Di Stephen J. Dubner e Steven D. Levitt
(traduzione e premessa di Tommaso Cabrini)
Da studenti (non
pretendiamo di essere denominati nemmeno studiosi) di economia austriaca non ci
interessa studiare con grandi formule matematiche l’economia nel suo complesso,
azione che non si rivelerebbe altro che una pretesa di conoscenza.
Per questo mi è sembrato
interessante proporre un articolo, scritto dagli autori dei libri Freakonomics
e SuperFreakonomics, che studia l’azione umana, riducendo al minimo le
presunzioni e focalizzandosi sulle scelte dei singoli individui. Con questo
pezzo non si intende fare nulla di più che uno spaccato di un settore molto
particolare, il no profit.
Naturalmente, come è
loro solito, Dubner e Levitt non approcciano in modo tradizionale e banale il
problema ma osservano come i metodi tradizionali non si rivelino sempre i
migliori.
In particolare in questo
articolo viene mostrata l’importanza della concorrenza come motore di sviluppo
dell’innovazione. Tramite la concorrenza si possono non solo sviluppare modi
diversi per approcciare ad un problema ma anche avere risposte su quali
modalità risultino più efficienti e più efficaci.
Altro tema importante
sono gli incentivi: le persone rispondono agli incentivi ed agiscono di
conseguenza, se gli stimoli che si offrono sono sbagliati o mal calibrati i
frutti non arriveranno, oppure saranno risultati opposti a quelli voluti.
Il concetto più
importante però compare perfino nel titolo; il profitto, viene ripetuto in
Italia, è una cosa quasi sempre negativa, che non porta alcun bene alla società
nel suo complesso, al massimo (come sostiene anche la costituzione) può essere
distruttivo del “utilità sociale”. Ora tramite lo scritto di Levitt e Dubner il
profitto assume una valenza totalmente diversa, la sua vera valenza, cioè di
incentivo ad agire e di conferma di raggiungimento dei risultati prefissati.
Naturalmente parliamo di
esempi rigorosamente privati, qui il profitto privato è l’incentivo ad agire
filantropicamente, in concorrenza con altre organizzazioni che si pongono gli
stessi fini ma con mezzi e strutture differenti, dove l’utile (la bottom-line del titolo originale)
rappresenta chi ha successo nel raggiungere gli scopi.
In futuro ho intenzione
di proporre altre traduzioni degli stessi autori, spero quindi risulti
interessante quanto presentato oggi.
L’effetto Soccer Boy
L’epifania
di Brian Mullaney avvenne in Vietnam nel 1994. Stava viaggiando come membro del
Consiglio di Amministrazione con Operation Smile, un’organizzazione di
beneficenza che effettuava interventi chirurgici in tutto il mondo ai bambini
poveri affetti da labbro leporino e palatoschitosi. Poiché l’organizzazione
trasportava via aereo medici e attrezzatura chirurgica dagli Stati Uniti, le
sue attività in un dato luogo erano limitate. “Ogni missione 500 o 600 bambini
si presentavano implorando per l’intervento” ricorda Mullaney, “ma noi potevamo
aiutarne solo 150”.
In un piccolo villaggio vietnamita, vicino al confine cinese, c’era un bambino
che giocava a calcio ogni giorno con i volontari; lo cominciarono a chiamare
Soccer Boy. Quando la missione finì, e Mullaney e gli altri se ne andarono,
egli vide Soccer Boy correre dietro al pullman del gruppo, con il suo labbro
leporino non operato. “Eravamo shoccati – come è possibile che non sia stato
aiutato?” Fu allora che Mullaney si rese conto che le organizzazioni di
beneficenza come Operation Smile avevano pesantemente bisogno di un nuovo
modello di business – o, in effetti, di un modello di business in assoluto – e
cominciò ad idearne uno.
