martedì 4 settembre 2012

Quella libertà economica così individualista ed egoistica


di Miki Biasi

Ogni volta che qualcuno pronuncia in pubblico una frase a difesa della libertà economica e del sistema di libero mercato una delle obiezioni più immediate risulta essere questa:
 Ma troppa libertà economica non significherebbe esclusiva ricerca del profitto? Ciò non potrebbe che condurre gli uomini ad isolarsi sempre più, pensando solo a se stessi e al proprio giardino.

Coloro che formulano tali obiezioni ritengono che l’uomo non dovrebbe essere lasciato libero nello stabilire le relazioni con i propri simili, in quanto ciò ridurrebbe la società a meri individui capaci di pensare solo a se stessi ed incapaci di collaborare volontariamente con gli altri per il raggiungimento di fini comuni.
Proprio con il fine di evitare questa situazione poco gradita, sempre gli obiettori di cui sopra, sostengono che la soluzione consista nel far “muovere” gli uomini lungo le linee predeterminate dalla politica in modo da ottenere relazioni inter-individuali certe, benefiche e tipizzate (per quest’ultimo carattere dunque facili da tenere sotto controllo).
Ma cosa significa esattamente far “muovere” gli uomini lungo le linee predeterminate dalla politica?

Precisamente la frase può avere due diversi significati che tuttavia non si escludono l’un l’altro:
1) il costringere gli uomini ad associarsi o a contribuire a determinati fini che possono essere o meno di interesse comune;

2) l’impedire agli uomini di collaborare per il raggiungimento di taluni fini.

Dunque, sulla base dell’assunto per cui gli uomini senza l’imposizione non sarebbero capaci di collaborare, si legittima l’uso della forza per ottenere quella collaborazione in vista di qualche fine comune o detto tale.
Come è semplice intuire, basterebbe mostrare l’infondatezza di questo assunto per demolire la posizione di coloro che pongono quella classica obiezione all’avanzare della libertà economica, che poi è il piccolo contributo che con questo altettanto piccolo scritto si intende dare alla questione.

Comincerei subito con una frase di uno storico, tale Thomas S. Ashton, autore de “La rivoluzione industriale 1760-1830”:
L’idea che in una maniera o in un'altra la gente fosse diventata egoista, avara e antisociale è la più assurda fra tutte le leggende che hanno oscurato la storia della rivoluzione industriale.

Ma come, poi, sotanzialmente Ashton avalla questa affermazione?
Semplicemente utilizzando la forza dei fatti, i quali sono diretti a dimostrare l’esistenza di una “serie di istituzioni che andavano dal circolo promiscuo della taverna, al gruppo letterario del caffè, dal “Club del fuoco d’inferno” dei blasfemi al Sacro Club dei Wesley, dal sodalizio locale per la lotta contro la criminalità alla “Società nazionale per la riforma dei costumi dei ceti inferiori” e alla “Società dell’amore universale”.
Insomma, riprendendo le parole di Ashton, “il personaggio chiave della vita sociale non era l’individuo o lo Stato ma il Club”.
Altro esempio di associazionismo, e cioè di collaborazione volontaria tra uomini per un fine comune fu il proliferare, sempre con riguardo al periodo descritto da Ashton, di società di mutuo soccorso.
Per quanto riguarda invece l’assistenza, continua Ashton, essa era opera di organizzazioni volontarie più che dei singoli o dello Stato. E lo storico avalla anche questa affermazione con parecchi esempi:
La beneficenza pubblica era integrata da enti come la “Società per il miglioramento delle condizioni dei poveri”, la “Società marinara”, che provvedeva ai ragazzi senza amici, e la “Società filantropica” che si occupava dei fanciulli abbandonati e vagabondi. Un tipo di miseria era affrontato  dalla “Reale Società umanitaria per la guarigione delle persone viventi in uno stato di animazione sospesa”; di un altro si occupava la “Società per il miglioramento delle condizioni dei piccoli spazzacamini”; di un altro ancora si interessava la “Società per il soccorso delle persone incarcerate per piccole somme”. Educativo era il fine della “Società per la diffusione della scienza cristiana”, delle scuole della carità e, più tardi, delle organizzazione lancasteriana e nazionale.



