lunedì 17 settembre 2012

Renzi, liberista o socialdemocratico? (parte prima)

di Damiano Mondini


Nell’attuale ed aberrante panorama politico, Matteo Renzi rappresenta un’isola felice in un mare in tempesta nel quale siamo destinati a naufragare. Non si tratta tuttavia di un merito del soggetto, semmai di un demerito del nobile consesso che lo circonda, tanto nel suo Partito Democratico quanto nelle altre variopinte forze politiche. Non mi prefiggo in questa sede di compiere un ritratto esaustivo di questo curioso personaggio, delle sue vicissitudini fiorentine e dei suoi battibecchi con l’establishment del PD – cose che peraltro gli fanno soltanto onore. Mi ripropongo soltanto di tratteggiare il suo programma politico-economico, sostanzialmente perché la prossima campagna elettorale verterà quasi esclusivamente su questioni di politica economica, che la crisi congiunturale rende particolarmente cogenti. Rilevo con una certa amarezza che i recenti dibattiti pro e contro Renzi – tanto à droite quanto à gauche – hanno sorvolato su questi punti programmatici, che al contrario io ritengo di fondamentale importanza, preferendo civettare sul “rottamatore” e sul “nuovo che avanza”, sempre con un retrogusto di “largo ai giovani”. Capirete la mia tristezza nell’affrontare questi argomenti, e perché di conseguenza preferisca soprassedere. Lascio ai miei colleghi delle grandi testate italiane, evidentemente molto più professionali e qualificate di questo blog, tutte le riflessioni sociologiche e psicoanalitiche intorno a Renzi. Procediamo invece – con molta meno poesia, lo ammetto -  a enucleare i suoi più rilevanti propositi economici.
- Considerazioni generali. Noto innanzitutto due elementi apparentemente contraddittori. Da una parte, Renzi si è testé recato alla convention democratica a Charlotte elogiando il riformismo – quello che noi chiamiamo “socialismo” – di Obama; dall’altra, in Italia presenta un programma che si colloca potentemente alla destra di Bersani e dei socialdemocratici del PD. Due sono le possibili conclusioni: o Renzi è bipolare, fa il progressive in America e il liberista in Italia; oppure, cosa che temo più probabile, il socialismo di Obama, qualora trapiantato in Italia, si configura come ultraliberale rispetto all’italico arco costituzionale. Se così fosse, a Renzi andrebbe almeno il merito di essere un socialista travestito da liberista. In ogni caso, il programma di politica economica di Renzi rappresenta una felice svolta liberaldemocratica all’interno del PD, e appare finanche più coraggiosa di certi moderatismi che ammorbano tanto l’UDC quanto, ahimè, il PDL, al quale ricordo di chiamarsi Popolo della Libertà.

- Fisco. E’ soprattutto nelle misure di policy fiscale che Renzi riesce con più efficacia a spingere Bersani a sinistra, nella gelida morsa di Nichi Vendola. Il pool di economisti cui va la paternità di queste proposte è tendenzialmente liberale: vi troviamo Luigi Zingales, l’economista della Chicago Booth School of Business, firma sagace del Sole 24 Ore e dell’Espresso, esponente di quel monetarismo non sempre coerente con se stesso; Pietro Ichino, discusso senatore del PD da molti ritenuto un ultraliberale per le sue proposte di riforma del mercato del lavoro; Zingales e Ichino sono coordinati dal giovane Giuliano Da Empoli, chiaro segno dell’annunciato “rinnovamento” di Renzi. Cosa hanno suggerito dunque al sindaco di Firenze questi rinomati economisti? Riduzione della pressione fiscale, che si estrinseca in una forte decurtazione dell’Irpef (chiaro l’intento di gravare meno sul reddito delle persone fisiche); il gettito derivato dalla lotta all’evasione fiscale, stimato fra i 30 e i 36 miliardi, sarebbe proprio destinato alla riduzione delle aliquote fiscali. Il messaggio che Renzi vuol far passare è noto: “I cittadini devono vedere in concreto che, se tutti pagano le tasse, ciascuno ne paga di meno”. Al di là della retorica buonista, il principio non è sbagliato in teoria: purtroppo, tendenzialmente un aumento del gettito fiscale funge da incentivo ai politici ad incrementare le spese, le quali vanno poi foraggiate con ulteriori incrementi fiscali; ergo, se tutti pagassimo le tasse, saremmo costretti a pagarne sempre di più. In ogni caso, Renzi è su questo punto più convincente di Bersani e degli ex-comunisti del PD: egli intende infatti destinare quanto recuperato dalla lotta all’evasione per diminuire effettivamente il carico tributario, e solo in misura minore a lievi disposizioni di welfare; al contrario, il programma di Bersani prevede che le risorse recuperate vadano principalmente a finanziare misure sociali di contrasto alla povertà, insieme a quell’imposta patrimoniale che è da sempre obiettivo primario della sinistra.
- Welfare. Si è accennato a lievi misure di Welfare State: si va dall’obiettivo di “dare al 40% dei bambini sotto i tre anni un posto in un asilo pubblico entro il 2018” ai “100 euro al mese in più per chi ne guadagna meno di duemila”. Comprendo l’intento di fondo di Renzi e dei suoi spin-doctors: ridurre e razionalizzare l’intricata mole di disposizioni di assistenza sociale che ammorbano la legislazione italiana. Bisogna ammetterlo: finanche Milton Friedman e F. A. Hayek, intellettuali di sincera fede liberale, preferivano poche e concrete misure di sostegno al reddito (l’imposta negativa di Friedman e il “reddito minimo” di Hayek) rispetto alla valanga di misure contraddittorie attuate in nome della “giustizia sociale”. La mia critica a Renzi non è però di natura etica – del resto, se volessi fare il bacchettone non potrei che scrivere  invettive contro l’intera classe politica mondiale: è sotto il profilo economico che i conti non tornano. Le risorse da stanziare per costruire asili – e dalle statistiche direi che servirebbero tanti asili – e per incrementare di 100 euro tutti i redditi inferiori ai duemila sarebbero di notevole portata: la stima di 30-36 miliardi recuperati dal sommerso è nondimeno puramente retorica, considerando che l’anno scorso si è assestata sui 12,7 miliardi. Renzi aggiunge che le decurtazioni fiscali sarebbero altresì da destinare a coraggiosi tagli della spesa pubblica: ne si deduce che il suo ardimentoso progetto mostra una pericolosa faglia contabile che sarebbe necessario sanare prima di andare al governo. Dopo sappiamo tutti come andrebbe a finire: le promesse di assistenza sociale non potrebbero essere disattese, e farebbe dunque d’uopo finanziarle – ancora una volta – con incrementi fiscali. La fantasia può superare la realtà, ma è con quest’ultima che dobbiamo fare i conti.

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