domenica 2 settembre 2012

Una lezione di libero mercato, e non solo: Cremona in età comunale (parte terza)

di Camilla Bruneri e Tommaso Cabrini

I Comuni della Bassa Lombardia e dell’Emilia furono precursori delle liberalizzazioni e delle leggi antimonopolio, ma non solo: a questa ‘prima fase’ fecero seguire la cosiddetta fase B’, quella dello sviluppo. A Cremona, ad esempio nel XIII secolo c’erano norme severissime contro i mercanti che facevano cartello o monopolio, ma nello stesso tempo erano previste esenzioni dalle tasse e agevolazioni tributarie. A Bologna addirittura uno statuto comunale colpiva la corporazione dei farmacisti intimando ai ‘capi’di non fissare prezzi prestabiliti «né di proibire ad alcuno di detta società di accostarsi ai malati ed anche ai sani ai fini di cura». La ‘fase B’ bolognese fu quasi spettacolare, per attirare i mercanti di tessuti in città la municipalità assicurava: due telai gratis, un muto di 50 lire senza interessi, esenzione dalle tasse per 15 anni, e, circostanza da sottolineare, concedeva immediatamente la cittadinanza bolognese. Ma anche Cremona si difese bene.

Tra il XII e il XIII secolo la città fu ricca e potente, dal 1155 operò addirittura una zecca che batteva moneta propria, i mercanti cremonesi partirono alla conquista dei mercati di mezzo mondo, accrescendo il benessere della città. Alle corporazioni venne chiesto di fissare per iscritto i loro statuti, vennero  abbassate le tasse, in alcuni casi addirittura abolite. Ma non fu solo ‘protezionismo’: i dirigenti cremonesi sapevano bene che l’economia di mercato è libertà di iniziativa, di movimento, di concorrenza (sempre nelle regole), per cui i benefici vennero estesi anche ai mercanti che arrivavano da fuori. Venne stipulato un trattato con i ‘mercantati’ francesi, a quelli di Genova venne assicurato un rimborso per i crediti non incassati e vennero stipulati trattati con Pavia e Piacenza. Con Venezia si aprì un tavolo che portò ad un accordo per rendere più sicure le strade verso est. Ma non solo, con la signoria dei Visconti i mercanti fiorentini vennero esentati dal pagare i pedaggi se per raggiungere la Francia passavano da Cremona, Pizzighettone o Lodi. Il Po ritornò ad essere un asse viario fondamentale: la stazione di transito non era più Piacenza, ma Cremona, al suo porto arrivavano mercanzie da tutta Italia. E per favorire le merci di lusso vennero previste esenzioni doganali: a Cremona e Milano divennero di moda le merci fiorentine. Una politica economica che mantenne Cremona a buoni livelli anche nel XIV secolo, un periodo di crisi, durante il quale la città non era più la potenza imperiale del secolo precedente, ma con queste misure continuò ad essere la Capitale del Po, mantenendo un tenore economico di buon livello.

Particolare attenzione merita il tema della fiera cittadina, che faceva convergere sulla città articoli meno usuali, introvabili sul normale mercato settimanale: l'afflusso di merci e di operatori commerciali provenienti da luoghi lontani favoriva scambi non solo economici ma anche umani fra genti diverse e rendeva in quel momento la città vero centro di attrazione per gli abitanti abituali e per quelli che risiedevano nell'area circostante. I mercanti non erano vili affaristi votati esclusivamente alla propria ricchezza, erano forse il modello di cittadino capace di includere una prospettiva veramente filantropica nella propria vita, preoccupandosi allo stesso tempo della gestione del proprio patrimonio. Anche in questo caso Cremona ci viene in aiuto con una delle sue storie: quella del patrono cittadino Omobono Tucenghi.
[continua]

Nessun commento:

Posta un commento