martedì 2 ottobre 2012

Quale legalità?

di Paolo Amighetti



Ogni comunità umana sente il bisogno di darsi delle regole e di far sì che tutti i suoi membri le rispettino: distinguere ciò che è
«legale» da ciò che non lo è, dunque, è una necessità comune a tutte le fasi storiche e a tutte le civiltà. Nella nostra epoca, in cui lo Stato moderno è giunto ad una rigida codificazione di ciò che si può e di ciò che non si può fare, il tema della legalità resta uno dei più scottanti.

Bisogna però fare una precisazione: di per sé il termine «legalità» può significare tutto e niente. Essa non è che il compendio delle norme che regolamentano le società e che gli Stati devono far rispettare. Ogni ordinamento, di fatto, riconosce una propria idea di «legalità»: nella Germania nazista non era «illegale» rifiutare ad un ebreo (solo perché tale) un posto di lavoro, e viceversa non era «legale» costituire un'associazione politica nemica del NSDAP.

Bisogna dunque chiedersi: quale legalità? Com'è ovvio, noi abbiamo a che fare con il sistema italiano, con le norme vigenti nel nostro Paese, con l'idea di legalità che da noi è radicata. Senza dubbio il cosiddetto «senso civico» sembra latitare: un aspetto di questa mancanza di decoro civile è proprio il vago disinteresse per la legalità e il rispetto delle norme che dovrebbero regolamentare il nostro vivere assieme. Possibile che il malcostume sia innato nella società civile italiana?
Possibile che il nostro sia un popolo di furbi, di ladruncoli, di manigoldi incalliti? Può darsi. Ma perché non sottolineare che i primi a dare a tutti noi un pessimo esempio sono le autorità incaricate? Uno Stato amministrato da una burocrazia elefantiaca e inefficiente (sotto la quale si consumano i più eclatanti esempi di faciloneria e pressapochismo!) come potrà pretendere che la società civile difenda e rispetti quella legalità che esso stesso per primo mortifica?

Un'espressione di cui si abusa è «senso dello Stato», ovvero il pieno rispetto delle norme che l'autorità ha codificato. Eppure, decenni di malgoverno hanno distrutto la fiducia di molti verso le istituzioni e verso le leggi che ne sono espressione. Il Paese è in sintonia con la «legalità» soltanto a parole, durante il discorso di fine anno del presidente della Repubblica. Ora che il «Paese reale» e il «Palazzo» sono tanto distanti l'uno dall'altro, pare che il primo abbia varie rimostranze. Una maggiore trasparenza nei rapporti Stato-cittadino, ad esempio: una legislazione fumosa e contorta offre le migliori scappatoie ai cosiddetti «furbi»; una tassazione irragionevole e penalizzante alimenta ed ingigantisce il fenomeno dell'evasione. L'incongruenza è di quelle che fanno effetto: lo Stato, paladino della legalità, induce parecchi cittadini ad infrangerla. Bisogna che le regole cambino radicalmente. Per tutti.

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