di George
Selgin e Lawrence H.
White (traduzione di Tommaso Cabrini)
[Il seguente articolo è un estratto del paper "In Defense of Fiduciary Media-or, We are Not Devo(lutionists), We are Misesians!" - The Review of Austrian Economics Vol. 9, No. 2 (1996): 83-107 ISSN 0889-3047]
Rothbard
(1962, 1983b, 1990, 1995) a lungo sostenne che la riserva frazionaria
è intrinsecamente fraudolenta, e Hoppe segue Rothbard lungo questo
sfortunato vicolo cieco. Noi troviamo che la posizione della
intrinseca-frode sia impossibile da riconciliare con la stessa teoria
di Rothbard (1983a, pp. 133-48) del trasferimento di titoli tramite
contratto, che noi accettiamo, e alla quale Rothbard si appella per
difendere la libertà, da parte di individui consenzienti, di
impegnare volontariamente la loro proprietà (di cui sono giustamente
in possesso). Rothbard (1983a, p. 142) definisce la frode come
“l’incapacità di rispettare un accordo volontario riguardante il
trasferimento di proprietà” [1] Gli accordi relativi alla riserva
frazionaria non possono quindi essere intrinsecamente o
inevitabilmente fraudolenti. Il fatto che una particolare banca stia
commettendo una frode detenendo una riserva frazionaria dipende dai
termini dell’accordo di trasferimento dei titoli tra la banca e i
suoi clienti.
Rothbard
(1983a, p. 142) ne “L’etica della libertà” da due
esempi di frode, entrambi coinvolgono lampanti rappresentazioni
fuorvianti (in una, A vende a B un pacco il quale A dice contenere
una radio, ed invece contiene solamente un cumulo di rottami
metallici). Rothbard conclude che “se l’oggetto non è come lo
descrive il venditore, allora ha avuto luogo una frode e quindi un
furto implicito”. La conseguente applicazione di questa visione
all’attività bancaria dimostrerà che il comportamento di una
banca che detiene riserve frazionarie è fraudolento se, e solo se,
la stessa banca si presenta come se detenesse una riserva intera, o
se il contratto con i clienti prevede espressamente l’accantonamento
di una riserva intera. [2] Se una banca non si presenta come tale o
non si obbliga espressamente a detenere una riserva intera, allora la
riserva frazionaria non viola l’accordo tra la banca e i suoi
clienti (White 1989, pp. 156-57). (Nella pratica, l’incapacità di
soddisfare la richiesta di rimborso, che la banca è obbligata
contrattualmente a soddisfare, costituisce violazione dell’accordo).
Mettere fuorilegge i contratti volontari che permettono la detenzione
di riserve frazionarie rappresenta quindi un intervento nel mercato,
una restrizione della libertà contrattuale, che è una parte
essenziale dei diritti della proprietà privata.
Hoppe definisce la nostra difesa della libertà di effettuare contratti compatibili con la riserva frazionaria “stupida” perché, afferma, “quasi nessun” depositante ha mai capito che parte dei suoi depositi è stato prestato dalla banca, anche se (come riconosce) il pagamento di interessi sui depositi sarebbe altrimenti impossibile. Dubitiamo che la maggior parte dei depositanti sia così ingenuo come crede Hoppe. Come ha correttamente osservato Rothbard (1990, p. 47): “E’ ben noto che raramente le banche abbiano mantenuto una riserva intera per molto tempo”. Perciò troviamo difficile a credersi che molta gente che accetta le banche a riserva frazionaria lo faccia solamente a causa del miraggio che il 100 percento del denaro da loro depositato rimanga nella cassaforte della banca fino a quando non lo chiedono indietro.
Ma,
indipendentemente dal fatto che, se informati, i clienti delle banche
a riserva frazionaria siano la maggioranza o la minoranza, la posta
in gioco è la loro libertà contrattuale. Se una persona,
consapevolmente, preferisce mettere denaro in un conto a riserva
frazionaria (fruttifero di interessi), piuttosto che in un conto a
riserva intera (che addebita commissioni per la custodia), allora un
generalizzato divieto di praticare la riserva frazionaria sarebbe una
stretta restrizione legale alla libertà contrattuale nel mercato dei
servizi bancari.
Walter
Block (1988, pp. 28-30), sebbene (seguendo Rothbard) giudichi la
riserva frazionaria “come attualmente costituita” come “una
frode e una truffa” riconosce che la riserva frazionario potrebbe
essere non ingannevole e volontaria. Per fare ciò, sostiene Block,
la banca deve scrivere un’adeguata informativa, sulle banconote e
contratti di deposito, riguardo la detenzione di riserve frazionarie
e delle politiche di rimborso. Hoppe (1994, p. 71), citando Block,
similmente ammette che la pratica della riserva frazionaria
diverrebbe non-fraudolenta se la banca informasse esplicitamente i
depositanti che si riserva il diritto di “sospendere o differire i
rimborsi” in qualsiasi momento.