L’epifania di Rafe
Furst arrivò proprio lo scorso anno mentre assisteva ad una conferenza a porte
chiuse a Gran Rapids, Michigan, a cui partecipavano alcuni dei più illustri
ricercatori sul cancro degli Stati Uniti. Furst potrebbe non sembrare la
persona più adatta a trovarsi in tale stanza. Egli è meglio conosciuto come un
giocatore d’azzardo professionista, un orgoglioso membro di un squadra di
pokeristi d’alto profilo, e d’alto Q.I., conosciuta come i Tiltboys. Ha una
laurea di primo livello [undergraduate] in sistemi simbolici ed una laurea di
secondo livello [graduate] in scienze informatiche, entrambe a Stanford, e nel
1999 intascò una piccola fortuna vendendo una agenzia di promozione online di
cui era tra i soci fondatori. (Disclosure: Furst è un nostro amico, e siamo
entrambi investitori in una sua più recente start-up, il cui obiettivo sociale
non ha a che vedere con questo articolo.)
Furst ed alcuni
altri Tiltboys cominciarono a donare parte dei loro guadagni a poker alla Prevent
Cancer Foundation, e nel 2004 fu invitato ad unirsi al loro Consiglio di
Amministrazione. Vide la conferenza di Grand Rapids come una via per imparare
di più sul cancro e come veniva combattuto. Invece dice: “Caddi in un buco
nero. Andando la, vidi che c’erano alcune cose incasinate. Il sistema non è
affatto pensato per risolvere il problema.” Sentì che la comunità dei
ricercatori sul cancro era composta da innumerevoli persone ben intenzionate
che, collettivamente, si trasformarono in un covo di interessi in competizione
e incentivi disallineati, dove venivano contesi finanziamenti e persino
informazioni.
Così anche Furst
ideò un nuovo modello di business per la beneficenza. La
sua idea è poco più dell’unione di due incentivi collaudati a lungo: il premio
e il profitto. Ispirato dalla sponsorizzazione dell’innovazione nei viaggi
spaziali ed altri campi della X Prize Fundation, Furst volle creare un
gigantesco premio, qualcosa come 10 miliardi di dollari, che sarebbe andato
alla squadra, o alle squadre, che avesse raggiunto la “cura” per il cancro,
così come definita dal comitato che istituisce il premio.
E da dove
sarebbero usciti quei 10 miliardi di dollari? “Non voglio i Bill Gates” dice
Furst “voglio i milionari, non sul podio, che desiderino fare la differenza”. Furst
ritiene che le strade siano lastricate di aspiranti filantropi, specialmente
gente giovane, che vorrebbe che le associazioni non a scopo di lucro operassero
un po’ più come l’ambiente a scopo di lucro che sono abituati a frequentare. Questo
significa stabilire potenti e realistici incentivi.
I ricercatori sul
cancro sarebbero certamente incentivati dal premio di 10 miliardi di dollari. Ma come incentivare i donatori? Furst
vorrebbe offrire una rendita, simile alle rendite pagate dai charitable remainder
trusts. Un donatore a tale trust devolve denaro o immobili in beneficenza e
riceve una rendita annuale fissa, in base al valore della donazione, fino alla
sua morte. “E’ un’idea grandiosa” dice Furst “Ma, sto pensando, come possiamo
fare ciò senza che uno debba morire?”
Un filantropo che
donasse ad un ipotetico Cure Cancer Annuity Fund riceverebbe qualcosa come il
15 percento di rendita su quanto versato, finchè i 10 miliardi di dollari non sono
stati interamente finanziati; dopodiché riceverebbe una rendita del 5 percento
(questo dipenderebbe, naturalmente, dalla capacità del fondo di generare tali
profitti; Furst confida che alcuni suoi amici negli hedge fund possono farcela).
La rendita si fermerebbe solo quando l’obiettivo – la cura per il cancro -
fosse raggiunto ed il capitale fosse pagato ai vincitori. La più grande
intuizione di Furst potrebbe essere l’aver riconosciuto che, per molta gente,
l’atto di altruismo non è così puro come potrebbe sembrare. In questo caso,
qualunque disturbo a donare da parte di un benefattore sarebbe controbilanciato
dal piacere di ricevere qualcosa in cambio.
