di George Selgin (traduzione di Tommaso Cabrini)
Quanto segue è un estratto dal paper di George Selgin "Synthetic Commodity Money"
Le
Basi Monetarie Convenzionali
L’effettivo
controllo della massa monetaria è, fondamentalmente, questione di
stabilire uno standard che sia in grado di regolare la crescita della
moneta in modo coerente con il mantenimento della complessiva
stabilità macroeconomica. La natura del sistema bancario può avere
riflessi sulla capacità di espansione della base monetaria per far
fronte ai bisogni di un’economia. Ma lo standard monetario ideale è
quello in grado di dare una relativa stabilità a fronte delle
innovazioni bancarie.
Di
conseguenza, la ricerca di una base monetaria “ideale” ha
attratto a lungo gli economisti monetari. Solitamente la ricerca è
partita dal presupposto che tutte le basi monetarie ricadano in due
categorie: la moneta “merce” e la moneta “fiat”. Tuttavia,
l’analisi degli attributi convenzionalmente assegnati a queste
tipologie, suggerisce che questa dicotomia convenzionale sia
fuorviante, se non addirittura falsa, poiché distoglie l’attenzione
da una serie di potenziali basi monetarie, le cui caratteristiche
sono tali da renderle particolarmente idonee a formare le fondamenta
di regimi monetari che si dimostrino sia macroeconomicamente stabili
sia di robusta costituzione.
Secondo
la definizione condivisa, la moneta “merce” consiste in, come il
termine suggerisce, qualche bene commercialmente utile, qualcosa che
abbia altri usi oltre l’essere un mezzo di scambio1,
e che inoltre sia spontaneamente scarso, questo conduce ad un
valore di equilibrio positivo, che (supponendo produttori in libera
concorrenza) sia uguale al suo costo marginale di produzione.
La
moneta “fiat”, al contrario, è normalmente intesa come banconote
cartacee, o depositi presso la banca centrale prontamente
convertibili in tali banconote, che sono utili unicamente come
mezzi di scambio, e che implicano un valore di equilibrio molto
lontano dal loro costo marginale di produzione, che è prossimo allo
zero. Ne consegue che la scarsità di moneta fiat non è una scarsità
“spontanea” ma necessita di essere pianificata. In quanto tale,
la moneta fiat, a differenza della moneta merce, non si presta ad una
offerta in regime di concorrenza, qui intesa come produzione rivale
di unità omogenee, poiché, come ha osservato Milton Friedman
(1960, p.7), tale produzione tenderebbe ad azzerarne il valore:
“Finchè
la moneta fiduciaria [fiat] presenta un valore di mercato superiore
ai suoi costi di produzione […] ogni emittente ha l’incentivo a
produrne quantità addizionali. Una moneta fiduciaria probabilmente
tenderebbe, attraverso l’incremento di emissione, a degenerare in
una moneta merce – letteralmente in un paper standard – non ci
sarebbe alcun equilibrio stabile del livello dei prezzi finchè il
valore della moneta non sia diminuito fino a quello della carta che
contiene”.
A
dir la verità, poiché la quantità nominale di moneta fiat può
essere incrementata senza ricorrere a più carta ed inchiostro,
semplicemente fornendo banconote con una denominazione maggiore “non
risulta chiaro che esista alcun livello dei prezzi finito” che
possa costituire un equilibrio (ibid.).
L’offerta
monopolistica risulta, quindi, una condizione necessaria per la
moneta fiat affinché conduca ad un valore di equilibrio positivo, e
possa quindi potenzialmente essere utile come fondamento della
stabilità macroeconomica. Ma l’offerta monopolistica non è
condizione sufficiente, un produttore monopolista di moneta fiat che
voglia massimizzare il proprio profitto troverebbe vantaggioso
espandere lo stock monetario ad un ritmo di gran lunga superiore a
quello richiesto per sostenerne il potere d’acquisto. Per questa
ragione la scarsità di moneta fiat deve essere programmata, non solo
monopolizzandone la produzione, ma spingendo il monopolista ad
offrire una quantità di moneta inferiore a quella che
massimizzerebbe il profitto.
