di Tommaso Cabrini
Penso sia corretto
nei confronti dei lettori fare una piccola premessa a questo
articolo, l'intento è provocatorio, finalizzato a dare un'ottica
differente dell'argomento.
Ultimamente, in seguito alla proposta
portata avanti dal Movimento 5 Stelle di istituzione di un reddito di
cittadinanza si sono levate numerose voci contrarie. Pagare qualcuno
per non fare nulla, a mio parere, oltre che dannoso è anche
immorale; ma risulterebbe maggiormente dannoso rispetto al sistema di
welfare ad oggi costruito? Mi spiego meglio, è preferibile dare una
rete di servizi sussidiati dallo Stato, come accade oggi, o è più
opportuno che lo Stato si limiti a supportare con un reddito gli
indigenti eliminando qualunque altra forma di welfare?
Dai dati OCSE nel 2009 la spesa sociale
e assistenziale italiana è stata parti a 422.543 milioni di euro.
Questo è il costo del sistema che abbiamo in carico oggi.
Ora, per stimare i costi approssimativi
di un reddito di cittadinanza, bisogna anche ipotizzare l'ammontare
di questo sussidio, ad oggi inesistente.
Comunque sia i dati ISTAT evidenziano
che nel 2012 i cittadini italiani con più di 20 anni sono
48.218.768, di questi 23 milioni lavorano, mentre 25.215.768 sono i
potenziali destinatari del reddito di cittadinanza.
Ne deriva che, ipotizzando un reddito
minimo di 600€ mensili netti, il complessivo costo sarebbe pari a
181.533 milioni di €, un netto risparmio!
Non solo, effettuando un simile “conto
della serva” si arriva a calcolare che un reddito di cittadinanza a
parità di spesa arriverebbe a circa 1.400€ mensili netti.
Di conseguenza, anche con il conto
“grillino” di reddito monstre di 1.200€ si otterrebbe un
risparmio.
Naturalmente abbiamo ignorato due
aspetti fondamentali.
Il primo è che le “risorse”
(leggasi personale) della pubblica amministrazione così liberate non
sarebbe in grado di ricollocarsi immediatamente nel mondo del lavoro.
Molti, probabilmente, dopo tanti anni passati in ambienti con le
peculiarità che tutti conosciamo, non sarebbero in grado di
ricollocarsi affatto. Ne consegue che i funzionari pubblici
maggiormente “inutili” finirebbero con l'ingrossare le fila degli
aventi diritto al reddito di cittadinanza, aumentandone i costi.
Oltretutto il reddito di cittadinanza disincentiva a migliorare la
propria posizione, relegando le persone nella cosiddetta “trappola
della povertà”, ovvero l'impossibilità di trovare un lavoro
sufficientemente retribuito da permettere l'abbandono dello status di
sussidiato.
Dal lato opposto porterebbe lo Stato ad
uscire da grandissimi settori dell'economia che monopolizza in forza
dei prezzi politici che pratica: si pensi alla sanità,
all'istruzione e alla previdenza. Settori che sicuramente vivrebbero
una nuova efficienza e qualità, permettendo sia ai tax payers che ai
tax consumers di scegliere con maggiore libertà cosa e da chi
acquistare beni e servizi. Lo Stato, inoltre, potrebbe concentrarsi a
fare meglio ciò che già ha grandi difficoltà a fare (i restanti
300 miliardi di spesa, alla faccia di chi dice che tagliare
significhi macelleria sociale).
Rimane anche un piccolo, ulteriore
effetto. Si vedrebbe la scomparsa di servizi pubblici “socialmente
ingiusti”, come ad esempio l'università pubblica o i sussidi alle
fondazioni liriche: cioè servizi di cui usufruiscono soprattutto gli
appartenenti alle classi più agiate, ma pagati anche con le tasse
del più modesto operaio.
Fine della mia piccola provocazione.
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