di Camilla Bruneri e Tommaso Cabrini
Torniamo ai nostri giorni: la diminuzione del tasso di nuzialità nel nostro Paese, direttamente proporzionale all'aumento dell'età media a cui si contrae il primo matrimonio è sicuramente imputabile alla difficoltà dei giovani di trovare un impiego stabile, ma non solo: alla base della crisi del matrimonio non ci sono solo fattori economici ma anche motivi ideologici e cambiamenti culturali, molti dei quali vengono direttamente influenzati dallo Stato stesso.
Lungi dal voler difendere il rito religioso, è comunque doveroso analizzare per un attimo le statistiche sull’argomento: negli ultimi tempi si parla sempre più di PACS, di portare quindi sullo stesso piano delle famiglie tradizionale anche coppie che "tradizionali" certo non sono per le istituzioni come le conosciamo noi (in questo caso la Chiesa).
Molto è cambiato dalla legge sul divorzio, entrata in vigore nel lontano 1970: allora fu una svolta in senso anti-reazionario, un'innovazione, una presa di posizione femminista, nel senso più nobile del termine; ora, due italiani su dieci si ritrovano dal giudice entro cinque anni dal matrimonio, e i PACS sembrava potessero contenere in qualche misura il fenomeno.
Altri dati sembrano confermare questa tendenza: sono sempre di meno gli italiani che scelgono il rito religioso (si scende dall'87% al 73%), a favore del rito civile, mentre raddoppiano le coppie che preferiscono la convivenza, meno impegnativa dal punto di vista dei vincoli (dall'1,6% al 3,1%).
Il bilancio finale? Dal 1989 al 2001 i matrimoni sono passati da circa 320.000 a circa 260.000 all'anno. E molto si potrebbe aggiungere degli ultimi undici anni di confusioni stataliste. La conclusione rimane sempre la medesima, il problema è lo Stato, organo ultimo a cui spetti il riconoscimento di ogni atto umano!
Dovremmo invece avere il diritto di scegliere ciò in cui vogliamo credere, purché questa scelta avvenga in totale libertà e non mediata da alcun soggetto politico o religioso per legge. E' impossibile pensare di trovare una soluzione al problema morale legato al matrimonio se prima non si definisce chiaramente il significato di famiglia: questo sarà possibile solo alla luce di una libera riflessione prima individuale, poi collettiva, non sotto la spinta di partiti che, purtroppo, spesso propongono soluzioni semplicistiche solo con l'intento di tirare acqua al proprio mulino. Forse la tanto discussa questione PACS ha anche questo merito: di spingere a riflettere, a interrogarsi sul senso del matrimonio, di far avvertire la necessità di giustificare un valore, un ideale e non un business statale.
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