di Tommaso Cabrini e Andrea Benetton
Articolo originariamente pubblicato su The Fielder (http://thefielder.net/10/12/2013/uscita-dalleuro-domande-risposte/)
L’articolo «Una soluzione monetaria per l’Europa» ha
avuto un buon successo e sviluppato un interessante dibattito in Rete. Come
autori, ci sembra doveroso rispondere alle critiche dei lettori sviluppatesi
sia su The Fielder sia sui molti blog e testate su cui è
stato rilanciato l’articolo.
Q — Il «portafoglio» di monete assomiglia
piú a un incubo ricorsivo da Alice nel Paese delle Meraviglie (cioè
l’Italia) che a una realtà economica. Oltre al casino già ai limiti
dell’impossibile nella scelta tra prodotti concorrenti, ci manca quello della
scelta tra monete concorrenti con cui pagare, magari in mix…
A — Una delle obiezioni piú comuni ai processi
di mercato in concorrenza è proprio questa. Il pericolo di complicare un
sistema all’apparenza semplice, di stampo socialista: un solo fornitore (lo
Stato) e un solo prodotto (nel nostro caso l’euro, ma si può adattare a
qualunque altra merce). Quasi di certo, il sistema si complicherebbe in un
primo tempo. Nuove monete sorgerebbero in quantità; ma molte di queste
sarebbero infine soppresse dal mercato, a favore d’un piccolo paniere di monete
considerate migliori dagli utenti. Rimarrebbe quindi un sistema con un piccolo
gruppo di monete in concorrenza. All’apparenza il sistema si complica: piú
monete tra cui scegliere, con diverse caratteristiche. Tuttavia, la libera
scelta porta obbligatoriamente verso un sistema monetario piú trasparente,
senza un monopolista che goda di rendite di posizione — tutti fattori che
darebbero ai cittadini la possibilità d’arricchirsi di piú e meglio, di
raggiungere al meglio i propri fini. Senz’altro, la scelta per l’acquisto
d’un’automobile (per far un esempio di merce altamente complessa) è molto
difficile: ben pochi hanno tutte le informazioni e le competenze necessarie per
scegliere senza fare lunghe ricerche — ma non per questo preferiremmo poter
guidare solo la Trabant.
Q— La soluzione lascia insoluti tre dubbi:
1.Chi gestisce emissione e tassi della neomoneta? Certo
non la BCE, che deve perseguire uniforme trasmissione politica monetaria unitaria in UME,
cosa impossibile con due o piú monete coesistenti.
2.I vincoli europei di politica economica e finanza pubblica rimarrebbero in vigore nel periodo transitorio? A logica sarebbe da rispondere «no», ma allora il rischio che tutti gl’investitori percepiranno sarà di voler concretare debito e deficit, perciò addio a speranze d’apprezzamento delle neomonete: quelle dei Paesi «deboli» si deprezzeranno in proporzione alla perdita di competitività implicita nei tassi di cambio effettivi, con effetto di rialzo del premio al rischio, leggasi spread, con tutto quel che ne consegue per finanze pubbliche ed economia reale via canale bancario.
2.I vincoli europei di politica economica e finanza pubblica rimarrebbero in vigore nel periodo transitorio? A logica sarebbe da rispondere «no», ma allora il rischio che tutti gl’investitori percepiranno sarà di voler concretare debito e deficit, perciò addio a speranze d’apprezzamento delle neomonete: quelle dei Paesi «deboli» si deprezzeranno in proporzione alla perdita di competitività implicita nei tassi di cambio effettivi, con effetto di rialzo del premio al rischio, leggasi spread, con tutto quel che ne consegue per finanze pubbliche ed economia reale via canale bancario.
3.Chi garantisce che non avvenga una fuga di capitali,
peraltro agevolata dalla persistenza del trattato di Schengen?
