di Damiano Mondini
Il futuro e la soluzione si chiamano Europa.
Pierluigi Bersani
Mi ripropongo in questo breve scritto di avanzare alcune lapidarie riflessioni sull’Europa e su quanto le gravita attorno. Sulla scorta delle riflessioni dell’economista spagnolo di Scuola Austriaca Jesùs Huerta de Soto è possibile affermare due verità apparentemente contrastanti: da una parte, l’Euro pare configurarsi come la più concreta approssimazione allo standard aureo che gli austriaci si ripropongono di raggiungere come situazione ottimale; dall’altra, la gestione della politica monetaria dell’Eurozona da parte della Banca Centrale Europea e l’amministrazione burocratica dell’Unione rappresentano senz’altro un pericoloso ostacolo al risanamento dell’economia e al progredire della libertà. Insomma, risulta estremamente difficile dare un giudizio conclusivo e chiaro pro o contro l’Europa, la moneta unica e l’integrazione. Da un lato infatti si pongono gli europeisti più convinti, gli sbandieratori del “sogno” di un continente unito sotto il profilo economico e politico, “una preziosa eredità da lasciare alle future generazioni”; dall’altro, parimenti deprecabile è la tesi degli oppositori dell’Euro che vagheggiano di un ritorno alla sovranità monetaria degli Stati, ai quali venga concessa la possibilità di “uscire dalla crisi” stampando autonomamente moneta senza riserva alcuna.
Entrambe le posizioni sono insostenibili: i propugnatori degli Stati Uniti d’Europa delineano un modello neokeynesiano dal punto di vista economico e centralista da quello politico, fornendo le basi per l’affermazione di un’Unione delle Repubbliche Socialiste d’Europa che schiaccerà sotto il peso del proprio apparato ogni afflato liberale e ogni speranza di sviluppo economico; non da meno, i visionari della Modern Monetary Theory come Paolo Barnard desiderano drogare nuovamente il sistema con altra liquidità, nel vano tentativo di avviare la ben nota “crescita” mediante immissioni di moneta creata ex nihilo dalle banche centrali nazionali. Non è necessario professarsi liberali o aver letto i classici del pensiero austriaco per rendersi facilmente conto delle assurdità proclamate da ambedue le fazioni: è sufficiente essere dotati di un minimo di ragionevolezza. Non di meno, resta ancora irrisolta la questione se porsi o meno a difesa dell’integrazione economica europea. Gli europeisti, sia pure involontariamente, ci ricordano che proseguire sulla via di Bruxelles rischia seriamente di condurci su quella di Mosca – o verso lidi peggiori di cui la Storia non ci ha ancora dato testimonianza, essendo questa “un continuo progresso verso il meglio”; d’altro canto, i detrattori della moneta unica, che anelano al ritorno ai nazionalismi monetari e alla “stampante sotto casa”, sono utili nel rammentarci che eliminare quei pochi vincoli che l’Unione pone all’emissione di denaro, e magari far rinvigorire antichi spiriti protezionistici, non è parimenti una soluzione auspicabile in un’ottica liberale o anche solo di buon senso. Come considerare dunque il problema Europa? Innanzitutto, il nostro individualismo liberale deve come sempre farci diffidare di ogni concentrazione del potere, in modo particolare quando questo viene ad accentrarsi nelle mani dei burocrati di Bruxelles e dei banchieri centrali di Francoforte – quelli che, Mario Draghi in primis, cercano in ogni modo di rendere la BCE sempre più simile alla Federal Reserve e dunque ad un torchio senza freni. Nondimeno, Mises e Hayek ci ricordano che il nazionalismo monetario e la politica dei tassi di cambio flessibili sono di gran lunga peggiori di ogni soluzione intermedia che tenti di rispecchiare quanto più possibile i caratteri del gold standard – almeno finché non si potrà pervenire ad esso in modo completo, e v’è di che dubitare che ciò avverrà nel breve-medio periodo. Naturalmente, la moneta unica non è stata progettata dai politicanti europei a Maastricht in un’ottica asintotica al sistema aureo, e certamente la gestione della BCE tenterà di rendere i due sistemi monetari sempre più distanti ed inconciliabili; pur tuttavia, uscire dall’Euro, quand’anche fosse concretamente realizzabile, dubito francamente possa essere un’opzione da prendere in considerazione. In Italia il fronte anti-euro, volendo tacere per amor di patria della MMT e dei deliri di Barnard, è trasversale come quello degli europeisti – e peraltro le due posizioni, per strano che possa sembrare, non sempre si escludono a vicenda: da Silvio Berlusconi a Beppe Grillo, passando per Paolo Ferrero, tutti criticano l’Euro e, in modo più o meno velato, propongono per esso scelte terminali – mentre suggeriscono nel medesimo tempo di rendere la BCE un’istituzione più forte e una “prestatrice di ultima istanza”. La soluzione di costoro è semplice: torniamo alla nostra moneta autoctona – quella Lira tanto incensata anche dai leghisti - e monetizziamo il nostro debito pubblico con l’ausilio della Banca d’Italia. E’ inutile ribadire che l’emissione di moneta artificiale equivale ad una tassa occulta, quanto meno in regime di corso forzoso; altrettanto superfluo è ricordare che l’immissione di nuova liquidità nel tessuto economico provoca storture del sistema produttivo, avvantaggia qualcuno a sfavore di qualcun altro – si pensi all’effetto Cantillon, per il quale i primi a ricevere il nuovo denaro traggono maggiori benefici rispetto agli ultimi -, priva di ricchezza reale quegli strati della popolazione che poi si riversano nelle piazze protestando contro il neoliberismo e ringhiando contro i privilegi dei potenti; nel lungo periodo, poi, porta al formarsi di bolle artificiali il cui inevitabile scoppio origina le crisi economiche, i cui effetti ci sono di questi tempi assai ben noti. Volendo concludere: non possiamo essere garantiti sul fatto che la gestione europea della moneta sarà oculata, ragionevole e indirizzata dall’intransigente monetarismo di Jens Weidmann – anzi, sull’effettivo potere contrattuale di quest’ultimo v'è seriamente di che dubitare; ciò nonostante, possiamo mettere la mano sul fuoco sul fatto che tornare alla Lira e rimettere alla volontà dei politici nostrani la gestione della moneta sarebbe una decisione gravida di conseguenze catastrofiche. Siamo liberali euroscettici, insomma, non certo mercantilisti!
