A dividere il Canton Ticino dalla Lombardia c'è soltanto un confine. Di qua e di là, si parla la stessa lingua; di qua e di là, il paesaggio è lo stesso: siamo ai piedi o alle ginocchia delle Alpi. I legami tra le due terre sono tanto forti che la Svizzera italofona si chiama anche «Lombardia svizzera». Ma se il Canton Ticino è la propaggine meridionale della Confederazione svizzera, la Lombardia è una «Regione a statuto ordinario» della Repubblica italiana. Le divergenze nascono da qui: mentre i cittadini ticinesi godono di amplissima potestà decisionale su tutto ciò che riguarda la loro comunità (dalla pressione fiscale, all'immigrazione, alla stessa loro appartenenza al Cantone), i cittadini lombardi sono privati di un'altissima percentuale della ricchezza che producono: sono cioè impotenti dinanzi alle scelte del governo, che da tempo promuove un drenaggio di risorse dalle regioni virtuose a quelle viziose. Negli ultimi dieci anni, i lombardi hanno versato allo Stato italiano 450 miliardi di euro: una media di quaranta miliardi all'anno. Queste cifre astronomiche attestano che la Lombardia è di fatto una colonia tributaria dello Stato italiano. Perché il governo destini un euro di spesa pubblica in Lombardia, infatti, bisogna che il contribuente bresciano, bergamasco o milanese paghi circa due euro e quarantacinque. In Abruzzo, ad un euro di spesa pubblica corrispondono circa 53 centesimi; in Basilicata 28 centesimi, in Calabria 27. In sostanza, la Lombardia paga praticamente per tutti. Come afferma il professor Marco Bassani, candidato nelle liste di FARE per Fermare il Declino al Consiglio regionale lombardo, «al sud essere centralisti e statalisti è perfettamente logico e razionale»; viceversa, dovrebbe essere il contrario al nord e soprattutto in Lombardia, dove si paga di più e si riceve di meno. Ma alle regioni più produttive d'Italia manca lo spirito che anima la Confederazione svizzera: manca cioè la consapevolezza che all'arroganza dei governi si può resistere ponendoli in concorrenza tra loro. Questo è il sale dell'autentico federalismo, che Marco Bassani descrive come «la distruzione dei monopoli statali», un modo di «fare entrare l'economia di mercato e la concorrenza anche tra i governi».
Il Ticino deve la sua fortuna alla natura composita e concorrenziale della Confederazione di cui fa parte: in assenza di un forte governo centrale, che possa esercitare un ruolo monopolistico in fatto di tasse e di leggi, gli ordinamenti cantonali sono costretti a conquistarsi il consenso e l'approvazione dei cittadini, che mantengono sulle istituzioni un controllo costante. Gli svizzeri votano con le mani e con i piedi: hanno facoltà di interferire nelle scelte della classe dirigente esprimendosi tramite referendum e, in caso un governo cantonale adotti politiche penalizzanti, possono permettersi di trasferirsi in un Cantone adiacente per sottostare ad un'amministrazione più clemente. Le piccole dimensioni dei singoli Cantoni, infatti, inaspriscono la competizione tra i diversi regimi fiscali: spostarsi dai Grigioni ad Uri, da Uri a Glarona e così via è tanto facile che il cittadino svizzero trova a sua disposizione un'ampia «offerta» di istituzioni, leggi e regolamenti. Nulla a che vedere con l'assetto tipico dello Stato moderno, che fa dell'obbligazione politica, sottoforma di centralismo piramidale o di ambigui sistemi basati su «autonomie», la sua caratteristica pregnante. L'Italia ricalca alla perfezione questo modello, che tutela gli interessi di una classe politica deresponsabilizzata convinta di godere di un diritto «naturale» sulle ricchezze prodotte dai cittadini. Fermare il declino è possibile: ma solo se si pone fine ai trasferimenti delle risorse che dalle regioni produttive finiscono a quelle improduttive, condannando le prime all'eterna penalizzazione e le seconde al servaggio. Per tagliare i trasferimenti è necessaria una riforma autenticamente federale, alla quale il maestro del professor Bassani Gianfranco Miglio dedicò molte energie a inizio anni Novanta, oppure spingere per l'indipendenza delle regioni cui lo Stato italiano procura soltanto grattacapi. La Lombardia, che di queste regioni è la più vessata, ha dinanzi a sé due scenari: un inesorabile declino sotto il tacco del governo italiano o il trattenimento non del 75 ma del 100% delle risorse che produce. Oggi la Lombardia dei Formigoni, dei Maroni e degli Ambrosoli è una piccola Italia. Per salvarsi, per arrestare il suo declino dovrebbe diventare una grande Svizzera.
