Si tiene in questi giorni a Praga l’annuale seminario della Mont Pèlerin Society, l’organizzazione internazionale fondata da F. A. Hayek nel 1947 con lo scopo di diffondere e difendere i più sinceri ideali liberali [1]. Il 3 settembre è intervenuto l’economista spagnolo di Scuola Austriaca Jesùs Huerta de Soto, con un discorso i cui contenuti sono ampiamente sviluppati in un occasional paper pubblicato da IBL col titolo In difesa dell’Euro: un approccio austriaco. Chi scrive ha dato una lettura abbastanza approfondita al testo, e intende svilupparne in questa sede una ragionata – e si spera anche sensata – analisi sintetica. Premetto fin da subito di condividere ogni riga scritta da Huerta de Soto, le cui lezioni di Economia Politica sono peraltro brillantemente riportate nel libro a Scuola di Economia, a cura di Francesco Carbone ed edito da USEMLAB. Il sottotitolo del testo illustra una parte integrante delle tesi argomentate dall’autore: Con una critica agli errori della BCE e all’interventismo di Bruxelles. In effetti, l’intervento si articola in una difesa “congiunturale” dell’Euro, in una critica dei suoi detrattori d’ogni sorta e della politica economica e monetaria posta in essere dalla Banca Centrale Europea. Vediamone i principali step:
- Introduzione. Huerta de Soto esordisce con una rapida esplicazione delle principali conclusioni cui la Scuola Austriaca è pervenuta in ambito teorico, storico ed etico: una teoria del ciclo economico “generato dall’espansione creditizia […] orchestrata dalla banche centrali attraverso un sistema bancario che opera con riserva frazionaria”; l’origine evolutiva del denaro e l’intervento destabilizzante dello Stato e del suo potere coercitivo; l’importanza dei diritti di proprietà anche in relazione ai contratti bancari, “principi che nascono dall’economia di mercato stessa e che, a loro volta, sono imprescindibili per il suo corretto funzionamento”. Da tali conclusioni perviene quindi ad una proposta di riforma radicale dell’attuale sistema monetario che si estrinseca in tre passaggi: a) “il ripristino del coefficiente di cassa del 100 per cento”, con messa a bando della riserva frazionaria e ritorno alla riserva intera; b) “l’abolizione di tutte le banche centrali che, una volta portata a termine la riforma a), diventano totalmente inutili come prestatrici di ultima istanza”, e la cui pianificazione centrale ha dato ampia prova della propria fallibilità, presentando tutti i difetti evidenziati dal Teorema dell’Impossibilità del Socialismo enunciato a suo tempo da Mises; c) “il ritorno al sistema aureo classico”, dunque al pure gold standard. Huerta de Soto, in linea con la tradizione austriaca che si rifà direttamente a Rothbard (divergendo per esempio dalla posizione di Hayek), considera il gold standard come il sistema monetario ideale; si premura dunque di sottolineare che “l’analisi di relativo sostegno all’euro che […] presentiamo in questo articolo è da intendersi esclusivamente da un punto di vista congiunturale e possibilista”. Vedremo infatti che l’euro viene inteso dall’economista spagnolo come la miglior approssimazione disponibile del gold standard.
- Tassi fissi vs tassi flessibili. L’autore passa dunque a criticare la posizione assunta dagli economisti della Scuola di Chicago in merito alla questione dei tassi di cambio: i monetaristi di Chicago ritengono infatti che tassi di cambio flessibili, inseriti in un sistema di nazionalismo monetario, sarebbero più adatti ad una economia di mercato (in quanto “liberi”); rifacendosi alla più limpida tradizione austriaca (Hayek e Mises), Huerta de Soto sostiene invece che, finché non si saranno attuate le riforme succitate, “si dovrebbe fare tutto il possibile affinché il sistema monetario vigente si avvicinasse a quello ideale”. L’economista difende quindi un intorno di perfezione, una regolamentazione approssimativa ed asintotica al regime di gold standard, finché non sia possibile pervenire interamente ad esso. Ciò comporta una limitazione del nazionalismo monetario che elimini la discrezionalità dei singoli paesi in politica monetaria, frenando il più possibile politiche inflazionistiche di espansione creditizia: questo al fine di “disciplinare gli agenti economici, politici e sociali e, in particolar modo, i sindacati e gli altri gruppi di pressione, i politici e le banche centrali”. Al contrario, i tassi flessibili difesi dai monetaristi (e, invero, anche da alcuni austriaci come Fritz Machlup [2]) non sono in grado né di calmierare l’inflazione né di disincentivare il comportamento irresponsabile dei suddetti agenti sociali. A proposito di questi difensori di un malinteso liberismo, Mises scriveva: “avevano dimenticato la ragione più importante a favore del cambio fisso, ossia che esso rappresenta il freno pressoché insostituibile che ci permette di obbligare i politici (e le autorità monetarie che ad essi rispondono) a mantenere una moneta stabile”. Hayek, in questo assolutamente lungimirante, aggiungeva: “Non credo che potremo ripristinare un sistema di stabilità internazionale senza il ritorno ad un regime di cambi fissi, in grado di imporre alle banche centrali i freni indispensabili per riuscire ad opporsi alle pressioni dei fautori dell’inflazione”. Non a caso, Keynes e la sua scuola sostennero “appassionatamente l’instabilità dei tassi di cambio con l’estero”. Last but not least, il regime di tassi di cambio variabili favorisce comportamenti antidemocratici da parte dei governanti; scriveva infatti Mises: “I poteri pubblici non hanno che una fonte di entrate: il gettito delle imposte, e nessuna tassazione è legale in assenza dell’assenso del parlamento. Ma se il governo dispone di altre fonti di reddito [come l’inflazione, N.d.A.] può liberarsi dal controllo del parlamento”.
