giovedì 25 ottobre 2012

Diritto alla follia e liberalismo

di Miki Biasi

Qualche giorno fa, il mio professore di diritto commerciale ha detto qualcosa che mi ha fatto riflettere:
parlavamo tanto di “autonomia privata”, cioè la libertà riconosciuta ai privati di regolare come credono i rapporti intercorrenti tra loro, quanto del suo opposto, cioè un legislatore che predetermina e prescrive il contenuto di qualsivoglia accordo che possa intercorrere tra i privati.
 Questi due concetti, così diversi, possono convivere (e convivono) in un unico ordinamento giuridico. Tuttavia, bisogna tener ben presente che ogni ampliamento della sfera dell’uno, determina una pari diminuzione di quella dell’altro: se si riconosce maggiore autonomia privata necessariamente diminuisce il peso della volontà del legislatore nelle scelte dei singoli soggetti e viceversa.

Tornando alla lezione di diritto commerciale, il mio professore, parlando dell’autonomia privata e dei suoi limiti nel diritto societario , ha affermato che, tutto sommato, il nostro legislatore riconosce ai privati la possibilità di autodeterminare il contenuto dei loro reciproci rapporti e, in taluni casi, addirittura permette loro di darvi un contenuto FOLLE.nota 1, nota 2

Ma cosa c’entra la follia (o meglio, il diritto alla follia) con il liberalismo?
C’entra eccome. Potremmo ben dire che diritto alla follia e liberalismo sono la stessa cosa e che senza il primo non può aversi il secondo.
Naturalmente, la giustificazione di quanto appena espresso merita qualche riga.

Punto centrale del liberalismo, come sappiamo, è la tutela della proprietà privata, la quale è costituita dalla libertà di disporre di ciò di cui si è proprietari per il perseguimento dei propri fini. Da ciò si giunge, facilmente, al secondo principio fondamentale del liberalismo che è la libertà contrattuale: la libertà di scambiare ciò di cui si è proprietari con ciò di cui altri sono proprietari, purchè vi sia il consenso di tutte le parti dello scambio; è la libertà dei privati di scegliere il contenuto concreto del loro accordo o rapporto.

Ma cosa c’è alla base di questo secondo principio fondamentale del liberalismo?
Le risposte potrebbero essere diverse, ma, tra quelle che mi convincono di più, ce n’è una espressa da Lorenzo Infantino nel suo saggio “Ignoranza e Libertà”: la libertà (noi parliamo infatti di “libertà” contrattuale) ha come suo presupposto la “caduta del punto di vista privilegiato sul mondo”.

Cos’è il punto di vista privilegiato sul mondo?
E’ esattamente quel concetto che abbiamo visto essere opposto all’autonomia privata: qualcuno (nel nostro caso, il legislatore) ritiene di essere dotato di una conoscenza superiore rispetto agli altri soggetti privati e perciò prescrive e predetermina il contenuto delle loro azioni, oltre che dei loro rapporti.
Insomma, pur vivendo in un mondo di cui ciascuno ignora (ontologicamente) la complessa realtà, qualcuno vorrebbe imporre la propria visione agli altri.

Se cade il punto di vista privilegiato sul mondo cosa succede?
Non c’è alcun essere umano che prescriva agli altri cosa debbano fare: in questo momento nasce e ha luogo il concetto di “scelta” e quello di autonomia privata o libertà contrattuale.

Certamente il liberalismo consiste in quanto descritto, ma risulta sempre difficile capire “se” e “quando” i suoi contenuti vengano effettivamente applicati alla nostra realtà.

E’ qui che entra il gioco il diritto alla follia: esso è la massima espressione della libertà contrattuale (o autonomia privata) di fronte alle assurde pretese del legislatore; esso è la libertà di dare alle proprie azioni e ai rapporti che si instaurano con gli altri un contenuto (che agli altri può apparire) FOLLE o  IRRAZIONALE.nota 3

Quando ci accorgiamo, che oltre ad essere ben riconosciuta la libertà contrattuale (come comunemente intesa), è riconosciuto anche il diritto di cui sopra (e ne vediamo applicazioni), solo allora possiamo essere certi che quell’ordinamento, quel paese, si stia incamminando sulla strada della libertà.

Viva il liberalismo! Viva la follia! Viva la diversità!


Nota 1“Folle” è utilizzato nel senso che ALTRI potrebbero ritenere il contenuto di quel rapporto privo di utilità o irrazionale.  

Nota 2Si può discutere, naturalmente, sulla veridicità dell’affermazione del mio professore.

Nota 3Ciò, naturalmente, ha senso solo in presenza del consenso altrui e del rispetto della proprietà altrui.

8 commenti:

  1. Ciao Miki, bel lavoro come sempre.

    Però la domanda nasce spontanea: esiste una razionalità "assoluta" o universale?

    Detto in altri termini, realismo dogmatico o razionalità critica?

    Humé(e Hayek, Popper, etc.) o Locke (e Rothbard)?

    Secondo me, ad un certo punto, bisogna dichiararsi "dogmatici", senza nessuna paura (e con un po' di orgoglio anzi :).

