È
ugualmente inesatto storicamente il ragionamento di Block (1988, pp.
30-31) secondo il quale, poiché il possessore di una banconota
emessa da una banca con una riserva del 20 percento avrebbe solo il
20 percento di possibilità di vedersi restituito il suo denaro in
caso di una corsa agli sportelli, una banconota emessa da banca a
riserva frazionaria è indistinguibile da un biglietto della
lotteria, e sarebbe valutato al di sotto della pari se il pubblico
avesse “pienamente digerito” le implicazioni dell’emissione a
riserva frazionaria. E’ vero che una particolare banconota verrebbe
valutata sotto la pari se gli attori del mercato fossero preoccupati
di non essere in grado di riscattarla a causa di una imminente corsa
agli sportelli. Ma questa banconota, sulla quale penderebbe un non
trascurabile rischio di default, non continuerebbe a circolare,
nemmeno a sconto. Verrebbe, infatti, immediatamente presentata per il
riscatto, e quindi rimossa dalla circolazione. I marchi di banconote
sopravvissuti sarebbero i soli per i quali ci si aspetta, nella
pratica, che tutte le richieste di riscatto vengano soddisfatte (vedi
Mises 1966, p. 445). Le banconote a riserva frazionaria emesse da
banche degne di rispetto (e tali banche non furono storicamente rare)
furono in grado di circolare diffusamente al valore nominale, poiché
le altre banche e i clienti, giustamente, riconobbero che le
probabilità di andare incontro a qualunque difficoltà nel rimborso
delle banconote fosse incredibilmente piccola.
La
nozione che una banconota a riserva frazionaria sia simile ad un
biglietto della lotteria sembra fermarsi di fronte all’incapacità
di apprezzare il semplice fatto che la riserva frazionaria sia
praticabile, e cioè che una banca a riserva frazionaria sia in grado
di rispettare in via continuativa le sue obbligazioni contrattuali di
procedere al riscatto a vista. Un titolo di credito frazionario, una
banconota o un deposito a vista, può essere, esso stesso, utilizzato
come mezzo di scambio. Poiché risulta altrettanto utile anche senza
dover essere riscattato in moneta, non c’è alcuna ragione per
aspettarsi che tutti i titoli emessi da una banca (a differenza del
biglietti vincenti di una lotteria) vengano richiesti in un dato
periodo. Come fa notare Mises (1980, pp. 299-300), un banchiere “è
perciò in posizione di intraprendere maggiori obbligazioni di quelle
a cui sarà mai in grado di adempiere; è sufficiente che prenda
sufficienti precauzioni per assicurare la sua capacità di soddisfare
prontamente quella porzione di richieste che gli viene presentata in
questo momento”.
Un
deposito a vista rappresenta il caso limite di un deposito a breve
termine. L’idea di Hoppe che sia impossibile per una banca detenere
una riserva frazionaria a fronte dei suoi depositi a vista
sembrerebbe implicare che sia generalmente impossibile per una banca
prendere in prestito a breve e concedere prestiti a lungo termine, o
mettere in pratica qualsiasi cosa diversa da una perfetta
corrispondenza di scadenze tra passività e attività. Rothbard
(1983, p. 99) sostiene esplicitamente che qualsiasi banca metta in
pratica una non perfetta corrispondenza di scadenze (per esempio con
depositi della clientela che raggiungono la scadenza prima che si
incassino i prestiti effettuati) stia violando “una regola cruciale
di una solida gestione finanziaria”. Questo modo di fare, comunque,
è possibile (non condanna inevitabilmente al fallimento) se la banca
può contare sul reinvestimento o il rimpiazzo di almeno parte dei
depositi che giungono a scadenza. La non corrispondenza delle
scadenze chiaramente comporta dei rischi: non solo il rischio di
liquidità, ma anche il rischio di tasso d’interesse. Ma di sicuro
le regole di una solida gestione finanziaria non hanno scritto da
nessuna parte che i rischi non debbano mai, in alcun caso, essere
presi. Piuttosto dicono che il rischio deve essere bilanciato dai
proventi. Può valere la pena prendere un rischio se è
sufficientemente piccolo rispetto al profitto che si può ottenere.
