiat, inoltre, rende chiaro che il rischio di una grave mala gestione è ben lungi dall’essere piccolo, sebbene esperienze recenti offrano eccezioni all’affermazione di Irving Fischer (1920, p.131) secondo la quale “La moneta cartacea irredimibile ha pressoché invariabilmente portato disgrazia al Paese che la utilizza”, tali esperienze ci offrono ulteriori esempi della spericolata, se non addirittura disastrosa, mala gestione delle monete fiat. 
 
Anche le monete merce hanno i loro lati negativi, ovviamente. Sono vulnerabili agli shock dell’offerta – si tratta di traumi che cambiano l’offerta programmata di moneta. Nel caso di monete metalliche questi shock possono essere sia scoperte di nuovi depositi ad alta resa sia l’adozione di nuovi mezzi a basso costo per l’estrazione di minerale da fonti già conosciute. In assenza di positive innovazioni dell’offerta, d’altro canto, il logoramento delle monete in circolazione e i crescenti costi marginali di estrazione porteranno, in un’economia in crescita, alla deflazione. Cambiamenti nella domanda non monetaria della merce valutaria possono a loro volta destabilizzare un sistema monetario. Se, per esempio, l’Inghilterra del diciottesimo secolo fosse stata basata su un copper standard, avrebbe potuto precipitare in una crisi deflattiva per la scoperta, da parte della Royal Navy, dell’utilizzo del rame per la fasciatura degli scafi, che portò ad un drastico incremento nella domanda di quel metallo, e quindi nel suo prezzo relativo.

Infine, le monete merce sono costose. Milton Friedman (1962, p.221; e 1960, pp. 4-8) valutò il fatto che una moneta merce “richiede risorse reali immesse nello stock di moneta” come il “difetto fondamentale” di tale standard monetario. E, sebbene Lawrence White (1999, pp.42-8) abbia dimostrato che Friedman abbia fortemente sovrastimato il costo in risorse di un gold standard2, la realtà rimane che una moneta fiduciaria utilizzi, in via di principio, minori risorse rispetto ad una genuina moneta merce, sia come circolante sia come riserva bancaria3


 
1 Si intende qualcosa di “intrinsecamente” utile, per usare un’espressione comune e sintetica (per quanto inaccurata).
2 Ad essere onesti, Friedman parte dalla premessa che il solo commodity standard “genuino” sia quello nel quale la moneta sia rappresentata unicamente dalla commodity stessa, o da diritti interamente coperti da moneta. Fu portato a ciò dalla sua credenza che l’ammissione di qualsiasi elemento “fiduciario” necessariamente introducesse una forma di discrezione monetaria. Friedman si è reso colpevole di confondere le conseguenze derivanti dalla presenza di banche commerciali a riserva frazionaria con quelle derivanti dalla presenza di una banca centrale a riserva frazionaria; alla fine, però, rivide le sue opinioni in merito (Friedman e Schwartz 1986). Sebbene il costo in risorse calcolato da Friedman di una moneta merce non si applichi al gold standard come storicamente realizzato, esso si applica alle proposte di regimi monetari a riserva intera, inclusi quelli proposti da Murray Rothbard (1962) e James Buchanan (1962) nei loro contributi a “In Search of a Monetary Constitution”.
3 Alla prova pratica, come Friedman (1986) stesso ammise in seguito, sebbene i costi diretti per l’utilizzo di una moneta fiat possano essere relativamente bassi, i costi indiretti derivanti dall’incertezza del livello dei prezzi tendono ad essere relativamente alti.

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