A — 1. Se per neomoneta intendiamo
un’ipotetica neolira, il potere d’emissione (e conseguentemente la fissazione
del tasso d’interesse) risiede nel Ministero del Tesoro, che lo può gestire
direttamente oppure devolverlo ad altre istituzioni (per esempio, una nuova
Banca d’Italia). Se parliamo, invece, d’un sistema di monete in libera
concorrenza, ogni emittente deciderà quali politiche monetarie adottare
(l’esempio del Bitcoin e delle altre «criptovalute» è molto calzante).
2. Si rinvia nuovamente alla lettura dell’articolo del professor
McLeod, dove s’analizza un processo d’adozione d’una nuova moneta attraverso
processi di mercato, in grado d’interiorizzare, già in fase d’asta iniziale, le
aspettative s’un’eventuale futura svalutazione della moneta. Da tale processo
consegue che la futura politica fiscale e monetaria d’una neovaluta sarà decisa
da ogni singolo Stato, compreso il mantenimento o no degl’impegni presi, in
base ai propri obiettivi, esattamente come avviene per gli Stati esterni alla zona
euro.
3. Come già analizzato nell’articolo del professor McLeod, si tratta d’un rischio assolutamente inconsistente, poiché l’adozione della nuova moneta risulta puramente volontaria. Sicché non è necessario esportare il capitale, per salvarlo da un’eventuale svalutazione: è sufficiente non convertirlo nella neovaluta.
3. Come già analizzato nell’articolo del professor McLeod, si tratta d’un rischio assolutamente inconsistente, poiché l’adozione della nuova moneta risulta puramente volontaria. Sicché non è necessario esportare il capitale, per salvarlo da un’eventuale svalutazione: è sufficiente non convertirlo nella neovaluta.
Q — Che cosa significa «Per i privati, la scelta
d’usare la nuova moneta sarebbe del tutto consensuale»? Quale imprenditore non
vorrebbe incassare euro e pagare salari in lire? Quale operaio preferirebbe
ricevere lire anziché euro? Quindi, nei contratti di lavoro del settore
privato, come la mettiamo?
A — I contratti preesistenti del settore
privato recitano chiaramente d’uno stipendio in euro, e quindi in tale valuta
rimarranno denominati (salvo, ovviamente, un comune accordo bilaterale tra
lavoratore e datore di lavoro per cambiare a favore d’una diversa valuta). Per
quanto riguarda i nuovi contratti, la scelta sarà ovviamente demandata
alla contrattazione tra le parti.
Inoltre, non è vero che un imprenditore voglia per forza di
cose incassare in euro e pagare salari in lire.
Ammesso (a titolo d’esempio) che ci sia aspettativa di
svalutazione della lira, un imprenditore potrebbe preferire lavorare unicamente
in lire per approfittare di svalutazioni competitive. Viceversa, un
imprenditore che incassa euro potrebbe preferire pagare stipendi in euro,
evitando cosí sia d’incorrere in un rischio di cambio sia di dover
continuamente ricontrattare e aggiornare gli stipendi dei dipendenti.
D’altronde, uscire dall’euro come previsto in tutte le altre proposte che
abbiamo visto vuol dire comunque ricevere lire e quindi perdere potere d’acquisto
— visto che la ragione addotta dai proponenti è d’effettuare una svalutazione
competitiva, che avrebbe come effetto l’aumento dei prezzi di tutto quel che
importiamo, cioè della maggior parte delle materie prime e dei beni di consumo.
Con la nostra proposta, quantomeno, consentiamo a tutta una serie d’aziende
d’effettuare tale svalutazione e di sopravvivere. Noi continuiamo a preferire
aziende aperte con riduzioni di salari reali, piuttosto che lasciarle fallire
per difendere principi astratti, col risultato di lasciare i lavoratori in
mezzo alla strada. Perché è questo che sta accadendo oggi in Italia.