- L’euro come approssimazione al regime aureo. Secondo Mises, “lo standard aureo fa sì che la determinazione del potere d’acquisto della moneta sia indipendente dalle mutevoli ambizioni e dottrine dei partiti politici e dei gruppi di pressione”[3]. E’ in tal senso che si estrinseca la difesa austriaca dell’euro operata da Huerta de Soto. L’adozione all’interno dell’Eurozona della moneta unica ha infatti comportato conseguenze molto simili a quelle riscontrabili in un sistema aureo: sparizione del nazionalismo monetario e dei tassi di cambio flessibili; perdita di sovranità monetaria da parte dei singoli Stati, privati dunque della “possibilità di manipolare la propria moneta locale”. Inoltre, al sopraggiungere della crisi nel 2008, i politici locali “sono stati costretti ad affrontare una profonda recessione economica senza autonomia nella politica monetaria”, senza dunque la possibilità di stimolare la crescita con artificiose ed inflazionistiche politiche monetarie espansive; con l’euro, “nonostante tutti gli errori”, si sono trovati nell’improrogabile necessità di attuare riforme strutturali inevitabili di “liberalizzazione economica, deregolamentazione, flessibilizzazione dei prezzi e dei mercati (specialmente quello del lavoro), riduzione della spesa pubblica e smantellamento del potere sindacale e del welfare state”. Senza l’euro nulla di tutto ciò sarebbe accaduto, e queste riforme essenziali sarebbero state procrastinate all’infinito, o quanto meno realizzate troppo tardi: “è difficile pensare che una qualunque di queste misure sarebbe stata presa in considerazione in una situazione di moneta nazionale e di tassi di cambio flessibili: i politici, se possono, fuggono dalle riforme impopolari ed i cittadini da tutto ciò che comporta sacrificio e disciplina”. Aggiungo a scapito di equivoci: per sacrifici non si intende qui un incremento forsennato della pressione fiscale, ma tagli drastici alla spesa pubblica, alla “mano visibile” dello Stato e liberalizzazione dei servizi. Un altro non meno rilevante pregio dell’euro – in questo migliore finanche del regime di gold standard - è la relativa difficoltà di abbandonarlo: se infatti superare il regime aureo fu negli anni ’30 relativamente facile [4], “oggi, con l’euro, ogni altra alternativa sarebbe pressoché impossibile da praticare e avrebbe conseguenze ed effetti molto più pregiudizievoli, dolorosi ed eclatanti per la cittadinanza”, tanto da renderne improponibile l’adozione da parte dei politici, sempre preoccupati di incrementare il consenso. Inoltre il controllo imposto dalla moneta unica sull’operato dei governi e sui bilanci pubblici ha reso, contrariamente a quanto affermano allarmati i politici, l’attuale Eurozona più democratica: ha infatti obbligato i governanti alla trasparenza e al rigore dei bilanci, punendo con la caduta i governi irresponsabili di Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna e Italia [5].
- I nemici dell’euro. La ragione forse più rilevante a favore dell’euro è rappresentata proprio dai suoi detrattori e dalle loro “eterogenee e variopinte” argomentazioni. Schierati contro la moneta unica troviamo infatti “i dogmatici di estrema destra ed estrema sinistra [6], i keynesiani nostalgici o irriducibili alla Krugman, i monetaristi intransigenti dei tassi di cambio flessibili come Barro ed altri, gli ingenui seguaci della teoria delle aree monetarie ottimali di Mundell, i terrorizzati sciovinisti del dollaro (e della sterlina) ed, infine, tutto l’esercito di disfattisti confusi, la cui unica soluzione – di fronte all’imminente scomparsa dell’euro – sarebbe quella di raderlo al suolo ed abolirlo quanto prima”. Personalmente, aggiungerei alla lista gli accoliti della MMT, la Modern Monetary Theory propagandata in Italia dal “complottista” Paolo Barnard e dal forum DemocraziaMMT. Le credenziali di questi arguti esperti di economia sono sufficienti a far perorare urbi et orbi la causa dell’euro; lascio dunque ad una lettura approfondita del testo di Huerta de Soto una trattazione dettagliata, con annessa demolizione, dei loro traballanti edifici teorici [7].
Note
[1] = Peccato che nel tempo la MPS abbia imboccato pericolosamente la via dello statalismo.
[2] = Per questa sua posizione, Mises ruppe il rapporto d'amicizia con questo suo antico allievo.
[3] = Invero, in un sistema di gold standard l'offerta di moneta può aumentare soltanto in presenza di un incremento delle riserve auree. Questo non è in nessun caso sufficiente (al contrario di quanto pensava Mises) ad innescare un ciclo economico. Si veda ROTHBARD, America's Great Depression, 1963.
[4] = Anche grazie all'eroico sforzo di John Maynard Keynes.
[5] = Con buona pace delle proteste di alcuni pidiellini e di Libero.
[6] = Huerta de Soto cita i francesi Marine Le Pen per la destra e François Hollande per la sinistra. Mi permetto di aggiungere Jean-Luc Mélenchon per l'estrema sinistra francese; Alba Dorata per l'estrema destra greca; Alexis Tsipras di Syriza per l'estrema sinistra greca. Ma l'elenco potrebbe essere interminabile.
[7] = La farsesca MMT non merita nemmeno l'attenzione di Huerta de Soto, dunque non viene discussa nel merito. Per una sua demolizione si vedano questo articolo di Matteo Corsini e quest'altro di Francesco Carbone.
Nessun commento:
Posta un commento