Massima stima per il prof. Zucco, ma stavolta anche lui è scivolato sulla buccia di banana della vulgata "settentrionalista". Le risorse depredate al nord non vanno ai cittadini del sud (che altrimenti vivrebbero in grazia di Dio, e non vessati da criminalità, disoccupazione e corruzione), ma vanno alla "casta". E il nord ha fornito elementi di spicco alla casta, basti pensare che Berlusconi è di Milano, Bersani di Piacenza, Monti di Varese, Amato di Torino (eccezion fatta per un anno di governo De Mita, bisogna risalire ad Aldo Moro per trovare un Premier meridionale in Italia). Ovviamente non sto dicendo che la "casta" è settentrionale, perché se i Re vengono dal Nord è evidente che vassalli, valvassori e valvassini provengono dalle altre parti del paese. Tra l'altro chiarisco che ho sempre avuto simpatie per la causa irredentista veneta, quindi non sono un "meridionalista".
RispondiEliminaMa la contrapposizione nord-sud vista come produttori versus parassiti è errata e fuorviante rispetto al problema, oltre a creare dissenso rispetto all'idea federalista stessa. La casta depreda il nord ed impedisce di produrre al sud. La contrapposizione è casta vs. produttori.
Saluti
Ciò che sostiene è vero, in larga parte: lo scontro "di classe" in questo come in ogni altro Paese è tra produttori e casta, ovverosia tra produttori e il blocco composto da classe politica e parassiti. Dovunque è così. Ma in Italia più che altrove esiste, ed è innegabile, una particolare contrapposizione territoriale: ad un nord in massima parte produttivo fa da contraltare un sud in massima parte avvinto alle logiche della redistribuzione. (Intendiamoci: non tutti al nord producono, non tutti al sud vivono sulle spalle degli altri: ma le opposte tendenze al nord e al sud sono proprio queste). Bisogna mettere l'accento non sul fatto che i soldi del nord non vanno ai cittadini del sud, ma che i soldi del nord "vanno": cioè sono prelevati dal governo, che poi ne fa l'uso che più gli aggrada. Nel varare, tra uno spreco e l'altro, leggi pro-Mezzorgiorno, il governo non fa che tagliare le gambe alle imprese e al dinamismo meridionale. Ci ritroviamo così con un nord penalizzato e un sud drogato.
EliminaSaluti
Paolo Amighetti
(Ps: ha scritto "il prof. Zucco". Suppongo il suo sia un lapsus, e che si riferisse al prof. Bassani).
Sì, volevo dire prof. Bassani (ma avevo letto sotto l'intervista di Zucco, e mi son confuso)... Tra l'altro credo che io e Bassani (stavolta intendo lui) abbiamo un amico in comune, ma non ne sono sicuro. E se avessi la residenza in Lombardia voterei per lui, ovviamente, senza dubbio alcuno.
RispondiEliminaD'accordissimo con quanto hai eccepito (tra l'altro ci possiam dare del tu, se vuoi, sono più vecchietto di voi di R2L ma non tanto, sono ancora abbondantemente sotto i 40 e mi sento giovane dentro, nonostante l'alzheimer incipiente - vista la confusione di nomi). :)
Tuttavia mi premeva sottolineare che le leggi pro Mezzogiorno in realtà sono sempre state leggi "pro clientele del Mezzogiorno" (anzi, a volte nemmeno, perché molte "cattedrali nel deserto" sono state fatte da imprenditori di altre zone d'Italia che hanno intascato i contributi - pagati dal nord - per poi andarsene subito dopo), e che quindi più che leggi per un territorio sono state leggi ad personam, o quasi.
Che i soldi non dovessero "andare" via, confermo e sottoscrivo, ma che non siano arrivati dove molti pensano (al "sud") è un altro dato di fatto.
Tschüss!!
Le leggi pro-Mezzogiorno, di fatto, hanno alimentato le clientele. Anche questo è vero. Ma se i soldi fossero arrivati ai cittadini del sud, se nel sud si fosse investito in infrastrutture e così via, dovremmo ammettere -comunque- di trovarci di fronte ad un grosso esproprio, come tu stesso convieni.
RispondiEliminaTschüss! :)
Paolo Amighetti
Investimenti "produttivi" in infrastrutture!!! Ahahahah!! E' ll male keynesiano e rooseveltiano che dobbiamo debellare =)
EliminaDamiano Mondini