venerdì 7 settembre 2012

Huerta de Soto: un austriaco a difesa dell'euro (parte seconda)

di Damiano Mondini
- Viva l’euro, abbasso la BCE. Nonostante quanto fin qui sostenuto a favore dell’euro, Huerta de Soto afferma di rimanere un “euroscettico che ritiene che l’Unione Europea dovrebbe limitarsi esclusivamente a garantire la libera circolazione di persone, capitali e beni in un ambito di moneta unica (meglio se regime aureo)”; muove di conseguenza aspre critiche all’assetto istituzionale europeo e ai suoi problemi strutturali, dei quali la moneta unica non fa tuttavia parte. Le difficoltà economiche e sociali che ammorbano l’Eurozona sono infatti ascrivibili alla politica monetaria operata dalla Banca Centrale Europea, oltre che alla pressante regolamentazione che si accompagna al processo di progressiva centralizzazione politica [8]. Quest’ultima viene peraltro sostenuta sia dai “fanatici dell’euro”, sempre pronti a sostenere ogni possibile ampliamento del potere e del centralismo di Bruxelles, sia dai suoi detrattori più accaniti, che la considerano un detonatore che potrebbe rivelarsi fatale per la stessa moneta unica.
Ciò nondimeno, “il problema più grave non sta nella minaccia dell’impossibile unione politica, ma nel fatto insindacabile che se la Banca Centrale continua a mantenere una politica di espansione creditizia [… ] ciò porterà a cancellare […] l’effetto disciplinatore che l’euro ha sugli agenti economici di ogni paese”. La BCE non ha saputo – o non ha voluto - difendere i paesi dell’UE dall’enorme espansione creditizia mondiale orchestrata dalla Federal Reserve a partire dal 2001, i cui effetti sono divenuti palesi allo scoppio della bolla subprime. Ha inoltre permesso un incremento più che notevole della massa monetaria, la M3, cresciuta a livelli “superiori al 9 per cento annui, ben al di sopra dell’obiettivo del 4,5 per cento” stabilito dalla stessa banca centrale [9]. Insomma, gli errori - grossolani ma gravidi di conseguenze deleterie – della BCE sono ascrivibili alla totale ignoranza dell’armamento teorico fornito dalla Teoria Austriaca del Ciclo Economico, una cui conoscenza più approfondita avrebbe rivelato il carattere artificiale e insostenibile sul lungo periodo di molti investimenti, soprattutto quelli nel settore immobiliare. D’altronde è questo il lascito più prezioso, almeno per quanto concerne l’ambito economico, degli studiosi di Scuola Austriaca: una teoria che legge il ciclo economico come conseguenza ineluttabile di una politica creditizia espansiva operata dal sistema bancario grazie alla riserva frazionaria, ed orchestrata ab alto dalla banca centrale di turno; un’espansione che provoca una serie di cattivi investimenti in settori altrimenti infruttuosi, e che nel lungo periodo finiscono senz’altro per rivelare la propria inconsistenza, ovvero la mancanza di risparmi reali sostituiti dal “denaro a buon mercato” iniettato nell’economia dal sistema bancario; quando la verità viene a galla, affermano gli austriaci, la crisi non è che l’inevitabile riassesto del sistema economico, operato autonomamente dagli agenti del mercato, un processo di aggiustamento nel quale il Governo non deve assolutamente intervenire. Naturalmente, è innegabile che le scelte di politica monetaria della BCE siano state decisamente meno disastrose di quelle poste in essere dalla FED americana, sia negli anni del “Greenspan put” che in quelli del “Bernanke put”. Questo è avvenuto grazie allo statuto della BCE, più limitato [10], e soprattutto al contrappeso rappresentato dalla moneta unica.