Lo
svantaggio della moneta fiat, rispetto alla moneta merce, risiede
proprio nel fatto che la sua scarsità, venendo così pianificata, è
anche contingente. Si tratta solamente di una questione di
scelta politica, soggetta a modifiche al volere delle autorità
monetarie o, se tali autorità sono legate ad una regola monetaria, a
quelle del legislatore. Di conseguenza, anche se una moneta fiat può
essere gestita in modo tale, non solo da preservarne il potere
d’acquisto nel tempo, ma anche da conseguire la massima stabilità
macroeconomica possibile, non vi è alcuna garanzia che venga
effettivamente amministrata in questo modo, e le stesse forze del
mercato non offrono un efficace controllo contro una cattiva
gestione.
La
storia della moneta fiat, inoltre, rende chiaro che il rischio di una
grave mala gestione è ben lungi dall’essere piccolo, sebbene
esperienze recenti offrano eccezioni all’affermazione di Irving
Fischer (1920, p.131) secondo la quale “La moneta cartacea
irredimibile ha pressoché invariabilmente portato disgrazia al Paese
che la utilizza”, tali esperienze ci offrono ulteriori esempi della
spericolata, se non addirittura disastrosa, mala gestione delle
monete fiat.
Anche
le monete merce hanno i loro lati negativi, ovviamente. Sono
vulnerabili agli shock dell’offerta – si tratta di traumi che
cambiano l’offerta programmata di moneta. Nel caso di monete
metalliche questi shock possono essere sia scoperte di nuovi depositi
ad alta resa sia l’adozione di nuovi mezzi a basso costo per
l’estrazione di minerale da fonti già conosciute. In assenza di
positive innovazioni dell’offerta, d’altro canto, il logoramento
delle monete in circolazione e i crescenti costi marginali di
estrazione porteranno, in un’economia in crescita, alla deflazione.
Cambiamenti nella domanda non monetaria della merce valutaria possono
a loro volta destabilizzare un sistema monetario. Se, per esempio,
l’Inghilterra del diciottesimo secolo fosse stata basata su un
copper standard, avrebbe potuto precipitare in una crisi deflattiva
per la scoperta, da parte della Royal Navy, dell’utilizzo del rame
per la fasciatura degli scafi, che portò ad un drastico incremento
nella domanda di quel metallo, e quindi nel suo prezzo relativo.
Infine,
le monete merce sono costose. Milton Friedman (1962, p.221; e 1960,
pp. 4-8) valutò il fatto che una moneta merce “richiede risorse
reali immesse nello stock di moneta” come il “difetto
fondamentale” di tale standard monetario. E, sebbene Lawrence White
(1999, pp.42-8) abbia dimostrato che Friedman abbia fortemente
sovrastimato il costo in risorse di un gold standard2,
la realtà rimane che una moneta fiduciaria utilizzi, in via di
principio, minori risorse rispetto ad una genuina moneta merce, sia
come circolante sia come riserva bancaria3.
1
Si intende qualcosa di “intrinsecamente” utile, per usare
un’espressione comune e sintetica (per quanto inaccurata).
2
Ad essere onesti, Friedman parte dalla premessa che il solo
commodity standard “genuino” sia quello nel quale la moneta sia
rappresentata unicamente dalla commodity stessa, o da diritti
interamente coperti da moneta. Fu portato a ciò dalla sua credenza
che l’ammissione di qualsiasi elemento “fiduciario”
necessariamente introducesse una forma di discrezione monetaria.
Friedman si è reso colpevole di confondere le conseguenze derivanti
dalla presenza di banche commerciali a riserva frazionaria con
quelle derivanti dalla presenza di una banca centrale a riserva
frazionaria; alla fine, però, rivide le sue opinioni in merito
(Friedman e Schwartz 1986). Sebbene il costo in risorse calcolato da
Friedman di una moneta merce non si applichi al gold standard come
storicamente realizzato, esso si applica alle proposte di regimi
monetari a riserva intera, inclusi quelli proposti da Murray
Rothbard (1962) e James Buchanan (1962) nei loro contributi a “In
Search of a Monetary Constitution”.
3
Alla prova pratica, come Friedman (1986) stesso ammise in seguito,
sebbene i costi diretti per l’utilizzo di una moneta fiat possano
essere relativamente bassi, i costi indiretti derivanti
dall’incertezza del livello dei prezzi tendono ad essere
relativamente alti.
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