Q — Per cambiare davvero, bisogna trovare una
definitiva soluzione a: sovranità monetaria (la moneta è dell’intera comunità,
che le attribuisce il valore con la fiducia, la laboriosità e l’ingegno,
trasformandola cosí in denaro); la criminale riserva frazionaria; la criminale
usura; la criminale ingegneria finanziaria.
A — Per quanto riguarda il primo punto, è
esattamente il nostro pensiero. Gli utenti d’una moneta, tramite la propria
fiducia, ne determinano il successo. Proprio per questo siamo contrari a
qualunque imposizione (sovra)statale nella scelta della moneta. La nostra
proposta dà la sovranità ai cittadini; altre proposte la danno ai politici
italiani, in cui gli autori hanno scarsa fiducia, vista la storia passata e
presente. In base a queste idee siamo giunti alla formulazione della nostra
proposta.
I restanti punti, pur non trovandoci d’accordo, non sono
pertinenti all’articolo.
Q — «Conservando il pagamento in euro per i
debiti preesistenti»: quindi, se uno ha un mutuo o qualcosa di simile in euro,
dovrà continuare a pagarlo nella moneta forte, ricevendo uno stipendio o una
pensione verosimilmente molto inflazionati?
A — Sí, chi ha un debito in euro continuerà a
pagarlo in tale moneta, mantenendo quindi i tassi d’interesse legati all’euro.
I tassi d’interesse della neolira, in ottica «austriaca», sarebbero sicuramente
superiori. Nulla vieta a banche e debitori di procedere a ristrutturazioni
consensuali del debito.
Quanto alla svalutazione, è vista come un processo inevitabile e inevitabilmente dannoso. Tuttavia, non si sta considerando che chi controlla la neolira e chi paga le pensioni e gli stipendi pubblici (gli unici convertiti nella nuova moneta) sono la stessa entità, lo Stato italiano. Proprio per questo, ci si troverebbe di fronte a un riallineamento degl’incentivi di pensionati e dipendenti pubblici. Non desiderando (presumibilmente) una svalutazione del proprio reddito, essi chiederanno al datore di lavoro di rendersi efficiente ed eliminare gli sprechi. L’alternativa è una continua svalutazione della moneta seguita da aumento di salari e pensioni nominali al fine di riallinearne il potere d’acquisto. La differenza tra le due soluzioni è principalmente politica.
Ovviamente, per i dipendenti pubblici rimane sempre la facoltà di trasferirsi nel settore privato, qualora quest’ultimo si riveli in grado di pagare stipendi piú alti o in valute piú stabili.
Quanto alla svalutazione, è vista come un processo inevitabile e inevitabilmente dannoso. Tuttavia, non si sta considerando che chi controlla la neolira e chi paga le pensioni e gli stipendi pubblici (gli unici convertiti nella nuova moneta) sono la stessa entità, lo Stato italiano. Proprio per questo, ci si troverebbe di fronte a un riallineamento degl’incentivi di pensionati e dipendenti pubblici. Non desiderando (presumibilmente) una svalutazione del proprio reddito, essi chiederanno al datore di lavoro di rendersi efficiente ed eliminare gli sprechi. L’alternativa è una continua svalutazione della moneta seguita da aumento di salari e pensioni nominali al fine di riallinearne il potere d’acquisto. La differenza tra le due soluzioni è principalmente politica.
Ovviamente, per i dipendenti pubblici rimane sempre la facoltà di trasferirsi nel settore privato, qualora quest’ultimo si riveli in grado di pagare stipendi piú alti o in valute piú stabili.
Q — La soluzione proposta non risolve il
problema del debito privato; specificamente, non risolve i problemi che
riguardano il settore bancario.
A — Vero: questa nostra proposta affronta, per
ora, metà del problema. A breve affronteremo, in un altro articolo, la
questione del settore bancario.
Q — Avere un portafoglio di monete non è una
scelta scomoda?