- Germania vs USA (ovvero, perché Weidmann è meglio di Bernanke). Huerta de Soto passa dunque a descrivere meglio le differenti scelte di politica monetaria messe in campo dai paesi anglosassoni (USA e Inghilterra) da una parte e da quelli europei dall’altra. Rileva quindi come, a seguito della crisi economica del 2008, la FED e la Bank of England abbiano intrapreso una riduzione vicina allo zero dei tassi di interesse, una massiccia serie di operazioni di quantitative easing [11], una “ingente e continua monetizzazione diretta e senza ritegno del debito pubblico sovrano”, al cui confronto le scelte della BCE paiono un “gioco da ragazzi”. E’ facile scorgere, dietro a tali politiche, la longa manu di monetaristi e keynesiani, che hanno spinto per un “mantenimento, tanto negli Stati Uniti come in Inghilterra, di deficit di bilancio vicino al 10 per cento del rispettivo Prodotto Interno Lordo”. Da questo punto di vista, le differenze fra i seguaci di Milton Friedman e quelli di John M. Keynes finiscono per assottigliarsi al punto da scomparire. Al contrario, la moneta unica garantisce che nell’Eurozona sia impossibile “effettuare con tanta facilità l’inflazione monetaria”, oltre che violentare a tal punto i bilanci dei singoli Stati. Nonostante i numerosi e tristemente noti bailout avvenuti nell’Europa continentale, è da rilevare come operazioni di questo tipo siamo molto più complesse da attuare qui che non negli Stati Uniti e in Inghilterra. Inoltre – non che questo sia di gran conforto – queste scelte possono essere operate solo a fronte della promessa dei paesi in difficoltà di intraprendere “riforme basate sull’austerità di bilancio (e non sugli incentivi fiscali) e sull’introduzione di politiche di offerta [12] consistenti nel favorire la liberalizzazione e la competitività dei mercati”. Paradossalmente, è proprio lo spauracchio dello spread [13] a costringere i governi irresponsabili a porre un freno all’espansione della spesa pubblica, alle logiche parassitarie dell’interventismo e alla costosa e ipertrofica struttura dello Stato Sociale. Si capisce dunque anche la solerzia con cui i governanti cercano di ottenere un meccanismo anti-spread, atto a contenere i danni collaterali dell’aumento dei tassi d’interesse e della forbice coi titoli di Stato tedeschi. Questo spiega inoltre la storica opposizione della Germania, la cui responsabilità di bilancio spicca dinnanzi alla sregolatezza dei paesi del Sud Europa (fra i quali, naturalmente, la nostra Italia). E’ dunque necessario sostenere i tedeschi nel loro diniego ad accettare i cosiddetti Eurobond, la cui emissione “eliminerebbe gli incentivi che al momento hanno i diversi paesi per agire con rigore”. Rileviamo tuttavia con preoccupazione che, nei tempi più recenti, le posizioni di Angela Merkel sembrano ammorbidirsi, mentre la coerenza di Jens Weidmann, il geniale Presidente della Buba, pare essere sempre più isolata. In effetti, i dati citati da Huerta de Soto nella comparazione fra Germania e Stati Uniti sono piuttosto eloquenti, e mi pare il caso di schematizzarli:

Termine di confronto
Germania
Stati Uniti
Deficit pubblico
1%
superiore all’8,20%
Disoccupazione
6,9%
vicina al 9%
Inflazione
2,5%
superiore al 3,7%
Crescita
3%
1,7%