Quando gli interessi di mercato a lungo termine sono più alti degli
interessi a breve, le banche ottengono profitti dall’intermediazione
tra depositi a breve termine (inclusi quelli a vista) e mutui a lungo
termine. La visione secondo la quale la riserva frazionaria e la non
corrispondenza tra scadenze siano generalmente pratiche
“intrinsecamente instabili” sembra suggerire che nessuna banca
dovrebbe mai intraprendere consapevolmente qualunque forma di
intermediazione nella struttura delle scadenze tra il suo attivo e il
passivo.
Jesus
Huerta de Soto (1995, p. 30) rifiuta “la trita argomentazione
secondo la quale ‘la legge dei grandi numeri’ permetterebbe di
agire in sicurezza con una riserva frazionaria”, sulla base del
fatto che “la probabilità di un prelievo straordinario non è, per
sua stessa natura, un rischio assicurabile”. È vero che il
prelievo straordinario, conosciuto come corsa agli sportelli, non è
un evento casuale. Ma da ciò non consegue che una banca non possa
sopravvivere con una riserva frazionaria, poiché le banche solvibili
non sono inclini a bank run. Anche in paesi (come ad esempio
la Scozia, la Svezia ed il Canada) dove il sistema legale impone con
forza alle banche l’obbligo contrattuale di pagare a vista (e
persino dove la legislazione ha vietato la scappatoia contrattuale
contro la corsa agli sportelli, rappresentata dalla clausola
d’opzione), note banche a riserva frazionaria non affrontarono
corse agli sportelli ed andarono incontro in via continuativa alle
richieste di restituzione per decenni (Dowd 1992; Selgin 1994).
Se
le corse agli sportelli fossero un problema anche per la banche
solvibili una clausola d’opzione rappresenterebbe un rimedio
contrattuale. [5] Una clausola d’opzione su banconote e contratti
dei depositi a vista darebbe alla banca la possibilità di sospendere
i pagamenti in caso di corsa agli sportelli, per un periodo lungo a
sufficienza da permetterle di liquidare i suoi attivi in modo
ordinato. Per rendere la clausola accettabile dai clienti, a
giudicare dagli esempi storici delle banconote scozzesi, la banca
dovrebbe specificare il periodo di sospensione dei pagamenti (o
almeno la sua massima durata), ed obbligarsi a pagare interessi
compensatori (oltre a restituire il valore nominale della banconota)
al termine del periodo di sospensione. Questi interessi non solo
compenserebbero i clienti per l’inconveniente ed il ritardo, ma
darebbero alla banca un forte incentivo a non invocare l’opzione
almeno che non sia strettamente necessario (in gergo tecnico,
renderebbe il contratto “incentive-compatible”; eviterebbe
il potenziale azzardo morale penalizzando la banca che riduca
eccessivamente le riserve e quindi vada incontro ad un forte rischio
di corsa agli sportelli e sospensione della convertibilità).
Storicamente, come già discusso, alcune banche inserirono nei
contratti queste clausole d’opzione, dove non gli venne vietato
dalla legge.
Ma
come facciamo a sapere che chiunque accettasse banconote a riserva
frazionaria al loro valore nominale non fosse all’oscuro di ciò?
In fondo noi sappiamo che le diverse banche, tra loro concorrenti,
partecipavano a camere di compensazione, nelle quali si accordavano
per accettare le rispettive banconote alla pari. Sicuramente, quindi,
i banchieri non ne erano all’oscuro. Loro stessi si aspettavano (ed
in effetti trovarono) che i default in camera di compensazione
fossero estremamente rari.
5
E’ in relazione a ciò, e non in relazione con l’argomento della
“frode”, il giudizio contrario di Hoppe sul nostro argomento
(1994, p. 71), che consideriamo importante la clausola d’opzione.
Ma possiamo anche capire, che dal punto di vista di Hoppe, la
clausola elimina anche l’accusa di frode, dato che la banca non sta
più promettendo incondizionatamente di restituire quanto dovuto a
vista, quindi, il totale dei suoi debiti richiedibili
incondizionatamente non eccede più le sue riserve.
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Perspective." In Walter Block and Llewellyn H. Rockwell, Jr.,
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Devolution of Money and Credit." Review of Austrian Economics 7
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Selgin,
George A. 1994 "Are Banking Crises Free-Market Phenomena?"
Critical Review 8 (Fall):591-607.
White,
Lawrence H. 1989. Competition and Currency: Essays on Free Banking
and Money. New York: New York University Press.
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