di Damiano Mondini
Ante meridiem. La mattinata è stata un sostanziale tour de force nel mondo libertario e indipendentista, una realtà grondante di fascino. Con tre compagni di viaggio d’eccellenza, i prufesùr Carlo Lottieri, Luigi Marco Bassani e Alessandro Vitale. Conclude un intervento, ad avviso di chi scrive, deludente e fuori luogo di Oscar Giannino. Sale l’aspettativa per la sessione pomeridiana.
Post meridiem. Alla “tavola rotonda” pomeridiana siedono cinque professori universitari degni della miglior nota: il già citato Lottieri dell’Università di Siena, Daniele Velo Delbrenta dell’Università di Verona, Alberto Berardi dell’Università di Padova, Andrea Favaro dello Studium Generale Marcianum di Venezia e Paolo Bernardini dell’Università dell’Insubria di Como. Il simposio si ripropone di riflettere sui temi dell’indipendenza – del resto, la pietra d’angolo della giornata -, della Costituzione, dello Stato, del diritto e della libertà. Un obiettivo dunque ambizioso, ma che nondimeno è stato indubbiamente raggiunto, superando persino le aspettative dell’uditorio.
L’esordio spetta al professor Daniele Velo Delbrenta, il cui intervento ha il merito di soffermarsi a riflettere con cura ed arguzia su alcuni termini chiave, quanto mai fraintesi e strumentalizzati, della vita politica e civile contemporanea. La Costituzione, innanzitutto. Si tratta tecnicamente di un “nome di azione” che deriva da “costituire”: nella realtà, è semmai più contiguo ad un termine di inazione, di passività e soprattutto di cerchiobottismo. Una nobile arte, quest’ultima, di cui i Padri Costituenti erano maestri insuperati. Dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, accontentare democristiani, comunisti, socialisti e “liberali de noantri” forgiando una Carta Costituzionale che non vede la chiarezza espositiva fra i propri meriti principali – e che, in tutta franchezza, vede col binocolo qualsivoglia elemento di merito. Gli articoli 41, 42 e 43 sono eloquenti al riguardo: la tutela della proprietà privata, che pure è ribadita con fare perentorio, è mitigata dal suo ancoramento ad una sua mistica “funzione sociale”, la cui definizione è chiaramente monopolio sacrale ed imperituro dello Stato; quest’ultimo è nei fatti legittimato a fare dell’iniziativa privata ciò che meglio crede, con limiti più indicativi che concretamente rintracciabili. Il sostanziale “equilibrismo” della Costituzione, frutto delle due anime apparentemente contrapposte durante la guerra fredda, non fa che renderla, per citare Francesco Cavalla, null’altro che una “tiracca”, una bretella. Una bretella cui però si attribuisce una validità metafisica tale da renderne una possibile modifica – o addirittura un recesso sulla base di un privatistico modello contrattuale - un tabù. I sacerdoti del potere costituito, le “vestali della Costituzione”, sono impersonati dal nobile consesso dei costituzionalisti. Un tempo il potere era difeso dagli stregoni, dagli sciamani e dai druidi; fu poi la volta dei sacerdoti e dei filosofi; il Novecento ha visto il trionfo degli economisti e dei tecnocrati; attualmente in Italia il testimone è stato ereditato con orgoglio e spirito di corpo dagli specialisti del Diritto Costituzionale, quello con le maiuscole. Costoro interpretano secondo le proprie categorie concettuali, peraltro autoreferenziali, l’idea stessa di indipendenza, cardine della riflessione del Convegno. Ed ecco che, stando a quanto afferma la nostra Costituzione, indipendenti sono soltanto la Chiesa, lo Stato e la Magistratura; non gli individui, che sono solamente presunti “liberi”. E’ necessario trascendere i confini del costituzionalismo e ripensare l’indipendenza e l’autonomia in modo nuovo: si tratta di spezzare le catene dell’articolo 5 (“La Repubblica, una e indivisibile…”) e introdurre prospettive volontaristiche, sia in chiave comunitaria che individuale. Si tratta insomma di superare lo statalismo centralista con un indipendentismo finalizzato ad un pieno libertarismo. Dall’Italia Stato al Veneto Stato; dal Veneto indipendente all’individuo indipendente.
