di George Selgin (traduzione di Tommaso Cabrini)
I sostenitori del free banking stanno sostenendo
una guerra su due fronti. Su uno affrontano i campioni del central
banking e della manipolazione del denaro. Sull’altro combattono
contro gli avvocati della riserva bancaria intera. Sebbene il secondo
fronte sia molto più piccolo del primo, è ben lungi dall’essere
trascurabile, in parte perché qui la battaglia sta venendo
combattuta contro persone che per lo più sono a favore del libero
mercato, che ci si potrebbe aspettare si uniscano alla nostra causa,
invece di opporvisi.
Si oppongono per svariate ragioni, una delle quali
è la loro convinzione che, in una situazione di autentico libero
mercato, il sistema a riserva frazionaria non sopravvivrebbe. Invece,
insistono, prevarrebbero le banche a riserva intera. Secondo loro,
ciò che queste ultime non hanno è l’assoluta necessità di un
campo di gioco inclinato a loro favore come per le banche a riserva
frazionaria, caratterizzato in particolare da garanzie implicite ed
esplicite sui depositi, finanziate attraverso il prelievo su tutte le
banche, e qualche volta tramite tassazione ed inflazione. In parole
povere il sistema bancario a riserva frazionaria viene nutrito da
sussidi statali.
I sostenitori del free banking hanno provato a
rispondere a questa argomentazione facendo notare come la riserva
frazionaria abbia prevalso sotto qualunque tipologia di
regolamentazione, fin dai primi inizi dell’attività bancaria,
senza escludere periodi che comprendevano una ridottissima
regolazione, come quelli di Scozia, Canada e Svezia e che erano privi
della seppur minima traccia di garanzie statali o qualunque altro
tipo di sostentamento artificioso. Ma poiché alcuni sostenitori
della riserva intera sembrano non essere smossi da questo approccio,
seguirò un diverso percorso, che consiste nell’evidenziare che
ogni significativa banca a riserva intera che la storia ricordi fu
un’impresa sussidiata dallo Stato, che dipese per la sua stessa
sopravvivenza da un connubbio di sussidi governativi diretti,
patrocinio forzato o leggi che sopprimevano le istituzioni
concorrenti (a riserva frazionaria). Eppure, malgrado gli
speciali aiuti di cui hanno goduto, ed il loro solenne impegno ad
astenersi dal prestare il denaro depositato presso di esse, tutte
quante sono andate a finire male. Non solo, furono queste banche a
riserva intera sussidiate dallo Stato, piuttosto che le loro
controparti private e a riserva frazionaria, che furono i progenitori
delle successive banche centrali, a cominciare dalla Bank of England.
Secondo quanto indicano i documenti storici, le
primissime banche furono istituzioni private che cominciarono ad
operare nel business bancario come attività marginale. I primissimi
banchieri potrebbero essere stati trapezites, i cambiavalute
dell’antica Atene, o le loro successive controparti romane. Ma i
primi che conosciamo nei dettagli sono noti come “banchi di
deposito” che sorsero nel XII secolo in Italia, in particolare a
Genova e a Venezia, ed i documenti indicano chiaramente che queste
banche furono istituzioni erogatrici di credito piuttosto che meri
depositi di denaro. Non solo, fu quasi invitabile che agissero in
questo modo, perché per garantire efficacemente la possibilità di
fare pagamenti tramite trasferimento bancario, e così evitare ai
propri clienti la necessità di commerciare con le scomode monete
disponibili al tempo, erano costrette a promettere la restituzione a
vista, non delle stesse monete depositate presso di essi, ma di
monete di ugual valore, il che significò diventare debitori invece
di custodi. Inoltre la concessione di prestiti era legata alla
presenza di eccessi delle riserve, mentre gli interessi guadagnati da
ulteriori prestiti permise ai banchieri di ridurre le commissioni
applicate ai loro servizi di pagamento, e persino di pagare
occasionalmente interessi sui loro “depositi”. In ogni caso
l’attività di prestito non venne mai tenuta nascosta. A Londra
l’attività bancaria degli orafi ebbe un percorso simile, anche se
non prima della meta del XVII secolo. In parole povere, così come
indicano i documenti storici, tutti i primi banchieri privati
operarono in base alla riserva frazionaria.
L’attività bancaria del periodo medioevale e
rinascimentale fu notoriamente un business rischioso, nonostante
detenessero solitamente riserve pari a circa un terzo dei loro
depositi le banche private spesso fallirono. Fu in parte in risposta
a questi fallimenti, ed in parte per motivazioni fiscali, che gli
stati iniziarono ad intraprendere l’attività bancaria, istituendo
cosiddette banche “pubbliche”, che attraverso il supporto
governativo avrebbero dovuto operare in accordo con quelli che
potremmo chiamare principi “Rothbardiani”, offrendo una
combinazione di servizi di pagamento e custodia di moneta metallica,
ma senza intraprendere alcun prestito. La prima di queste banche, la
Taula de Canvi di Barcellona fu fondata nel 1401 con la
promessa di essere un posto sicuro dove immagazzinare denaro. In
realtà il governo intendeva fin dall’inizio prelevarne le risorse
per finanziare il debito cittadino, ma i mercanti capirono il
proposito. Il governo quindi rispose assegnando alla Taula il
monopolio dei depositi a vista. Ancora una volta molti mercanti non
abboccarono all’amo, ma la cosa proseguì finchè il governo non
prelevò così tanto dalla Taula che questa fece bancarotta.
