Il 18 settembre, gli scozzesi saranno chiamati alle urne. Finalmente. Il referendum è in programma da due anni; e da mesi si susseguono previsioni, stime, sondaggi sull'orientamento (altalenante) dell'elettorato. Fino a qualche tempo fa, era data del tutto per scontata la vittoria dei "No" alla piena indipendenza da Londra, nonostante la caparbietà del separatista Scottish National Party; ma le ultime rilevazioni danno in rimonta i "Sì", vicini al 42% e non troppo distanti dal 48% degli unionisti. Se Braveheart conquistasse l'11% degli indecisi, il First Minister scozzese Alex Salmond diverrebbe Primo ministro di una Scozia indipendente. Ma è ancora troppo presto per fare previsioni: la caccia al voto è ancora aperta, e aperto è il dibattito sui pro e i contro del "sì" e del "no".
Il comitato Yes Scotland ricorda agli elettori che la Scozia, nazione ormai "matura", potrebbe benissimo fare da sola, puntando sulla sua green economy e sul suo petrolio. Che la Scozia "prenda in mano il proprio destino" è l'auspicio di Salmond, che può far leva sul fascino patriottico della riconquista, dopo tre secoli, dell'indipendenza. Il cartello unionista Better Together invita (più cinicamente?) gli scozzesi a rispondere: "no, thanks" alle suggestioni, anche un po' "folkloristiche", della completa sovranità: meglio l'ombrello di Londra, meglio uno sviluppo sicuro entro il Regno Unito. Meglio rimanere assieme, insomma, anche perché, ad oggi, gli scozzesi sono in maggioranza tax-consumers: cioè danno a Londra meno di quanto la politica welfarista britannica non restituisca loro. E recentemente i partiti unionisti (conservatori, laburisti, liberaldemocratici) hanno promesso di destinare agli scozzesi ancora più risorse, se solo votassero per rimanere nel Regno Unito. Saranno forse queste avances a spingere gli indecisi ad evitare l'avventura (esaltante, ma rischiosa) dell'indipendenza, e a lasciar la Scozia così com'è: cioè sotto Londra, anche se con ampi margini di autogoverno.
La posta in palio, si capisce, è altissima. L'esito del voto danneggerà probabilmente il prestigio di uno dei due leader più in vista: una Scozia sovrana rischia di affondare il Prime Minister David Cameron, mentre la vittoria dei "no" manderebbe all'aria il grande progetto di Salmond e farebbe sfumare l'"appuntamento con la storia" che gli indipendentisti aspettano da tanto. Duro da sciogliere è poi il nodo monetario: ad una Scozia indipendente la Banca d'Inghilterra non consentirà l'uso della sterlina, e anche questo va tenuto in conto. In breve, Cameron può elargire agli scozzesi molte, concrete ricompense (tanto pagano gli inglesi...); Salmond non offre che prospettive a medio termine. Cameron promette, Salmond scommette.
A noi, interessati spettatori stranieri, non resta che attendere e fare il tifo per chi preferiamo. Ognuno incroci le dita per il risultato che si augura, e siano gli scozzesi a prendere una decisione: ne prenderemo atto, anche perché non possiamo fare granché per influenzare il voto. Possiamo soltanto ammirare la civiltà con cui due anni fa Cameron ha accettato di negoziare con Salmond il referendum, e la generale correttezza con cui da mesi continua, Oltremanica, il confronto che ne è seguito. Possiamo notare la schiettezza con la quale le due parti sostengono le proprie opinioni nel tentativo di vincere la pacifica battaglia delle urne, e rimaner colpiti dallo spirito liberale e aperto con cui gli inglesi lasciano votare gli scozzesi in merito alla loro stessa indipendenza. Possiamo considerare tutto questo, e tentare un paragone con l'Italia: un non-Paese che ha nello stomaco un Veneto, una Sicilia, una Sardegna, un Tirolo, una Lombardia, cioè cinque Scozie potenziali, eppure disprezza, deride e reprime, in ogni sua forma, il diritto di autodeterminazione. Cari scozzesi, cari indipendentisti, diciamocela tutta: non è detto che vinciate, il 18 settembre. Potreste benissimo perdere, anche se forse di misura. Ma consideratevi lo stesso fortunati, anche se i pronostici non sono dalla vostra: il 18 avrete veramente in mano il vostro futuro, e potrete determinarlo liberamente. Noialtri, al di qua della Manica e delle Alpi, siamo e restiamo a mani vuote: niente referendum, niente futuro. Ci resta, vibrante, l'orgoglio di essere italiani, del quale faremmo volentieri a meno.
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