di Andrea Fenocchio*
La Chiesa Cattolica, tallonata e minacciata dal marxismo che ormai dominava nella cultura occidentale, si era decisa a portare una ventata di novità con il Concilio Ecumenico Vaticano II. Conseguentemente un padre della Chiesa come sant'Agostino, col suo pessimismo e con la sua «scomoda» visione della religiosità, finì in soffitta. Per parlare della «scomodità» di sant'Agostino un libro non basterebbe e probabilmente nemmeno un'enciclopedia. Ci limiteremo perciò ad alcune considerazioni generali.
Sant'Agostino, innanzitutto, non credeva nella bontà dell'uomo: a causa del peccato originale siamo tutti dannati e solo l'intervento della grazia di Dio può determinare la nostra salvezza. Possiamo comportarci rettamente, fare la carità e andare a messa per le feste comandate, ma se Dio non ci redime con la sua grazia noi siamo tutti pronti per l'inferno. Da questa visione deriva la sua concezione politica illustrata nella Città di Dio («De civitate Dei»).
Per Agostino gli stati1 sono un bene negativo: sono nati dal sangue («Il primo fondatore di città fu dunque un fratricida» scrive il santo riferendosi a Caino) e servono unicamente a far sì che gli uomini si scontrino tra loro il meno possibile. Se gli uomini non fossero malvagi, chi più chi meno, per natura, gli stati non servirebbero.
È bene tuttavia ricordare, come osserva Dino Bigongiari nel suo saggio The political ideas of Saint Augustine che Dio non ha creato gli stati ma ne ha soltanto permesso la costituzione. Lo ricordiamo prima che a qualcuno venga in mente di dire che gli stati ce li ha mandati confezionati così come sono Nostro Signore.
Altro elemento, infine, che ha reso «pericoloso» il santo africano per i chierici innovatori è la definizione di guerra giusta, che in passato è servita a tutti gli apologeti della guerra. Agostino non poteva certo essere un guerrafondaio: si limitava ad accettare la triste necessità dello scontro bellico, a distinguere tra guerra e guerra ma soprattutto a distinguere le responsabilità. Per lui infatti non poteva essere condannato il soldato che uccide obbedendo agli ordini dei superiori. Colpevoli, caso mai, sono i capi degli stati che muovono la guerra. O voi credete che il soldatino sia tale e quale al grosso capo di stati che danza al suono delle bombarde e dei cannoni?
Nota
1. Al tempo di Agostino, lo stato così come lo conosciamo non esisteva: tale termine dunque è improprio e qui designa, per semplificare, il potere coercitivo e l'obbligazione politica.
*Collaboratore esterno
Egregio Fenocchio,
RispondiEliminami aiuti a trovare nei documenti del Concilio che lei non cita, la “messa in soffitta” di Sant’Agostino.
Sant’Agostino e quello che lei definisce impropriamente il suo pessimismo era già una seconda replica del concetto che non è affatto pessimista, ma soltanto vero. Gesù nel Vangelo a più riprese indica la condizione umana senza Dio e le sue tragiche conseguenze. La prima replica appartiene già a San Paolo che scrive ai Romani “So infatti che in me, in quanto uomo peccatore, non abita il bene. In me c’è il desiderio del bene, ma non c’è la capacità di compierlo. Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio.”
Gli stati sono di certo un invenzione umana e come tale destinata solo alla sparizione e all’oblio. Non c’è stato per i santi, e non c’è santo che riconosca altro stato che quello della città celeste.
Quanto alla responsabilità dei potenti sta scritto al capitolo 6 del libro della Sapienza :
La vostra sovranità proviene dal Signore;
la vostra potenza dall’Altissimo,
il quale esaminerà le vostre opere
e scruterà i vostri propositi;
poiché, pur essendo ministri del suo regno,
non avete governato rettamente,
né avete osservato la legge
né vi siete comportati secondo il volere di Dio.
Con terrore e rapidamente egli si ergerà contro di voi
poiché un giudizio severo si compie
contro coloro che stanno in alto.
L’inferiore è meritevole di pietà,
ma i potenti saranno esaminati con rigore.