di Camilla Bruneri
Cosa troviamo oltre il tacco dodici, il filo di fard e gli occhialini da intellettuale, che molte donne sfoggiano come un’uniforme? Le instancabili camminatrici del traffico, perennemente in bilico tra una crisi di nervi, le lezioni di piano del figlio e la riunione del CdA per cui lavorano?! La risposta, di una semplicità quasi disarmante, è no. Questo no non è un rigurgito femminista di un’esponente della categoria, né un tentativo di risollevare un tormentone estivo che ha, per lo meno, dimostrato di essere un sicuro investimento editoriale. Le parole della donna che sta dietro questo pezzo vengono da una riflessione quotidiana sul senso della presenza della donna nella società, che vuole essere privo di giovanilismi e falsi miti.
Proprio da questo argomento vorrei cominciare: il mito. Sin dall’antichità alla donna è stata data una parte chiave nel misterioso teatro famigliare, che l’ha accompagnata nelle epoche dandole la riconosciuta importanza che anche oggi le viene attribuita. Con un problema di fondo però, rappresentato dalla frustrante corsa alla parità che altrettanto ha accompagnato le donne in tutte le vicende sociali che le hanno viste protagoniste. Due miti ricorrono in questo caso: la donna focolare e colonna portante della famiglia contro il modello della suffragetta.
La donna ha voluto che il proprio ruolo di sottomessa/dipendente (del padre prima, del marito poi, in certi casi anche del datore di lavoro) raggiungesse lo status di indipendenza che nessuno, in un paese come il nostro, oggi le negherebbe. Le donne fanno parte dei consigli di amministrazione, sono imprenditrici, fanno politica e spesso sono tra le più impegnate, eleggendosi madrine di cause umanitarie in modo ammirevole. Ma il problema dell’emancipazione intellettuale delle donne rimane come uno spettro ad insidiare le vite di molte di noi, che il tracollo nervoso lo rischiano a causa dell’insensata competizione che vivono nel confronto con gli uomini.
Vorremmo rivaleggiare su di un terreno che non sentiamo nemmeno nostro, contro mentalità che hanno la sola colpa di non essere "femminili", accampando scuse come le quote rosa che, se non dilapidano il ragguardevole lavoro delle mitologiche suffragette, quantomeno lo offendono. In quale modo? Pretendendo di considerare le donne una categoria "a rischio", che merita di autorappresentarsi nei luoghi di potere o di burocrazia. Quest’ultimo invero è un falso mito.
Le donne convogliano semplicemente le proprie forze nella direzione che più desiderano, esattamente come gli uomini, e a rendere offensive le quote rosa è proprio una mentalità retrograda che ha la sfrontatezza di pensare che concedere qualcosa, anche ad una categoria diversa dalla propria, possa essere un atto di infinito altruismo. E sull’altruismo ben conosciamo le posizioni di una donna di cultura come Ayn Rand, che ammoniva circa l’abuso di questo termine in virtù del fatto che il troppo altruismo fosse una giustificazione per legittimare la schiavitù dell’individuo.
In breve: le donne (così come molte altre categorie, pensiamo per esempio agli studenti) non hanno bisogno della carità di una classe politica dirigente, né di occasioni o facilitazioni. Non si riconoscono nell’impacciata protagonista del bestseller del momento, imbambolata nella contemplazione del bel tenebroso dirigente dai soldi facili, che maldestramente finge di non essere vanesia e di non compiacersi dei regali esagerati di Mr. Gray. Diciamocelo sinceramente: non mi dispiacerebbe certo che l’uomo dei miei sogni venisse a prendermi con l’elicottero o mi regalasse un’Audi nuova di zecca!
Perché dovrei vergognarmi di essere donna e negare che attenzioni di questo tipo siano più che lusinghiere?! Esiste forse una categoria dialettica che possa farmi sentire in colpa di dimostrare la mia femminilità? Dimostrare che anche io so fare le stesse cose che fanno gli uomini, come le fanno gli uomini, in pratica: diventare un uomo?! No, grazie!
La mia femminilità, e quella di tutte le altre donne, non si prostituisce per le quote rosa o per dimostrare una professionalità che non abbisogna di attributi sessisti.
Abbiamo cominciato a sbagliare quando ci siamo cambiate d’abito ed abbiamo voluto interpretare una parte diversa dalla nostra, nel teatro famigliare e nella vita? Forse. Le donne sanno distinguersi nella propria femminilità, senza smettere di lavorare, desiderare ed avere una famiglia. Molte di queste donne che "ce l’hanno fatta" costituiscono bandiere alle quali votarsi per le donne che leggono delle loro imprese e desiderano imitarle. Ma queste donne soffrono, nella maggior parte, ancora del falso mito del femminismo per cui tutto è accettabile, a prezzo del sacrifico della proprio essere donna. Siamo diventate succubi di un sistema che ci siamo create da sole, divise tra il desiderio di maternità, di gran lunga il mestiere più difficile che io conosca, e il lavoro , in cui combattiamo ogni giorno per dimostrare di essere sempre un paio di falcate più avanti degli uomini. Così sacrifichiamo la nostra intera femminilità a favore di alcune "alcove" sociali che ci fanno apparire dei manichini senza dignità. L’autoironia è un’ottima abitudine, a prezzo però di non diventarne degli esempi concreti.
E allora come possiamo fare? Potremmo smetterla di lamentarci circa l’annoso problema della parità dei sessi e dimostrare (a noi per prime) che quello che desideriamo possiamo prendercelo nonostante la nostra prevaricante mentalità femminista.
Un esempio? Shirley Conran, oggi ottantenne, è l’indiscussa madre dei bestsellres erotici per signore. Ricorre quest’anno il trentennale del suo Lace (in italiano Segreti), a cui nemmeno la noiosa vicenda di Cinquanta sfumature ha saputo fare le scarpe. Trent’anni fa le donne non si vergognavano di leggere vicende ben più spinte e di riconoscersi in protagoniste spregiudicate e sposate alla propria carriera. Ma non è questo il punto.
Prima del successo editoriale di Lace la Conran ha pubblicato altri volumi, tutti ironici e provocatori, dedicati alla vita famigliare delle donne, da consigli per le casalinghe e le mamme, a vere e proprie guide per non perdere il controllo in un mondo ben lontano dai fronzoli e dai lustrini. Lace originariamente doveva essere un manuale di educazione sessuale perché all’epoca l’ignoranza e la vergogna sull’argomento erano abissali (eppure il ’68 era già passato!).
Shirley Conran è solo un curioso esempio di voce femminile che non dubita del proprio ruolo di donna e di individuo, che non cerca di coniare improbabili sostantivi al femminile e che ha semplicemente scelto, per passione, di demolire dei tabù, dimostrando alle donne che posso essere donne senza che ci sia qualcuno a legiferare in proposito.
Oltre ai suoi libri, la Conran ha anche fondato un’associazione no-profit dal nome "Mamme in affari" (con lo scopo di migliorare il tempo passato a lavorare e la qualità della vita di una madre), e, ultraottantenne, ha in serbo altre sorprese: il prossimo anno uscirà un suo ebook dedicato alle donne e i soldi. Varrà la pensa leggerlo, per ritrovarvi un ritratto attuale delle donne, che sono molto più di ciò che si nasconde dietro un tacco dodici, un filo di fard e un paio di occhialini da intellettuale.
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