Insomma, questa descrizione delinea qualcosa di molto diverso dal quadro predettoci da coloro che ostano la libertà e il libero mercato.

Volgendo poi lo sguardo ad un altro autore e ad un'altra terra è possibile trovare un ulteriore conferma dello spirito collaborativo dell’essere umano quando viene lasciato libero di stabilire le linee delle sue relazioni inter-individuali. L’autore è Alexis de Tocqueville e quanto scrive appartiene alla sua opera sulla “Democrazia in America”:

L’America è il paese nel quale l’associazione è stata più utilizzata e nel quale questo possente mezzo di azione è stato applicato a una più grande varietà di soggetti.
Indipendentemente dalle associazioni permanenti create dalla legge sotto il nome di comuni, città e contee, ve ne è un’infinità di altre che nascono e si sviluppano solo grazie alle volontà individuali.

Al pari di Ashton, anche Tocqueville avalla la propria affermazione con esempi, offrendoci, però, la sua diretta esperienza:
Gli americani di ogni età, di ogni condizione, di ogni tendenza, si uniscono continuamente. Essi non hanno solamente associazioni commerciali e industriali cui tutti prendono parte, ma anche di mille altre specie: religiose, morali, serie, futili, generali, particolari, grandissime e piccolissime; gli americani si associano per organizzare feste, fondare seminari, costruire alberghi, fabbricare chiese, diffondere libri, inviare missionari agli antipodi, come per fondare ospedali, prigioni, scuole. Se, per esempio, si tratta di mettere in luce una verità o di sviluppare un sentimento con l'appoggio dell'esempio, essi si associano. Ovunque alla testa delle iniziative nuove, allo stesso modo che in Francia troverete il governo e in Inghilterra qualche grande signore, in America troverete delle associazioni.

Tocqueville cerca di giustificare questo fenomeno spiegando che in America gli uomini non possono quasi nulla da soli e che nessuno di loro può obbligare gli altri a prestargli aiuto. Dunque la cooperazione è qualcosa di proficuo per coloro che vi collaborano volontariamente.
Ancora un altro esempio portato da Tocqueville, questa volta però più concreto:
La prima volta che ho inteso dire negli Stati Uniti che ben centomila uomini si erano impegnati a non far uso di bevande alcoliche, la cosa mi è sembrata più divertente che seria, e da principio non comprendevo perché questi cittadini così temperanti non si contentavano di bere acqua nell’intimità delle loro famiglie. Ma poi ho finito per comprendere che questi centomila americani, preoccupati dei progressi che faceva intorno a loro l’ubriachezza, erano sorti in difesa della sobrietà e avevano agito esattamente come un grande signore che si vestisse in modo semplice per ispirare ai cittadini il disprezzo del lusso. E’ da credere che, se questi centomila uomini fossero stati francesi, ognuno di essi si sarebbe rivolto individualmente al governo per pregarlo di sorvegliare tutte le osterie del regno.

Come si è potuto brevemente evidenziare, la libertà economica, il laissez-faire, il libero mercato, insomma la libertà di ogni uomo di impostare le relazioni con gli altri individui in maniera pacifica e volontaria, difficilmente può condurre a quella situazione di isolamento, di sola ricerca del profitto, di egoismo e di avarizia prevista dai detrattori della libertà.

Ad avallare questa affermazione, questa volta, non c’è solo la TEORIA (che, già da tempo, ha raggiunto ottimi risultati qui non considerati) ma anche la STORIA. Certo, secondo la lezione misesiana, quest’ultima non ha nulla da dire sul futuro, ma ancora più certo è che la STORIA, affiancata ad una solida TEORIA, eserciti un forte potere persuasivo persino sulle menti più riluttanti.

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