A — In realtà, scomodo è imparare il tedesco e
trasferirsi in Germania per cercare lavoro. Perché questo è l’esito del
conservare la situazione attuale. Mentre la soluzione del cambio coattivo dei
conti correnti rappresenterebbe una distruzione di ricchezza privata di
dimensioni tali che qualunque presunta «scomodità» — perlopiú mentale — sarebbe
di gran lunga preferibile. In realtà, ciascuna persona che non apprezzi il
tenere in portafoglio piú monete perché «faticoso» si troverebbe, se la nostra
proposta fosse attuata, a valutare solo i prezzi espressi in un’unità di conto
calcolata sul paniere totale delle monete e a conoscere il cambio della sua
moneta verso tale unità di conto. Come in tutte le situazioni d’innovazione, si
svilupperebbero nuovi servizi per facilitare il detenere, il cambiare e lo
spendere di portafogli di monete.
Q — Non è una proposta politicamente ed
economicamente insostenibile?
A — Al contrario. L’emergere di forze politiche
euroscettiche è una tendenza di lungo periodo derivante dalle disfunzionalità
della zona euro. Il nostro scopo è appunto fornire quella che per ora è
l’unica soluzione che non crea eventi di singolarità sistemica che neanche i
partiti euroscettici hanno il coraggio e la possibilità politica di gestire.
Inoltre, non ci s’illuda ch’esista una soluzione che non abbia lati negativi alla crisi che sta vivendo la zona euro. I danni sono già stati fatti nel passato: ora si tratta solo di minimizzarli conservando intatti gli stock di risparmio degl’italiani, stock che sarebbero distrutti sia permanendo nella configurazione attuale, sia con un’uscita coattiva come proposto da chi vuol convertire nottetempo gli euro sui conti correnti in lire. La nostra proposta è una proposta che guarda al futuro, all’irrompere sulla scena delle criptovalute, mettendo l’Europa all’avanguardia nello sfruttare i vantaggi di queste nuove specie monetarie, e restituendo la moneta alla scelta delle persone, scelta ch’è stata tolta ai cittadini molto tempo fa coll’istituzione dell’uso politico della moneta.
Inoltre, non ci s’illuda ch’esista una soluzione che non abbia lati negativi alla crisi che sta vivendo la zona euro. I danni sono già stati fatti nel passato: ora si tratta solo di minimizzarli conservando intatti gli stock di risparmio degl’italiani, stock che sarebbero distrutti sia permanendo nella configurazione attuale, sia con un’uscita coattiva come proposto da chi vuol convertire nottetempo gli euro sui conti correnti in lire. La nostra proposta è una proposta che guarda al futuro, all’irrompere sulla scena delle criptovalute, mettendo l’Europa all’avanguardia nello sfruttare i vantaggi di queste nuove specie monetarie, e restituendo la moneta alla scelta delle persone, scelta ch’è stata tolta ai cittadini molto tempo fa coll’istituzione dell’uso politico della moneta.
Q — Quali leggi italiane e trattati
internazionali sarebbero interessati da una transizione al free banking?
A — Il corso legale dell’euro è sancito dal
Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Treaty on the functioning of
the European Union) all’articolo 128 comma 1. Lo scenario nel quale abbiamo
presentato la soluzione — riduzione dell’UE al solo mercato comune ed
eliminazione della sovrastruttura burocratica a opera di partiti «euroscettici»
— metterà già in discussione l’intero trattato in questione.
Nella legislazione italiana, bisognerà intervenire emendando gli
articoli 1277 (Debito in somma di denaro), 1278 (Debito di somma di monete non
aventi corso legale), 1279 (Clausola di pagamento effettivo in monete non
aventi corso legale), 1280 (Debito di specie monetaria avente valore
intrinseco).
Bisognerà poi ovviamente promulgare una legge che definisca e
specifichi tutti gli stadi della riadozione da parte dello Stato italiano d’una
moneta propria, sulla falsariga dello schema indicato da McLeod.
Nessun commento:
Posta un commento