Se
coloro che pongono l’obiezione della “frode” alla riserva
frazionaria ora concedono che tale obiezione svanisce quando le
banche applicano una sorta di “etichetta con le avvertenze”,
allora ammettono che la riserva frazionaria non è intrinsecamente
fraudolenta.
La
frode avviene solo se i clienti di una banca vengono ingannati in
merito alle sue pratiche. Il restante dibattito normativo si riduce
alla questione del fatto che una “etichetta con le avvertenze”
sia davvero necessaria ad evitare di fuorviare i clienti (il che,
secondo noi, dipende da quanto ragionevole sia che l’assunto di
base, in assenza di “etichetta”, debba essere che venga detenuta
una riserva intera), e, se così fosse, sul quanto esplicita debba
essere l’avvertenza. C’è inoltre la questione del fatto che
banconote e depositi a riserva frazionaria possano davvero circolare
tra un pubblico informato.
La
nostra opinione è che un “etichetta con le avvertenze”
obbligatoria sia certamente meno sgradevole di un divieto assoluto di
praticare la riserva frazionaria, e non impedirebbe la pratica della
riserva frazionari, ma non è assolutamente necessario per evitare di
fuorviare i clienti, poiché un “deposito” non viene comunemente
concepito come una garanzia di riserva intera, quando non
diversamente specificato. Come descrisse Rothbard (1970, p. 34)
l’approccio libertario alla prevenzione dell’adulterazione, “se
un uomo semplicemente vende ciò che chiama “pane”, questo deve
incontrare la definizione di pane comunemente usata dai consumatori,
e non qualche specifica arbitraria. Ad ogni modo, se specificasse la
composizione del filone [Rothbard non suggerisce che questo debba
essere obbligatorio], sarebbe punibile nel caso mentisse.” Noi
sosteniamo che la definizione comunemente usata di un “deposito
bancario” sia, come i tribunali hanno riconosciuto (Rothbard 1983b,
pp. 93-94), quella di un titolo di credito nei confronti della banca,
e non di una ricevuta di magazzino [n.d.t. in inglese la parola
“deposit” si riferisce unicamente al deposito bancario, o
eventualmente a quello geologico, per il deposito, inteso come
magazzino, viene usata la parola warehouse].
Block
e Hoppe propongono avvertenze leggermente diverse considerate
adeguate ad evitare la frode. Non è chiaro se stiano semplicemente
offrendo esempi, o invece credono che siano le sole modalità
adeguate di avvertimento. L’avvertimento di Block dettaglierebbe il
rapporto di riserve della banca e la sua politica da adottare per far
fronte alle richieste di restituzione quando queste dovessero
eccedere le riserve (ad esempio, first-come first-served). Il suo
esempio sembra ritenere che la banca manterrebbe un rapporto di
riserve fisso (poiché specifica il rapporto sulle sue banconote). La
banca e i suoi clienti potrebbero preferire, comunque, concedere alla
banca la discrezione di variare il tasso di riserva secondo prudenza.
Sottoposto a diverse condizioni, un tasso variabile risulta
necessario per mantenere un rischio di default costante.
L’avvertimento di Hoppe informerebbe i creditori che la banca si
riserva il diritto di sospendere o differire la restituzione in
qualsiasi momento. [3] Ma alcune banche e i loro clienti potrebbero
preferire un contratto di prestito a vista che non dia alla banca
alcun diritto di sospendere i prelievi. E quindi?
Hoppe
paragona la sua avvertenza alle “clausole di opzione”
storicamente poste sulle banconote, ma bisognerebbe notare che queste
clausole concedevano solamente il differimento, o la sospensione
temporanea, e mai una sospensione a tempo indeterminato delle
riconsegne (chi, dopotutto, accetterebbe una banconota che possa
essere sospesa permanentemente?). Le banche scozzesi che
emisero banconote con clausola di opzione si riservavano
esplicitamente il diritto di differire la riconsegna per un periodo
specificato, nel qual caso la banconota sarebbe stata ripagata con
uno specificato (ed alto) bonus a titolo di interesse. [4] In pratica
le banche lavorarono per decenni senza bisogno di utilizzare
l’opzione, e le banconote con clausola circolarono tranquillamente
alla pari, perché non ci si aspettava che le banche avessero bisogno
di invocare l’opzione. La profezia di Hoppe secondo la quale le
banconote con clausola di opzione “sarebbero assolutamente inadatte
come mezzo di scambio” è falsa, a giudicare dalla testimonianza
scozzese.
1
Una più comune definizione di frode la limita ad un raggiro
intenzionale o deliberato a scopo di lucro. Quindi un fallimento non
intenzionale nel rispettare i termini di un accordo, a causa di
circostanze inaspettate al di la del controllo delle parti in causa,
costituirebbe una violazione del contratto, ma non una frode.
Comunque, nulla di quanto qui discusso verte su questa distinzione.
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