Di Michael
Crook (traduzione di Tommaso Cabrini)
La Banking Company of Aberdeen entrò nel mercato
nel 1747 e rapidamente emise troppe banconote a fronte delle reserve
detenute. Diventò rapidamente illiquida in seguito al riscatto di
banconote da Edimburgo e fece crack nel 1753. Forse il più
importante aspetto di tale avvenimento fu la regola secondo la quale
con sommaria diligenza non si detengono banconote, ad eccezione di
quelle emesse dalla Bank of Scotland. La causa intentata da un
detentore di banconote della Banking Company of Aberdeen fu
archiviata. Non fu che 10 anni dopo, nel 1765, che questa regola si
invertì.
Gli anni 50 e 60 del 1700 rappresentarono per il
settore un periodo con molti nuovi entranti nel mercato, ma molti di
essi erano piccoli e provinciali. Il settore andò da 14 società nel
1750 a 23 nel 1765 e ben 32 nel 1769. L’alto numero di nuovi
entranti portò alcune società ad essere malgestite, cosa ben
esemplificata dal management della Ayr Bank.
La Ayr Bank fu fondata nel 1769 ed in breve tempo
divenne illiquida. Aveva emesso troppe banconote e, nel 1772 fece
bancarotta, con perdite per circa 666.000 sterline inglesi. Il
fallimento mandò in bancarotta anche 8 banchieri privati di
Edimburgo, con la conseguente scomparsa di 9 delle 29 banche in
affari all’inizio del 1772.
I postumi e le
conseguenze del fallimento Ayr sono interessanti. In parole povere il
Note Exchange System, che sarà successivamente approfondito, era un
sistema che permetteva alle banche di ottenere il rimborso delle
reciproche banconote. Queste brevi tempistiche di cambio
significavano che le banche venivano tenute sotto reciproco
controllo, e se avessero ecceduto nelle emissioni sarebbe divenuta
evidente la loro incapacità di far fronte al flusso di banconote con
la moneta. Fu quindi l’Exchange System, che metteva a nudo le
eccessive emissioni, che evitò che le altre banche emittenti
fallissero assieme alla Ayr. Come conseguenza dell’esistenza
dell’Exchange System, le banche non detenevano grandi quantità di
banconote Ayr ed a seguito delle crescenti difficoltà da parte di
Ayr a far fronte agli scambi, le altre banche ebbero un importante
preavviso della sovraemissione. Consapevoli del fatto che un
fallimento di tali dimensioni avrebbe potuto portare ad implicazioni
fortemente negative per l’intero settore bancario, la Bank of
Scotland e la Royal Bank decisero di accettare le banconote Ayr ormai
senza valore. Questa azione rafforzò la
fiducia nel settore bancario, attraendo depositi addizionali, ed
incrementò il numero di banconote in circolazione delle due banche.
Un altro elemento
fondamentale della bancarotta Ayr fu il quadro normativo nel quale
operavano le società. Gli azionisti delle banche prive di
approvazione della corona [che cioè erano prive dello status di
“Chartered company” Ndt] erano illimitatamente responsabili dei
debiti contratti, principio valevole fino al 1862 (parecchi anni dopo
la fine del free banking). Questo aiutò ad autoregolare le società,
ma anche a limitare il rischio dei creditori in caso di default. Si
dice che nel caso della Ayr Bank i creditori siano stati interamente
rimborsati. Di fatto non ci fu alcun caso in cui una banca con più
di 9 soci fosse incapace di rimborsare integralmente i propri debiti,
non solo, il totale delle perdite stimate patite dal pubblico in
seguito a tutti i fallimenti di banche scozzesi avvenuti fino al 1841
fu di sole 32.000 sterline. Per contro, le perdite per il pubblico
della sola Londra furono il doppio di tale importo nel solo anno 1840
(White). La nascita della Commercial Bank of Scotland nel 1810 e
l’avvio della sua estesa rete di filiali segnarono la fine dei
piccoli banchieri privati in Scozia. Fondata come “banca dei
cittadini” (Anderson 1910) la Commercial Bank non premise ad alcun
banchiere privato di sedere nel suo Consiglio di Amministrazione e fu
fondata con i capitali di più di 650 azionisti. Queste particolari
caratteristiche fondative furono apprezzate dalla popolazione e
rafforzò la loro strategia di grande espansione della rete di
filiali, la Banca rapidamente divenne un successo. Nel 1819 aveva 14
filiali e nel 1830 sorpasso tutti i propri rivali con 30 filiali.