    Ciao

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  2. Per carità racconta al professore quello che si vuol sentir dire e non farti rubare il tempo con giochi a somma zero. "Folle" ed "irrazionale" sono giudizi di valore che non aggiungono fatti alla tua conoscenza di tipo scientifico.
    La libertà contrattuale è sempre stuprata quando è collocata in seno ad un ordinamento"

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  3. Ciao Luis, innanzitutto ti ringrazio del complimento :)

    Prima di rispondere alla tua domanda, devo confessarti che non sono sicuro di averla compresa appieno. Spero, quindi, che la mia interpretazione coincida con il senso che hai voluto dare alle domande. Diversamente, non esitare a correggermi :)

    Premetto,se ho inteso bene i tuoi quesiti, che stiamo ragionando in campo etico.

    Il problema del dogmatismo, è che difficilmente convinci qualcuno, a meno che questo qualcuno non abbia già in se un certo amore per il dogma considerato. Insomma, vedo il dogmatismo come qualcosa che serve a rafforzare e consolidare la certezza delle proprie convinzioni, ma non come un elemento di cambiamento.

    Per quanto riguarda il razionalismo critico, esso, con il suo mettere in risalto la legge di Hume(impossibilità di derivare logicamente prescrizioni da descrizioni), ha il pregio di sconfiggere parecchi sistemi dogmatici ostili alla libertà, lasciando intatti quelli basati su una cosiddetta "etica della libertà".
    Impostato in questa maniera, però, il razionalismo critico può trasformarsi in relativismo etico per il quale tutto è opinabile (o niente è certo) eccetto la proprosizione "tutto è opinabile (o "niente è certo")".

    Quindi se tu mi chiedi "Hayek o Rothbard?" io sarei tentato di rispondere "Nessuno dei due" e proporre "Mises e Hazlitt", o per lo meno questa sarebbe la mia risposta in questo periodo nel quale sto approfondendo queste tematiche.

    Mises e Hazlitt mi sembrano trovare un ottimo modo per superare il problema della legge di Hume (ma esclusivamente a favore di un sistema basato sulla cooperazione sociale). Si tratta di un ragionamento che io, qui, forse non so bene esprimere: Mises lo spiega in 3 pagine in "Teoria e Storia", Hazlitt spiega queste tre pagine in un libro di 300 pagine che si chiama "The foundations of morality".

    Siccome sto ancora approfondendo il tema, posso dire di essere d'accordo con te: non bisogna aver paura di essere dogmatici su alcuni punti (purchè il dogma, sia dogma di libertà, ovviamente). L'importante è non perdere mai la voglia di cercare una risposta razionale.

    Come te, sono orgoglioso di essere un dogmatico della libertà e di non apprezzarla esclusivamente per "l'utilità" che apporta :)

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    1. Sì, scusa ma volevo riassumere il tutto in due righe e forse sono stato poco chiaro.

      Il tuo breve cenno alla "irrazionalità" richiamava, almeno nella mia testa :), un po' tutta la diatriba tra realismo ontologico di stampo aristotelico - tomistico e critica razionalistica di matrice "popperiana" (che ha radici in Humé e si sviluppa poi in Hayek con le nozioni di "ordine spontaneo" e "conseguenze ininitenzionali").

      Tra l'altro questo secondo filone, per esempio, è stato riletto anche da autori come Antiseri in modo pro cristiano, poiché consentirebbe di abbattere alcuni "assoluti terrestri" (tra cui potremmo rinvenire la "ragione", appunto).

      Questa è la vera sfida del secolo! :)

      Non aggiungo altro perché in rete si trova veramente tanta roba (anche in italiano): http://mises.org/journals/NCDM%201-2_2011%20F-2%20vers%20stamp.pdf.

      A presto e grazie per la risposta precisa!

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    2. tra l'altro non conosco il libro di Hazlitt che citi.

      Grave lacuna! :)

      Cercherò di rimediare.

      Ciao

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    3. Ora è chiaro :) avevo già letto qualcosa al riguardo, ma credo che approfondirò nuovamente la questione.

      Mi riservo di risponderti più approfonditamente, ma, sin da ora, posso dire che concordo con quanto avevi detto nel primo commento:
      "ad un certo punto, bisogna dichiararsi "dogmatici", senza nessuna paura (e con un po' di orgoglio anzi :)."



      Per quanto riguarda Hazlitt, è un bel libro in cui (di certo) non ho trovato verità, solo parecchi e importanti spunti di riflessione :)



      Alla prossima chiacchierata

      Miki

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  4. Ciao Anonimo, le parole del professore sono state solo un pretesto per introdurre l'argomento.
    Ho usato i termini "folle" e "irrazionale" solo in maniera strumentale, per evidenziare in maniera un po più forte il concetto che desideravo esprimere: la libertà contrattuale è fondamentale.

    Insomma, se vogliamo parlare scientificamente di comportamento umano volontario, allora possiamo ben dire che questo non è mai irrazionale o folle per l'individuo che agisce. Solo agli altri può apparire tale.


    Sono d'accordo con te quando dici che la libertà contrattuale perde le sue potenzialità ogni volta che c'è l'intervento opposto di un legislatore.
    Tuttavia un 'ordinamento giuridico, anche senza un legislatore esiste sempre.

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    1. Si ok porta a casa un 30 e mandalo a quel paese che hai altro a cui pensare visto che mi sembri avere idee molto chiare

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