giovedì 18 ottobre 2012

Stato, mercato e disboscamento selvaggio


 di Miki Biasi



La parola “disboscamento” ha un preciso significato di cui possiamo venire a conoscenza aprendo un qualsivoglia vocabolario: il taglio degli alberi del bosco.
Ovviamente, per definire in maniera concisa quell’attività, potrebbe non piacere la parola “disboscamento” e qualcuno potrebbe perferire altri vocaboli. Ciò, comunque, non ne metterebbe in discussione il significato.

La situazione cambia, radicalmente, nel momento in cui compiamo queste tre operazioni mentali:
1) accostiamo alla parola “disboscamento” l’aggettivo “selvaggio”;
2) consideriamo l’aggettivo “selvaggio” in queste tre accezioni: “non considerazione gli effetti di lungo termine”, “a scapito degli altri” e “a proprio esclusivo vantaggio”.
3) attribuiamo alla locuzione “disboscamento selvaggio” il significato di taglio degli alberi di un bosco, operato dalle imprese, in un sistema capitalistico in cui vige la tutela della proprietà privata.

Proviamo, quindi, a verificare l’effettività del collegamento  tra queste 3 accezioni dell’aggettivo “selvaggio” e la tutela della proprietà privata nel libero mercato.


- Analisi della prima accezione: ” non considerazione degli effetti di lungo termine”.

E’ opinione diffusa quella che, nel libero mercato (sistema in cui vige la tutela della proprietà privata), le imprese tendano a sfruttare le risorse (nel nostro caso, gli alberi) fino al loro esaurimento per  ottenere il profitto maggiore possibile. Si ritiene che, pur di raggiungere questo scopo, le imprese non si curino dei bisogni delle future generazioni, esaurendo le risorse disponibili per soddisfare quei bisogni.
Questo è ciò che si vede ad una prima occhiata.
Tuttavia, dando una seconda occhiata, si scoprono elementi interessanti: l’esaurimento degli alberi implica, restando ferma (o crescendo)la domanda, un aumento del loro prezzo. Ciò significa una sola cosa: le imprese che, avventatamente, tagliano alberi oggi, stanno rendendo redditizie quelle imprese che acquistano e detengono terreni con grandi quantità di alberi, il cui valore è destinato ad aumentare a causa della progressiva scarsità. Proprio il grande profitto, spinge queste ultime a fare un’operazione così importante per il soddisfacimento dei bisogni futuri.

Inoltre, come sappiamo, dove è tutelata la proprietà privata, qualsiasi profitto conseguito(tramite lo scambio, s’intende) è il risultato della soddisfazione di bisogni altrui. Se esso è elevato, ciò significa semplicemente che sono stati soddisfatti bisogni ritenuti (dai consumatori) molto importanti.
Detto questo, è facile comprendere se e quando le imprese decideranno di conservare gli alberi: esse lo faranno nel caso in cui il previsto valore futuro degli alberi superi quello derivante da investimenti alternativi (ad esempio coltivazioni, case, strade eccetera). Se quel valore fosse minore, significherebbe che i consumatori danno più valore a quei bisogni soddisfabili tramite gli investimenti alternativi.

A questo punto, possiamo escludere la sussistenza del collegamento tra la tutela della proprietà privata e la prima accezione dell’aggettivo “selvaggio” che era quella di “non considerazione degli effetti di lungo termine”. Infatti, per dirla con Pascal Salin: il diritto di proprietà permette di capitalizzare le azioni future, di trasportare i valori nel tempo.

- Analisi della seconda e della terza accezione: “a scapito degli altri”e “a proprio esclusivo vantaggio”.

Queste 2 accezioni, le abbiamo già parzialmente affrontate discutendo cosa sia concretamente il profitto: abbiamo visto come ogni profitto (proveniente da uno scambio) comporti il beneficio ricevuto dall’altra parte dello scambio. Abbiamo posto , però, una condizione perchè ciò accada: la tutela della proprietà privata.
Se così non fosse, un’impresa potrebbe minacciare i consumatori per convincerli a comperare i propri prodotti.

La tutela della proprietà privata ha, però,  anche un'altra fondamentale funzione: nell’utilizzare la mia proprietà non posso impedire agli altri di utilizzare la loro, ne posso arrecarvi danno .
Inserendo questa funzione nel discorso sul disboscamento, possiamo notare come le imprese che lo operano, sarebbero responsabili di eventuali danni (frane, erosioni, smottamenti e inquinamento di ecosistemi acquatici) alle altre proprietà e ne risponderebbero.
In ciò,dunque, le imprese troverebbero parecchi motivi per svolgere un disboscamento accurato e sensibile.

Come abbiamo potuto evidenziare, non esiste alcun collegamento tra la locuzione “disboscamento selvaggio” e il sistema capitalistico in cui vige tutela della proprietà privata.

- Ma allora a quale sistema possiamo riferire la locuzione “disboscamento selvaggio”?

Vediamo cosa succede quando invece della proprietà privata, c’è la proprietà dello Stato, data in concessione ai privati.
Si perde l’incentivo, tipico della proprietà privata, a trasferire i valori nel tempo: l’impresa che ha il terreno in concessione(per il taglio degli alberi) è conscia che non potrà permettersi di lasciare in piedi un solo albero per tagliarlo in futuro, dal momento che il profitto, derivante da questa scelta, andrebbe non a suo favore, ma delle successive imprese concessionarie.
Spesso succede anche che, a causa del lobbismo, lo Stato permetta ai concessionari di violare le proprietà altrui.

Per molti basta che lo Stato dica alle imprese quanti alberi tagliare o agisca direttamente esso stesso per risolvere il problema del disboscamento: ci si dimentica, però, che lo Stato (o chi agisce per esso) è per definizione irresponsabile delle conseguenze dei propri atti, il cui costo scarica appunto su altri soggetti.

Insomma, l’unico e vero “disboscamento selvaggio” è quello di Stato.

Piccola nota: per chi volesse approfondire il tema qui sommariamente affrontato, si consiglia “L’ecologia di mercato” di Terry L. Anderson e Donald R. Leal

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