Sebbene la prima banca pubblica di Venezia, il
Banco di Rialto fondato nel 1587, venne costituito sul modello
della Taula, operò effettivamente sulla base di una riserva
del 100% per un certo periodo, e fu per alcuni anni l’unica banca
di Venezia. Ma ben lungi dall’aver estromesso dal mercato i
concorrenti a riserva frazionaria su un equo campo di gioco, il Banco
di Rialto vedeva i suoi costi operativi, inclusi i normali
profitti, coperti dalle tariffe doganali, e fu solamente per questa
ragione che fu in grado di offrire servizi di pagamento senza rischi
in cambio di commissioni modeste. Tutto rimase immutato finchè i
giorni della banca arrivarono a termine, quando nel 1619 fu fondata
una banca pubblica concorrente, il Banco del Giro, e fu
inizialmente autorizzata ad operare con riserva frazionaria. La nuova
banca assorbì la sua rivale a riserva intera nel 1637, e a causa di
continue richieste da parte del governo non riuscì mai a convertirsi
alla riserva intera. Al contrario: due volte dovette sospendere i
pagamenti, in entrambi i casi per molti anni.
La più famosa tra le banche pubbliche a riserva
intera, la Amsterdamsche Wisselbank,
è anche una delle più citate a provare la realizzabilità di questa
forma bancaria. Ma anche qui, un’occhiata più da vicino suggerisce
che la prova non è affatto tale. Per cominciare, nel fondare la
Amsterdamsche Wisselbank
nel 1609, il governo olandese scacciò anche i “proto-banchieri”
privati– gli omologhi dei cambiamonete medioevali di Venezia e
degli orafi londinesi del XVII secolo – dalla città dando di fatto
alla banca pubblica il monopolio dei servizi di pagamento non in
contanti. Il governo, inoltre, ordinò che tutte le cambiali da 600
fiorni o più fossero segnate sui registri della nuova banca. Infine,
invece di veri depositi a vista, prontamente convertibili in moneta
senza penali, i depositi presso la Wiesselbank
potevano essere convertiti in denaro solo a fronte di commissioni del
2,5% degli importi ritirati, in modo da permetterle di coprire le
spese e avere un piccolo profitto pur senza dover fare prestiti.
Per di più, malgrado le ampliamente diffuse
credenze contrarie e la sua solenne promessa di “immagazzinare”
tutti i depositi alloggiati presso di essa, la Wiesselbank
concesse dei prestiti. Lo fece, innanzitutto, permettendo gli
scoperti di conto. Cosa ancora più importante, lo fece su grande
scala, concedendo anticipi al municipio e alla Compagnia Olandese
delle Indie Orientali. Durante gli anni ’50 del 1600, per esempio,
la città di Amsterdam prese in prestito l’enorme cifra di 2
milioni di fiorini, che non ripagò mai; e dopo il 1684 i prestiti
ammontavano costantemente al 20% o più degli attivi della banca.
Infine, nel 1790, il default dei pesanti (e, come sempre,
clandestini) prestiti alla ormai in difficoltà Compagnia delle Indie
Orientali costrinse la banca a svalutare la maggior parte dei
depositi del 10%, rifiutando di restituire i depositi di importo
inferiore ai 2.500 fiorini. Infine, quando i francesi invasero
Amsterdam ed entrarono in possesso dei libri contabili della banca,
questi rivelarono che le sue riserve erano scese a meno del 25% dei
debiti, con la sola Compagnia Olandese delle Indie Orientali
debitrice di un totale di 11 milioni di fiorini. La pubblicazione di
queste statistiche causò un improvviso crollo del valore delle
ricevute bancarie -che rappresentavano (fin dalla riforma del 1683) i
soli debiti redimibili- con uno sconto del 16%.
La morte della Banca di Amsterdam segnò la fine
dei tentativi statali di istituire, o fingere di istituire, banche a
riserva intera, ed inoltre segnò la fine di qualsiasi richiesta di
una tale tipologia di banca. Tuttavia fu ben lontana dal
rappresentare la fine del coinvolgimento statale nell’attività
bancaria, poiché le prime banche “pubbliche” (la Banca di
Amsterdam in particolare – in parte grazie al mito dell’essere
sempre stata solida - ) furono la principale ispirazione per un'altra
razza di banche promosse dallo Stato, prototipo delle quali fu la
Bank of England. Dove tale evoluzione ci abbia portato è fin
troppo risaputo per dover essere qui riportato. Ma non
dimentichiamoci mai il fatto che tutto cominciò con la richiesta che
la clientela non fosse costretta ad avere a che fare con banche a
riserva frazionaria.
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