domenica 2 settembre 2012

Una lezione di libero mercato, e non solo: Cremona in età comunale (parte seconda)

di Camilla Bruneri e Tommaso Cabrini

Ma torniamo a parlare di mercanti, anzi, per poterne analizzare meglio le  caratteristiche, facciamo un salto ancora indietro nella storia: nel 774, con l’ultimo re Desiderio finisce la dominazione longobarda in Italia. I guerrieri pannonici vengono sconfitti dai franchi di Pipino e di Carlo Magno e Cremona diventa un ducato franco. Ma i nuovi dominatori non hanno una classe dirigente numericamente forte da soppiantare i longobardi: per governare devono appoggiarsi a loro e soprattutto consegnare il potere in mano ai vescovi che lo esercitano appoggiandosi alla dinastia franca. Anche a Cremona avviene questo passaggio, ma le cose stanno per cambiare: vicino a un’aristocrazia antica abbarbicata attorno al palazzo vescovile sta crescendo una borghesia dinamica, mercantile che scalpita per conquistare il potere, o quanto meno di partecipare al controllo della città e dei suoi traffici. Per ben due secoli questo processo si evince dalla documentazione medievale che riportano continue dispute tra mercanti e vescovo per i diritti sul Po, su alcune terre, su alcuni villaggi e le produzioni.
Infatti, la presenza di una popolazione concentrata richiede l'afflusso in città di derrate alimentari e di prodotti di prima necessità: l'attività terziaria, cioè quella relativa ai servizi di distribuzione, diventa così espletamento di una precisa funzione urbana economica. Gli addetti a tale attività sono i mercanti e fin dall'alto Medioevo la città italiana ospita questa categoria: ne è prova eloquente la lamentela che i Cremonesi rivolgono verso l'851-52 all'imperatore Ludovico II per protestare contro le imposizioni pretese dal vescovo di Cremona dai mercanti cittadini che attraccavano al porto locale. Nella prima metà del IX secolo i Cremonesi, che in precedenza apparivano associati agli abitanti di Comacchio per il commercio del sale, navigavano ormai con navi proprie e si presentavano come una precisa categoria cittadina.
I mercanti furono anche un importante riferimento culturale, impegnati nel delicato compito del consolidamento dell'economia interna, della tutela del commercio internazionale, facendo sì che nella città italiana potesse svilupparsi la figura caratteristica dell'«uomo d'affari», originariamente cambiatore e presta-denari, ma al tempo stesso mercante e imprenditore. Lo spostamento di capitali tramite lettere di credito, lo sviluppo delle banche e della scienza finanziaria presuppongono una vita cittadina che aveva ormai raggiunto livelli di specializzazione ben distinti e lontani dal mondo rurale. Erano infatti i «cittadini» che viaggiavano e commerciavano, dando vita a imperi finanziari: «lombardi» come i Piacentini e gli Astigiani che in società con i Genovesi frequentavano le fiere della Champagne, «toscani», come i Fiorentini e i Senesi che dirigevano grandi compagnie con sede italiana ma con filiali in tutta Europa, come i Peruzzi.
[continua]

Una lezione di libero mercato, e non solo: Cremona in età comunale (parte prima)

di Camilla Bruneri e Tommaso Cabrini

Quanto conosciamo della realtà storica delle nostre città italiane? Molto, basterebbe aprire qualche libro di storia, fare più attenzione quando il museo propone qualche mostra di stampe antiche o quando la biblioteca acquisisce qualche nuovo volume, e saremmo tutti quanti più informati a riguardo. Viene dato molto spazio alle affascinanti storie che le nostre città hanno annoverato in età precomunale e comunale, ma poca memoria riserviamo loro per farne tesoro e imparare da un’epoca storica che erroneamente troppi considerano oscurantista e barbara.

Basti pensare all’emblematica frase medievale “Stadtluft macht frei”, l’aria della città rende liberi, riferita alla legge secondo la quale un contadino fuggito dal suo feudatario poteva considerarsi libero (e quindi cittadino) dopo un anno e un giorno lontani dal proprio padrone. Ed è proprio partendo da questo presupposto di libertà che si fonda la storia comunale, che nel XII secolo in Italia si afferma con il suo massimo splendore, grazie soprattutto alle rivendicazioni indipendentiste e alle liberalizzazioni (nonché all’abbassamento e talvolta anche all’abolizione delle tasse) portate avanti dal potente ceto mercantile comunale. Anche una piccola realtà come Cremona, a quell’epoca, ha potuto annoverarsi (per un breve ma intenso periodo) come città indipendente, fondata sul commercio del sale, dei tessuti e delle carte da gioco (i trionfi, meglio conosciuti come tarocchi), nonché grazie ad una storia ormai quasi sommersa, come quella dell’accesso alla cultura.