L’idea di
Furst, per il momento, è
ancora in fase di progettazione. L’idea di Brian Mullaney,
nel frattempo, ha già dato molti frutti. L’incidente in Vietnam con Soccer Boy
gli ha fatto realizzare, dice, che le deformazioni da labbro leporino e palatoschitosi
“non sono un problema medico; sono un problema economico”. Come filantropo,
offrire interventi chirurgici solamente ad una frazione dei bambini bisognosi
gli spezza il cuore. Come businessman – al tempo gestiva un’agenzia
pubblicitaria – lo fa rabbrividire. “Quale negozio gira le spalle all’80
percento dei suoi clienti?”.
Mullaney ha aiutato
a concepire un piano. Invece di usare i milioni di dollari di Operation Smile,
raccolti con fatica, per far volare aerei ed equipaggiamenti in giro per il
mondo per modesti impegni, cosa succederebbe se i soldi fossero usati, invece,
per addestrare ed equipaggiare i medici locali ad effettuare interventi al
labbro leporino tutto l’anno? Mullaney immaginò che i costi per operazione sarebbero
crollati almeno del 75 percento, e non vide alcuna ragione per cui non si
dovesse tentare. I capi di Operation Smile vedevano le cose in modo differente,
così Mullaney e pochi altri abbandonarono l’organizzazione e diedero vita ad un
gruppo rivale, Smile Train. Col tempo, Mullaney uscì dal business pubblicitario
e divenne presidente della nuova organizzazione.
Smile Train funziona
come beneficenza perchè lavora come un business. Aggiustare il labbro leporino
o la palatoschitosi di un bambino è una procedura relativamente economica con
un enorme profitto, i bambini affetti da tali deformazioni in molti paesi sono
ostracizzati e fanno fatica ad andare a scuola, trovare lavoro e sposarsi, la
chirurgia elimina questi handicap. Così, quando strattona un Governo
riluttante, Mullaney si riferisce ai bambini affetti da questi problemi come
“asset non profittevoli” che possono essere reimmessi a breve nel ciclo
economico. Combatte contro i cattivi incentivi con altri, migliori: quando
Smile Train ha scoperto che le ostetriche a Chennai, India, venivano pagate per
soffocare le bambine nate con queste deformazioni, Mullaney cominciò ad offrire
alle levatrici la cifra di 10 dollari per ogni bambina che avrebbero portato in
ospedale per l’intervento chirurgico.
Smile Train,
inoltre, ha imbrigliato la tecnologia per fare efficienza in ogni aspetto del
suo business, dalla raccolta fondi al tracciare gli esiti dei pazienti. Ha
sviluppato un software che aiuta ad istruire i medici in tutto il mondo. Ci
sono processi di controllo della qualità ad alta tecnologia: usando immagini
digitali, uno specialista del Texas da un voto ad un campione casuale di
operazioni, effettuate, in giro per il mondo, dai medici di Smile Train, in
modo da sapere quali chirurghi in Uganda o in Cina, necessitino di maggiore
formazione. Queste sono il tipo di innovazioni che rendono Smile Train una
delle più produttive associazioni di beneficienza, in termini di denaro per
risultati, al mondo. Negli ultimi otto anni Smile Train ha effettuato più di 280.000
operazioni chirurgiche in 74 tra le nazioni più povere del mondo, raccogliendo
una cifra di circa 84 milioni di dollari lo scorso anno, mentre impiega in
tutto il mondo uno staff di sole 30 persone.
Mullaney stima
che Smile Train sia vicina a raggiungere uno storico punto di pareggio:
effettuerà, ogni anno, più operazioni di quante siano le nascite di bambini
affetti da labbro leporino e palatoschitosi nei paesi in via di sviluppo. Questo
significa che Smile Train potrebbe essere sulla buona strada per buttarsi fuori
dal mercato. “Questo” dice
Mullaney “sarebbe un sogno”.
Nessun commento:
Posta un commento