di Paolo Amighetti
Dove si collocano i libertari? A destra o a sinistra dello schieramento politico? La domanda mette in imbarazzo l'intero microcosmo antistatalista. Senza pretendere di esaurire la questione, proviamo a diradare la nebbia. Cominciamo con una premessa, sperando di non annoiare: i termini «destra» e «sinistra», che distinguono le fazioni in seno ai parlamenti, fanno parte del vocabolario politico dell'età moderna; l'età del trionfo dello Stato. La fortuna di queste etichette risale agli anni della rivoluzione francese: lo storico Marchel Gauchet scrive che, nell'agosto del 1789, "coloro i quali tenevano alla religione e al re si erano messi alla destra del presidente [della commissione incaricata di discutere la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, n.d.A.], per sfuggire alle urla, ai discorsi e alle indecenze che avevano luogo nella parte opposta".[1]
Se a «destra» stavano i moderati, a «sinistra» sedevano i radicali. Nei decenni successivi, tale disposizione divenne comune a tutti i parlamenti, e si iniziò a parlare di «destra» e «sinistra» in tutti gli ambienti politici dell'occidente. Ma i contesti culturali e politici in cui attecchirono questi termini erano profondamente diversi, nel XVIII come nel XXI secolo. Un liberal americano trapiantato da questa parte dell'oceano non si troverebbe a suo agio in un partito «di sinistra» italiano, tedesco o francese; allo stesso modo, un sostenitore nostrano della cosiddetta «destra» (nazionale e corporativa) sarebbe duramente criticato dai conservatives americani, che pure siedono «a destra del presidente». Le parole, insomma, hanno finito per indicare tendenze politiche diverse a seconda della latitudine. Dovremmo dunque chiederci quale destra o quale sinistra, tra le tante, possa fare al caso dei libertari, sempre in cerca di fissa dimora nell'arco costituzionale. Alcuni guardano alla sinistra, che ospitava i progressisti favorevoli al mercato prima che venissero sfrattati dai socialisti; altri preferiscono la destra conservatrice americana, la cosiddetta Old Right alla quale aderì Murray Rothbard. Entrambi questi schieramenti, tuttavia, sono stati sconfitti dalla storia; gli ultimi due secoli hanno condannato le aspirazioni libertarie di qualunque segno e di qualsiasi Paese. Il Novecento, in particolare, segnato dall'avvento dei movimenti socialisti rivoluzionari, ha costretto chi socialista non era a scegliere il campo della reazione, nemica forse di Marx e del comunismo, ma anche (e particolarmente in Europa) delle libertà individuali, della Legge naturale, del mercato.
Qualcosa negli ultimi decenni è cambiato: in America, negli anni '70, è fiorito un movimento libertarian che Rothbard aiutò a crescere e irrobustirsi; la caduta del Muro di Berlino nel 1989 ha spazzato via il miraggio del socialismo reale; in molti Paesi la riscoperta dei maestri del liberalismo e la diffusione del libertarismo odierno hanno ampliato gli orizzonti del pensiero e del dibattito politico. Anche in Italia, a partire dalla fine degli anni '90, è sorto un dinamico movimento intellettuale e culturale capace di animare l'interesse verso gli economisti austriaci, il pensiero liberale classico e quello libertarian. Sempre più persone sono pronte a difendere la causa della libertà: ma dato che quello a cui assistiamo è quasi una resurrezione del liberalismo coerente, non possiamo aspettarci di essere i benvenuti né nella sinistra, socialista e statalista, né nella destra, conservatrice di un ordine liberticida. Il dibattito tra «destra» e «sinistra» riguarda non tanto la legittimità della redistribuzione di ricchezza, quanto le sue proporzioni e le sue modalità; non tanto la moralità del privilegio, quanto chi ne deve beneficiare e chi esserne danneggiato. Sembra proprio che nessuna delle due sponde presti orecchio alle nostre ragioni; e che per un libertario sia naturale chiamarsi al di fuori di questa contrapposizione.
Scrive infatti Rothbard: "Egli [il libertario] ritiene che la coscrizione sia una schiavitù di massa. E poiché la guerra comporta l'uccisione in massa di civili, il libertario la considera omicidio di massa e di conseguenza totalmente illegittima. Tutte queste prese di posizione sono oggi considerate «di sinistra» da un punto di vista ideologico. D'altra parte, però, dal momento che il libertario è anche contrario all'invasione dei diritti sulla proprietà privata, ciò significa che egli altrettanto intensamente si oppone all'interferenza del governo nei diritti di proprietà e nell'economia di libero mercato con l'imposizione di controlli, regolamentazioni, sussidi, proibizioni. [...] Per usare la terminologia moderna, la posizione libertaria per ciò che riguarda la proprietà e l'economia è considerata di «estrema destra» [secondo la tradizione politica americana, n.d.A]. Il libertario, tuttavia, non vede alcuna incoerenza nell'essere «di sinistra» in alcune problematiche e «di destra» in altre."[2]
Insomma: se nella «sinistra» si identificano i progressisti e nella «destra» i conservatori, il libertario può considerarsi progressista quando auspica la fine della coercizione statale e conservatore quando si batte contro nuove forme di dispotismo. Ma non può prendere partito né per la «destra» né per la «sinistra»: entrambe le fazioni fanno da puntello allo Stato, riconoscendone la legittimità. Sarebbe meglio rassegnarsi: per il libertario non c'è posto nell'arco costituzionale. Può limitarsi ad appoggiare oggi l'uno, domani l'altro schieramento, per motivi tattici, votando il «meno peggio», se esiste: ma non può riconoscersi a suo agio in nessuno dei due poli. Che, come tutti i poli di segno opposto, si attraggono.
Note
[1] La disposizione risale per l'esattezza alla convocazione dell'Assemblea Nazionale, di poco precedente alla ratifica della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino.
[2] Piccola antologia del pensiero liberale, pp. 83-84 (Società Libera, Milano, 1999)
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