Comunque la Commercial Bank non fu la sola banca
dell’epoca in rapida espansione. Negli anni 30 del 1800 piccole e
grandi banche aggiungevano filiali a ritmo sostenuto e per la fine
del decennio il totale delle filiali superò le 300 (White). Cosa
ancora più importante, questa espansione incrementò la
disponibilità di servizi bancari in Scozia. Nel 1845 erano presenti
19 banche emittenti con 363 filiali aperte in tutta la Scozia. Questo
significava 1 ufficio ogni 6.600 abitanti in Scozia, a fronte di 1
ufficio ogni 9.405 abitanti e ogni 16.000 abitanti rispettivamente in
Inghilterra e negli Stati Uniti (Macfarlan).
Tuttavia la rapida espansione del numero di
filiali da parte delle grandi banche non riusci ad espellere dal
mercato le banche provinciali e locali. Thomas Kinner, direttore
della Bank of Scotland, notò di essere incapace di competere in
alcune aree e si trovò costretto a chiudere alcune filiali (White
1984). Nonostante le economie di scala fossero chiaramente all’opera
per permettere alle grandi banche di espandersi, non erano così
forti da permettere il formarsi di un monopolio naturale. Come notato
da White nel 1984, non ci sono prove dall’esperienza scozzese che
la produzione di moneta convertibile tenda a diventare un monopolio
naturale.
In breve il sistema scozzese di free banking ha
prodotto un settore bancario di successo, composto da molte banche
concorrenziali con una quota di mercato ben distribuita. Molte delle
banche, durante l’esperienza, furono ben capitalizzate, e coloro
che non lo erano furono rapidamente eliminate con ridotte
ripercussioni per il pubblico e i depositanti. I servizi bancari
furono a disposizione di una larga maggioranza del pubblico, la
contraffazione fu minima, e molte importanti innovazione bancarie
utilizzate ancora oggi nacquero dalla pressione competitiva per
attrarre nuovi clienti. A dispetto di tutti questi benefici, il Peel
Act del 1844 e lo Scottish Banking Act del 1845 fermarono a tutti gli
effetti il free banking scozzese bloccando la libera entrata nel
mercato ed istituendo ulteriori regolamentazioni.
Il quadro normativo
Il quadro normativo bancario scozzese fu
estremamente semplice. Inizialmente non ci furono restrizioni legali
o regolamentazioni specifiche per il settore bancario. Sulla base del
common law tutti i contratti avevano piena efficacia, ma il settore
bancario non aveva un proprio insieme di normative a sé stanti.
L’entrata nel mercato era libera, e non c’erano coefficienti di
riserva, limitazioni all’azionariato, requisiti minimi di capitale
o una predefinita “moneta legale”. Infine vennero poste in essere
due regolamentazioni bancarie con le leggi del 1765. Primo, fu posta
fine all’emissione di banconote di valore inferiore alla sterlina.
Questa fu una restrizione voluta dalle grandi banche, per le quali
rappresentava un modo per limitare la concorrenza di concorrenti più
piccoli, anche se fu presentato come di pubblico interesse, in quanto
dovesse evitare alle banche di praticare emissioni eccessive con
piccole banconote. Secondo, il contratto di opzione di interessi
sulle banconote, che fu istituito per prima dalla Bank of Scotland e
successivamente dalla Royal Bank, tra gli altri, fu reso illegale. Le
banconote dovevano essere pagate immediatamente su richiesta del
portatore.
[continua...]
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