Ma torniamo a parlare di mercanti, anzi, per poterne analizzare meglio le caratteristiche, facciamo un salto ancora indietro nella storia: nel 774, con l’ultimo re Desiderio finisce la dominazione longobarda in Italia. I guerrieri pannonici vengono sconfitti dai franchi di Pipino e di Carlo Magno e Cremona diventa un ducato franco. Ma i nuovi dominatori non hanno una classe dirigente numericamente forte da soppiantare i longobardi: per governare devono appoggiarsi a loro e soprattutto consegnare il potere in mano ai vescovi che lo esercitano appoggiandosi alla dinastia franca. Anche a Cremona avviene questo passaggio, ma le cose stanno per cambiare: vicino a un’aristocrazia antica abbarbicata attorno al palazzo vescovile sta crescendo una borghesia dinamica, mercantile che scalpita per conquistare il potere, o quanto meno di partecipare al controllo della città e dei suoi traffici. Per ben due secoli questo processo si evince dalla documentazione medievale che riportano continue dispute tra mercanti e vescovo per i diritti sul Po, su alcune terre, su alcuni villaggi e le produzioni.
Infatti, la presenza di una popolazione concentrata richiede l'afflusso in città di derrate alimentari e di prodotti di prima necessità: l'attività terziaria, cioè quella relativa ai servizi di distribuzione, diventa così espletamento di una precisa funzione urbana economica. Gli addetti a tale attività sono i mercanti e fin dall'alto Medioevo la città italiana ospita questa categoria: ne è prova eloquente la lamentela che i Cremonesi rivolgono verso l'851-52 all'imperatore Ludovico II per protestare contro le imposizioni pretese dal vescovo di Cremona dai mercanti cittadini che attraccavano al porto locale. Nella prima metà del IX secolo i Cremonesi, che in precedenza apparivano associati agli abitanti di Comacchio per il commercio del sale, navigavano ormai con navi proprie e si presentavano come una precisa categoria cittadina.
I mercanti furono anche un importante riferimento culturale, impegnati nel delicato compito del consolidamento dell'economia interna, della tutela del commercio internazionale, facendo sì che nella città italiana potesse svilupparsi la figura caratteristica dell'«uomo d'affari», originariamente cambiatore e presta-denari, ma al tempo stesso mercante e imprenditore. Lo spostamento di capitali tramite lettere di credito, lo sviluppo delle banche e della scienza finanziaria presuppongono una vita cittadina che aveva ormai raggiunto livelli di specializzazione ben distinti e lontani dal mondo rurale. Erano infatti i «cittadini» che viaggiavano e commerciavano, dando vita a imperi finanziari: «lombardi» come i Piacentini e gli Astigiani che in società con i Genovesi frequentavano le fiere della Champagne, «toscani», come i Fiorentini e i Senesi che dirigevano grandi compagnie con sede italiana ma con filiali in tutta Europa, come i Peruzzi.
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