Il professor Andrea Favaro riflette brevemente sulla categoria della “teologia politica”, ovvero della trasfigurazione delle istituzioni politiche – prima fra tutte lo Stato – in divinità meritevoli di adorazione. Fondamentale, al fine di superare questa superstizione, e anche a rischio di sembrare “miscredenti”, è oltrepassare l’ideologia del “così si è fatto sempre”, secondo la quale l’ordinamento statuario odierno è l’unica – o quanto meno la migliore – scelta sociale praticabile. Si pone al riguardo la necessità di scegliere fra due modelli contrapposti: da un lato quello del noto socialista utopista Saint-Simon, che auspica un governo centralizzato dotato di un esecutivo forte di tecnocrati incaricati di dirigere “con scienza” la società (modello portato alle logiche conseguenze dal positivismo di Auguste Comte, allievo di Saint-Simon); dall’altro il misconosciuto Giuseppe Toniolo, per il quale il popolo ha il diritto di esprimersi direttamente sulle scelte politiche tramite lo strumento referendario, e in tal modo di decidere autonomamente intorno al proprio destino, magari scegliendo strade opposte a quelle consigliate con tecnico ardore dai supremi detentori del sapere scientifico. Due strade agli antipodi, delle quali i veneti si apprestano a percorrere la seconda.
L’intervento del penalista Alberto Berardi esordisce con una citazione da The Road to Serfdom di F. A. Hayek. Nel capitolo dedicato al rapporto fra pianificazione e democrazia, Hayek riflette sul fatto che l’indisponibilità da parte del singolo delle risorse sottrattegli con la tassazione comporta l’impossibilità, in ultima istanza, di perseguire pienamente i fini valorizzati soggettivamente dall’individuo stesso. Nello specifico l’economista austriaco si riferisce alla Germania del ’28, in cui il 53% dell’economia viene intermediata e sostanzialmente gestita dall’opera dello Stato: in questo modo tutti i fini sono indicati dalla pianificazione centrale e sottratti al libero arbitrio dei singoli. Naturalmente la gestione sociale della produzione è destinata prima o poi a rendersi inefficace, e a quel punto il potere necessita di esser tolto alle Assemblee democratiche per essere demandato ad un ristretto consesso di tecnici: tale è il destino ineluttabile della democrazia collettivista, liberale o socialista che dir si voglia. Berardi si preoccupa anche di tranquillizzare l’uditorio indipendentista sulla legittimità, ai sensi del Codice Penale, della contestazione intellettuale del dominio illimitato dello Stato: l’articolo 241, come risultante dalle modifiche apportate nel 2006, non contempla più l’ergastolo per il vilipendio dell’aulica istituzione cui siamo costretti ad aderire. Non si rischia dunque la galera a vita a “pulirsi il sedere” col Tricolore; tutt’al più, un’ammenda di qualche migliaia di euro. Allo Stato conviene far cassa più che mantenere detenuti vita natural durante.
Il professor Paolo Bernardini ribadisce l’esistenza di istanze superiori rispetto al diritto positivo dello Stato: il diritto divino, per chi ci crede, e il diritto naturale e inalienabile, che spetta agli individui e ai popoli indipendentemente da ciò che sanziona la legge “posta” dall’ordinamento statuario. Il giusnaturalismo si rifà ad una società pre-politica - ad un pactum unionis che non sia anche pactum subiectionis. Da qui la necessità di andare oltre i limiti imposti dal religioso ossequio alla Carta Costituzionale, ricordando due aspetti fondamentali: in primo luogo, che fu dalla violazione della Costituzione inglese che ebbe origine la Rivoluzione americana; inoltre, che non è utopistico e irrealistico immaginare forme di consorzio sociale diverse dalla statualità, che non prevedano la monopolizzazione della forza nelle mani dello Stato. Dallo Stato massimo ad una società senza Stato - la “privatizzazione del mondo”, come scrive Bernardini nel suo Minima Libertaria – la via da intraprendere può consistere in una realtà composita di tanti piccoli Stati. La via della Catalogna, della Scozia e del Veneto è dunque, in ultima istanza, la stessa via della libertà.
Tutto questo è stato l’evento di Gallio. L’imperdibile inizio di un cammino che, chissà quando, ci condurrà fuori dalla schiavitù dello Stato. Quel giorno, se ci saremo, potremo dire: “Io c’ero”.
Ottimo resoconto!
RispondiEliminaGrazie Alex! Damiano
RispondiEliminaBellissima summa.
RispondiEliminaMi spiace tantissimo non esserci stato per motivi "logistici".
Ho letto che Giannino ha parlato di "fermare il declino" sempre in un'ottica statuale italiana (d'altronde sembra abbia ancora la forma mentis PRI e "piemontese"). Io gli avrei suggerito che per fermare il declino bisogna fermare lo stato italiano :)
Per parte mia posso dirti che Giannino ha fatto una vera e propria figura da emissario di casa Savoia. E' il rischio di affidare un partito "liberale" all'egida di un ex(?) repubblicano. Damiano
EliminaBellissimo Resoconto (parte I e parte II).
RispondiEliminaOvviamente faremo 'copia e incolla'....