domenica 2 settembre 2012

Una lezione di libero mercato, e non solo: Cremona in età comunale (parte prima)

di Camilla Bruneri e Tommaso Cabrini

Quanto conosciamo della realtà storica delle nostre città italiane? Molto, basterebbe aprire qualche libro di storia, fare più attenzione quando il museo propone qualche mostra di stampe antiche o quando la biblioteca acquisisce qualche nuovo volume, e saremmo tutti quanti più informati a riguardo. Viene dato molto spazio alle affascinanti storie che le nostre città hanno annoverato in età precomunale e comunale, ma poca memoria riserviamo loro per farne tesoro e imparare da un’epoca storica che erroneamente troppi considerano oscurantista e barbara.

Basti pensare all’emblematica frase medievale “Stadtluft macht frei”, l’aria della città rende liberi, riferita alla legge secondo la quale un contadino fuggito dal suo feudatario poteva considerarsi libero (e quindi cittadino) dopo un anno e un giorno lontani dal proprio padrone. Ed è proprio partendo da questo presupposto di libertà che si fonda la storia comunale, che nel XII secolo in Italia si afferma con il suo massimo splendore, grazie soprattutto alle rivendicazioni indipendentiste e alle liberalizzazioni (nonché all’abbassamento e talvolta anche all’abolizione delle tasse) portate avanti dal potente ceto mercantile comunale. Anche una piccola realtà come Cremona, a quell’epoca, ha potuto annoverarsi (per un breve ma intenso periodo) come città indipendente, fondata sul commercio del sale, dei tessuti e delle carte da gioco (i trionfi, meglio conosciuti come tarocchi), nonché grazie ad una storia ormai quasi sommersa, come quella dell’accesso alla cultura.

Un utile archivio in cui trovare materiale a riguardo è il sito di Reti Medievali, nella sezione della didattica (http://fermi.univr.it/rm/didattica/fonti/bordone/indice.htm#sez2), dove abbiamo trovato questo interessantissimo pezzo dedicato all’organizzazione scolastica: nonostante la grande importanza rivestita dalle istituzioni ecclesiastiche cittadine, secolari e religiose, nell'organizzazione della scuola, occorre rilevare che caratteristica della città italiana fu la spontanea iniziativa degli studenti laici di raccogliersi attorno a un maestro e di riconoscerlo come capo della loro associazione. Le due lettere che riportiamo, della prima metà dei XII secolo, riguardano proprio la corrispondenza fra un gruppo di scolari di Cremona e il magister Alberto, inviato a Cremona dagli scolari che gli garantiscono un congruo numero di allievi e gli offrono adeguato compenso. In questo caso tuttavia il maestro si scusa e declina l'offerta, perché già impegnato in precedenza con altri studenti bolognesi ed invitando gli studenti di Cremona a raggiungerlo con la promessa di essere accolti come “figli”.

Ad Alberto, dottore esimio e ripieno di divina sapienza, distinto per l'onestà dei costumi, presta soggezione da discepolo G., infimo fra gli scolari. La fama della tua sapienza e probità, illustre dottore, in lungo e in largo diffusa, mi è stata riferita da molte persone veritiere e mi ha spinto con intensità e mi ha convinto a scriverti per richiederti sorsate melliflue dalla fonte della tua dottrina. Ho saputo infatti per sentito dire che sei di nobile stirpe, illuminato dalla sapienza e adorno di buone abitudini e prego dunque la tua benevolenza di maestro di venire nella nostra città [di Cremona] nel prossimo inverno per insegnare a cinquanta o più scolari, i quali ti daranno un pegno per renderti sicuro che resteranno per un anno insieme con te e ti ricompenseranno della tua dottrina e della tua fatica.

Alberto al carissimo compagno, lo scolaro cremonese G. e agli altri compagni suoi augura ogni bene. Abbiamo accolto con gioia la lettera del vostro sollecito interesse, carissimi compagni, e l'abbiamo letta con mente benigna. Con grande desiderio accoglieremmo la vostra richiesta se fosse possibile, ma siccome abbiamo già accolto i pegni e impegnata la nostra parola [con gli studenti bolognesi], abbiamo deciso di soggiornare per un anno a Bologna e lì inderogabilmente insegnare. Per questo motivo pensate piuttosto a venire voi qui da noi che vi accoglieremo, se lo vorrete, come figli carissimi e come a figli amati potremo insegnare.[1]
[continua]


[1] G. ARNALDI (a cura di), Le origini dell'università, Bologna, Il Mulino, 1974, p. 130.

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