di Damiano Mondini
Grazie al pensiero del filosofo ed economista americano Murray Newton Rothbard (1926-1995), la tradizione liberale e quella anarchica vengono a convergere nell’anarchismo liberale o “anarco-capitalismo”, termine coniato negli anni ’50 dallo stesso Rothbard. La sua personale elaborazione risente dell’influsso di diverse tradizioni filosofiche ed economiche: l’anarchismo individualista americano, il giusnaturalismo, la Scuola Austriaca dell’economia, la ricerca dell’essenza dell’uomo di matrice aristotelico-tomista, la dottrina lockeiana dei diritti assoluti di proprietà. Di conseguenza il suo pensiero è una sintesi coerente dotata di una metodologia ultrarazionale, sulla quale viene fondata una difesa perentoria della libertà e dei diritti inalienabili dell’uomo, operata all’insegna di un individualismo metodologico radicale. Tale difesa implica la necessità di espungere la coercizione e il dominio dell’uomo sull’uomo dall’ordine sociale: in questo senso essa implica l’anarchia, ovvero la dispersione di ogni forma di potere, e dunque l’abolizione dello Stato e la risoluzione del dato sociale in forme differenti dalla statualità. Secondo le parole del professor Luigi Marco Bassani, docente di Storia delle dottrine politiche dell’Università di Milano e attento studioso del pensiero libertario americano,
chi si occupa di pensiero politico liberale classico troverà nella costruzione di Rothbard una sorta di termine ad quem, una soglia, inestricabilmente commista di anarchismo e liberalismo, che non è possibile oltrepassare. Poiché se è vero che nel fondo di ogni pensatore autenticamente liberale si nasconde un anarchico, Rothbard, con quel candore tipico degli eretici [poco prima lo aveva definito un happy warrior, n.d.r.], lascia affiorare sia il suo anarchismo, sia il suo liberalismo, costringendoci a guardare con lenti del tutto nuove queste due grandi tradizioni politiche.
La fondazione giusnaturalista dei diritti dell’uomo
Da un punto di vista filosofico, io credo che il libertarismo, ed il più ampio credo in un solido individualismo di cui il libertarismo è parte, debba basarsi sull’assolutismo dei valori e rifiutare il relativismo.
Murray N. Rothbard
Se molti liberali, come Mises, Hayek e Karl Popper, fondano epistemologicamente la loro difesa della libertà sul relativismo dei valori o sul fallibilismo della ragione, Rothbard la fonda inopinatamente sull’assolutismo dei valori, sull’apriorismo estremo e sulla forza della ragione. Ritenendo infatti la costitutiva ignoranza dell’uomo un fondamento insufficiente per una filosofia politica coerente, Rothbard cerca delle fondamenta più stabili cui affidarsi per opporsi alle dottrine che minacciano la libertà. Se i liberali fallibilisti sostengono che non esistano valori assoluti, e ritengono la ragione umana troppo limitata per elaborare verità universali in campo etico, Rothbard ha piena fiducia nella razionalità umana e nella possibilità di questa di scoprire, attraverso lo studio, i valori imprescindibili che derivano dalla natura dell’uomo. Egli è inoltre convinto che la “natura umana” non sia un concetto meramente teologico, poiché come tale non sarebbe adatto ad un discorso che volesse dirsi “scientifico”: al contrario, essa inerisce all’uomo in quanto tale, configurandosi appunto come naturale e immutabile. Rifacendosi alla tradizione di John Locke di una retta ragione in grado di scandagliare l’autentica natura dell’uomo, Rothbard deriva da essa dei diritti naturali e inalienabili che ineriscono a ciascun individuo e dei quali nessuno può essere ingiustamente privato: ecco dunque l’influsso lockeiano e giusnaturalista, che si salda alla ricerca tomista dell’essenza dell’uomo. Locke aveva definito tali diritti come quelli di “vita, libertà e proprietà” dei beni; Rothbard, rifacendosi esplicitamente al filosofo inglese, riconduce ciascun diritto dell’uomo al fondamentale diritto alla “proprietà privata”: da essa discendono la self-ownership, ossia la proprietà del proprio corpo e dunque il diritto alla vita, e il possesso legittimo dei beni prodotti col proprio lavoro o ricevuti grazie ad uno scambio volontario o in seguito ad una donazione. Tali diritti di proprietà sono legittimi e dunque assoluti ed inviolabili: da ciò deriva l’assioma di base di tutto il pensiero libertario, ovvero l’assioma di non aggressione, in virtù del quale nessuno può essere aggredito nella proprietà del proprio corpo e dei beni legittimamente posseduti. La coercizione, che consiste appunto nella violazione di questo assioma, è contraria alla natura dell’uomo: è dunque ingiusta ed immorale, mentre l’autentica etica umana si fonda sul rispetto assoluto dei diritti naturali, e dunque della libertà, di ognuno. Rothbard giunge dunque a formulare la legge della libertà assoluta: nessuno può essere limitato in alcun modo nell’esercizio della propria libertà. La libertà in questo senso va intesa chiaramente ex negativo come assenza di coercizione esterna: essa non va dunque confusa col potere, il quale invece si estrinseca nell’effettiva possibilità di fare qualcosa. In questo modo la libertà assoluta non può scontrarsi con quella altrui, poiché qualsiasi atto di aggressione, essendo coercitivo, violerebbe la libertà di qualcun altro e sarebbe dunque contrario alla natura dell’uomo.
L’individualismo metodologico e le scienze sociali
Solo l'individuo pensa. Solo l'individuo ragiona. Solo l'individuo agisce.
Ludwig von Mises
Da quanto scritto emerge chiaramente come l’analisi rothbardiana non concepisca la presenza esecutiva di agenti immateriali aggregati quali la società, la collettività, i gruppi, il mercato o lo Stato. Ereditando una tradizione che vede in Adam Smith, Bernard de Mandeville e David Hume i suoi precursori, e negli studiosi di Scuola Austriaca i più coerenti esponenti, Rothbard si accosta alle scienze sociali mediante un individualismo metodologico radicale. Al contrario del collettivismo metodologico, che analizza i fatti sociali quali dinamiche collettive, tralasciando l’agire umano, l’individualismo ritiene che il fondamento di ogni azione sociale sia il singolo individuo con la sua libera volontà, e che ad operare non siano delle presunte entità collettive dotate di un’esistenza e di un volere proprio indipendenti dalle componenti individuali. Di conseguenza la libertà e i diritti possono inerire soltanto all’uomo in quanto individuo, mentre concetti spuri come “diritti sociali” o “doveri sociali” perdono ogni significato in una siffatta analisi. A chi obiettasse che possono darsi obiettivi comuni e condivisi, Rothbard risponde che tale convergenza di scopi, se davvero autentica, è comunque il frutto delle singole volontà che decidono di cooperare. Da ciò deriva che ogni scopo sociale indipendente dalla libertà umana, che venga imposto ai singoli da un’entità collettiva che si serve del proprio potere coercitivo, sia contrario alla natura umana, che è eminentemente libera, e come tale sia da combattere.
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