- Conclusione. Huerta de Soto si accinge a concludere evidenziando un importante elemento, ossia che gli attuali nemici dell’euro condividono le medesime motivazioni addotte in passato dai detrattori dell’oro: l’opposizione alla capacità, comune sia all’oro che alla moneta unica, di “disciplinare i politici con le mani bucate e i gruppi di pressione”. Certamente, “l’euro non rappresenta nemmeno lontanamente il regime monetario ideale”, ed è probabile che non scongiurerà altre disastrose scelte di policy da parte della BCE. Esso rappresenta nondimeno un male infinitamente più sopportabile dei “peccati della Federal Reserve e della Banca d’Inghilterra”, oltre che del nazionalismo monetario. L’euro è dunque la miglior “approssimazione” disponibile al regime di gold standard, “favorendo il rigore nei bilanci, le riforme che tendono a migliorare la competitività e mettendo un limite agli abusi del welfare state e della demagogia politica”. Minare la stabilità dell’euro significa dare carta bianca ai suoi detrattori, le cui intenzioni sono ben note: eliminare un fastidioso freno al folle espansionismo della spesa pubblica, all’ampliamento senza limiti della mano di uno Stato inefficiente e corrotto, al radicarsi dello Stato Sociale e della pressione dei gruppi di interesse. Lo scontro fra queste due opposte visioni ricorda quello degli anni ’30: esso vedeva contrapposti i sostenitori del regime aureo (fra cui spiccavano Mises e Hayek) e i fautori del suo abbandono, questi ultimi a favore del nazionalismo monetario, delle politiche inflazionistiche, della rigidità del mercato del lavoro, dell’interventismo, del “fascismo economico” e del protezionismo commerciale (in primis, naturalmente, il già citato Keynes). Fu per la libertà, quella vera, che gli austriaci e i liberali lottarono e furono sconfitti; ed è per la stessa libertà che noi, oggi, dobbiamo difendere l’euro. Questo è il messaggio di Huerta de Soto, che spero vi sarà di un qualche sostegno.

Note

[8] = Scrive a tal proposito l’insuperabile Carlo Lottieri in un suo recente articolo (Liber@mente, 2012 n. 4, pag. 5):

In linea di massima la cultura prevalente del Vecchio Continente chiede di passare agli Stati Uniti d’Europa, senza avvertire i rischi di una simile scelta: un progetto artificioso, nemico della storia (l’Europa ha la sua identità nel pluralismo, e non nell’unità), tendente a deresponsabilizzare i diversi attori […]. Non si predispone l’Europa dei cantoni svizzeri e delle libertà locali (che permetterebbero basse tassazione e regolazione), ma ci si incammina verso l’Unione delle Repubbliche Socialiste d’Europa.

[9] = In questa prospettiva, l’acquisto “illimitato” di titoli di Stato con scadenze da 1 a 3 anni, annunciato di recente da Mario Draghi, non è per nulla rassicurante. Non meno preoccupante la sostanziale unanimità nell’adesione da parte del board della BCE: unica voce contraria quella del Presidente della Bundesbank, Jens Weidmann.

[10] = Teoricamente, secondo il proprio statuto la BCE dovrebbe limitarsi ad impedire un incremento eccessivo dell’inflazione; al contrario la FED, oltre che della stabilità dei prezzi, deve occuparsi anche dell’occupazione e dell’attività economica. Inutile aggiungere che non v’è nulla di più ambiguo.

[11] = Sovente abbreviato con QE (cosa diceva Orwell delle sigle?), sta per “alleggerimento quantitativo”: è sostanzialmente una modalità “straordinaria”, invero molto ordinaria, attraverso cui una banca centrale crea moneta e la inietta, con le cosiddette “operazioni di mercato aperto”, nel sistema economico-finanziario. Ciò avviene tramite l’acquisto, da parte della banca centrale, di attività finanziarie di altre banche, con effetti benefici sui bilanci di queste ultime (e malefici sul bilancio della collettività, ma questo non lo troverete scritto sul Sole 24 Ore)

[12] = In un’ottica supply-sider, diminuendo i vincoli all’offerta come tassazione e regolamentazione, si può stimolare l’economia in modo molto più salutare che non pompando la domanda aggregata, come invece esortava a fare Keynes.

[13] = Vale la pena ricordare che si tratta del differenziale di rendimento fra i BTP decennali italiani (o i Bonos spagnoli) e i Bund tedeschi, considerati i più sani (o i meno malati) d’Europa.

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