Entrambe le posizioni sono insostenibili: i propugnatori degli Stati Uniti d’Europa delineano un modello neokeynesiano dal punto di vista economico e centralista da quello politico, fornendo le basi per l’affermazione di un’Unione delle Repubbliche Socialiste d’Europa che schiaccerà sotto il peso del proprio apparato ogni afflato liberale e ogni speranza di sviluppo economico; non da meno, i visionari della Modern Monetary Theory come Paolo Barnard desiderano drogare nuovamente il sistema con altra liquidità, nel vano tentativo di avviare la ben nota “crescita” mediante immissioni di moneta creata ex nihilo dalle banche centrali nazionali. Non è necessario professarsi liberali o aver letto i classici del pensiero austriaco per rendersi facilmente conto delle assurdità proclamate da ambedue le fazioni: è sufficiente essere dotati di un minimo di ragionevolezza. Non di meno, resta ancora irrisolta la questione se porsi o meno a difesa dell’integrazione economica europea. Gli europeisti, sia pure involontariamente, ci ricordano che proseguire sulla via di Bruxelles rischia seriamente di condurci su quella di Mosca – o verso lidi peggiori di cui la Storia non ci ha ancora dato testimonianza, essendo questa “un continuo progresso verso il meglio”; d’altro canto, i detrattori della moneta unica, che anelano al ritorno ai nazionalismi monetari e alla “stampante sotto casa”, sono utili nel rammentarci che eliminare quei pochi vincoli che l’Unione pone all’emissione di denaro, e magari far rinvigorire antichi spiriti protezionistici, non è parimenti una soluzione auspicabile in un’ottica liberale o anche solo di buon senso. Come considerare dunque il problema Europa? Innanzitutto, il nostro individualismo liberale deve come sempre farci diffidare di ogni concentrazione del potere, in modo particolare quando questo viene ad accentrarsi nelle mani dei burocrati di Bruxelles e dei banchieri centrali di Francoforte – quelli che, Mario Draghi in primis, cercano in ogni modo di rendere la BCE sempre più simile alla Federal Reserve e dunque ad un torchio senza freni. Nondimeno, Mises e Hayek ci ricordano che il nazionalismo monetario e la politica dei tassi di cambio flessibili sono di gran lunga peggiori di ogni soluzione intermedia che tenti di rispecchiare quanto più possibile i caratteri del gold standard – almeno finché non si potrà pervenire ad esso in modo completo, e v’è di che dubitare che ciò avverrà nel breve-medio periodo. Naturalmente, la moneta unica non è stata progettata dai politicanti europei a Maastricht in un’ottica asintotica al sistema aureo, e certamente la gestione della BCE tenterà di rendere i due sistemi monetari sempre più distanti ed inconciliabili; pur tuttavia, uscire dall’Euro, quand’anche fosse concretamente realizzabile, dubito francamente possa essere un’opzione da prendere in considerazione. In Italia il fronte anti-euro, volendo tacere per amor di patria della MMT e dei deliri di Barnard, è trasversale come quello degli europeisti – e peraltro le due posizioni, per strano che possa sembrare, non sempre si escludono a vicenda: da Silvio Berlusconi a Beppe Grillo, passando per Paolo Ferrero, tutti criticano l’Euro e, in modo più o meno velato, propongono per esso scelte terminali – mentre suggeriscono nel medesimo tempo di rendere la BCE un’istituzione più forte e una “prestatrice di ultima istanza”. La soluzione di costoro è semplice: torniamo alla nostra moneta autoctona – quella Lira tanto incensata anche dai leghisti - e monetizziamo il nostro debito pubblico con l’ausilio della Banca d’Italia. E’ inutile ribadire che l’emissione di moneta artificiale equivale ad una tassa occulta, quanto meno in regime di corso forzoso; altrettanto superfluo è ricordare che l’immissione di nuova liquidità nel tessuto economico provoca storture del sistema produttivo, avvantaggia qualcuno a sfavore di qualcun altro – si pensi all’effetto Cantillon, per il quale i primi a ricevere il nuovo denaro traggono maggiori benefici rispetto agli ultimi -, priva di ricchezza reale quegli strati della popolazione che poi si riversano nelle piazze protestando contro il neoliberismo e ringhiando contro i privilegi dei potenti; nel lungo periodo, poi, porta al formarsi di bolle artificiali il cui inevitabile scoppio origina le crisi economiche, i cui effetti ci sono di questi tempi assai ben noti. Volendo concludere: non possiamo essere garantiti sul fatto che la gestione europea della moneta sarà oculata, ragionevole e indirizzata dall’intransigente monetarismo di Jens Weidmann – anzi, sull’effettivo potere contrattuale di quest’ultimo v'è seriamente di che dubitare; ciò nonostante, possiamo mettere la mano sul fuoco sul fatto che tornare alla Lira e rimettere alla volontà dei politici nostrani la gestione della moneta sarebbe una decisione gravida di conseguenze catastrofiche. Siamo liberali euroscettici, insomma, non certo mercantilisti!
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