domenica 2 settembre 2012

Ripartire da Giannino? (parte seconda)

di Damiano Mondini

4) Liberalizzare rapidamente i settori ancora non completamente concorrenziali. Nella fattispecie si tratta di privatizzare/liberalizzare servizi e società pubbliche (prima fra tutte la RAI, con annessa abolizione del canone per la gioia dei Tea Party), rendere la concorrenza il fulcro della nostra economia e contrastare monopoli e privilegi d’ogni sorta. E’ questa una tappa ineludibile di ogni road-map che intenda seriamente smantellare il corportativismo di Stato, estirpando alla radice quelle logiche clientelari e parassitarie che funestano il sistema economico italiano. Suggerirei in ogni caso ai commandos di Giannino di ribadire con forza la fondamentale distinzione fra monopoli/oligopoli legali, ossia gestiti, costituiti o comunque protetti dai pubblici poteri, e monopoli/oligopoli di fatto, conseguenze spesso inevitabili, ma per nulla tragiche e quanto mai transeunte, del continuo processo evolutivo che caratterizza il libero mercato; non vorrei insomma che nel limpido liberalismo di questa proposta si insinuassero capziosi costrutti economici di matrice neoclassica, che con l’ossessione walrasiana per l’equilibrio di mercato tanto male hanno fatto all’autentica concorrenza, e che stanno alla base della micidiale moderna legislazione antitrust (si vedano a questo proposito gli studi di Alberto Mingardi ed Enrico Colombatto pubblicati da IBL Libri)

5) Sostenere i livelli di reddito di chi momentaneamente perde il lavoro anziché tutelare il posto di lavoro esistente o le imprese inefficienti. Nella specifica si fa esplicitamente riferimento ad un “sussidio di disoccupazione” che dovrebbe essere dispensato – presumo – dallo Stato, e finanziato con gioia – continuo a presumere – dai contribuenti. Sia chiaro: passare dall’attuale ipertrofica difesa del posto di lavoro e delle imprese decotte, con tutta la cancrena che questa comporta, ad una più elastica tutela del singolo lavoratore rappresenta certamente un passo avanti; e in questo senso è confortante sentire che il ministro del Welfare, Elsa Fornero, è di questo parere e può affermare senza tema che “il lavoro non è un diritto”. Non posso comunque esimermi dall’esprimere pesanti dubbi riguardo all’efficacia dell’introduzione di un salario minimo fornito con la forza della coercizione (leggi “imposizione fiscale”) dalla parte produttiva del paese a quella, vuoi anche incolpevolmente, improduttiva. Più sensato sarebbe incentivare e defiscalizzare pratiche di assicurazione volontaria, carità privata, mutuo soccorso e solidarismo spontaneo sul modello no-profit. Debellare i privilegi sindacali e decurtare pesantemente la tassazione su lavoro e impresa sarebbe altresì un modo per favorire l’occupazione, molto più efficace dell’incentivo pubblico a rimanere disoccupati. In caso contrario le retoriche dello welfarismo redistributivo continueranno a fornire un valido argomento per le strumentalizzazioni di marca statalista, e dubito che tale sia l’intento dei firmatari dell’iniziativa.

6) Adottare immediatamente una legislazione organica sul conflitto d’interesse. Noto con sorpresa la comparsa, per la prima volta nel manifesto, dell’avverbio “immediatamente”, e apprendo con vivo stupore che esso non è seguito da espressioni quali “decurtare la pressione fiscale”, “ridurre la spesa pubblica” o “liberalizzare i servizi” (quest’ultima operazione è da svolgersi soltanto “rapidamente”). Esso viene invece utilizzato per la prima ed unica volta per auspicare una legislazione sul conflitto d’interesse che, al di là della sua intrinseca utilità, pare di meno cogente necessità rispetto alle riforme appena citate. Dal “liberista” Giannino mi sarei aspettato una maggiore solerzia nei riguardi del ridimensionamento dello Stato e nella promozione del mercato. Questo punto mi pare un tentativo, decisamente goffo, di ingraziarsi una parte dell’intellighenzia giustizialista che, poco interessata al riformismo liberale, potrebbe venir attratta da eccitanti prospettive di una ulteriore regolamentazione legislativa e giudiziaria dell’economia. Che la lotta alla corruzione, pratica questa tipicamente statale, debba essere posta in essere – “immediatamente”! – dallo Stato medesimo, mi pare poi una assurdità logica poco degna dell’onestà intellettuale di Giannino. Sospetto quindi che vi sia lo zampino di qualche legalista promotore del manifesto. Ciò nondimeno mi esimo dal far nomi, evitando accuratamente di citare Michele Boldrin.


[continua]

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