Un utile archivio in cui trovare materiale a riguardo è il sito di Reti Medievali, nella sezione della didattica (http://fermi.univr.it/rm/didattica/fonti/bordone/indice.htm#sez2), dove abbiamo trovato questo interessantissimo pezzo dedicato all’organizzazione scolastica: nonostante la grande importanza rivestita dalle istituzioni ecclesiastiche cittadine, secolari e religiose, nell'organizzazione della scuola, occorre rilevare che caratteristica della città italiana fu la spontanea iniziativa degli studenti laici di raccogliersi attorno a un maestro e di riconoscerlo come capo della loro associazione. Le due lettere che riportiamo, della prima metà dei XII secolo, riguardano proprio la corrispondenza fra un gruppo di scolari di Cremona e il magister Alberto, inviato a Cremona dagli scolari che gli garantiscono un congruo numero di allievi e gli offrono adeguato compenso. In questo caso tuttavia il maestro si scusa e declina l'offerta, perché già impegnato in precedenza con altri studenti bolognesi ed invitando gli studenti di Cremona a raggiungerlo con la promessa di essere accolti come “figli”.

Ad Alberto, dottore esimio e ripieno di divina sapienza, distinto per l'onestà dei costumi, presta soggezione da discepolo G., infimo fra gli scolari. La fama della tua sapienza e probità, illustre dottore, in lungo e in largo diffusa, mi è stata riferita da molte persone veritiere e mi ha spinto con intensità e mi ha convinto a scriverti per richiederti sorsate melliflue dalla fonte della tua dottrina. Ho saputo infatti per sentito dire che sei di nobile stirpe, illuminato dalla sapienza e adorno di buone abitudini e prego dunque la tua benevolenza di maestro di venire nella nostra città [di Cremona] nel prossimo inverno per insegnare a cinquanta o più scolari, i quali ti daranno un pegno per renderti sicuro che resteranno per un anno insieme con te e ti ricompenseranno della tua dottrina e della tua fatica.

Alberto al carissimo compagno, lo scolaro cremonese G. e agli altri compagni suoi augura ogni bene. Abbiamo accolto con gioia la lettera del vostro sollecito interesse, carissimi compagni, e l'abbiamo letta con mente benigna. Con grande desiderio accoglieremmo la vostra richiesta se fosse possibile, ma siccome abbiamo già accolto i pegni e impegnata la nostra parola [con gli studenti bolognesi], abbiamo deciso di soggiornare per un anno a Bologna e lì inderogabilmente insegnare. Per questo motivo pensate piuttosto a venire voi qui da noi che vi accoglieremo, se lo vorrete, come figli carissimi e come a figli amati potremo insegnare.[1]
[continua]


[1] G. ARNALDI (a cura di), Le origini dell'università, Bologna, Il Mulino, 1974, p. 130.

La nuova frontiera libertaria: il mare

di Tommaso Cabrini

Il Seasteading
Seasteading è una parola composta, che nasce dalla somma di sea + homesteading.
Il seasteading consiste nella costruzione di comunità autosufficienti in acque internazionali, in modo da poterne garantire la libertà dalle leggi nazionali.
Di fatto l’intento può essere realizzato adattando vecchie navi da crociera, ex piattaforme petrolifere, piattaforme antiaeree in disuso ma anche mezzi costruiti ad hoc o vere e proprie isole artificiali.
Esempi storici di seasteading sono il Principato di Sealand (tutt’ora esistente ed in vendita), la Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose (distrutta dallo Stato italiano) o la Repubblica di Minerva (costruita nel pacifico e conquistata militarmente da Tonga).

Il Seasteading Institute
Il Seasteading Institute è l’istituto fondato, tra gli altri, da Patri Friedman (nipote del premio Nobel Milton) nel 2008.
L’istituto intende aiutare la diffusione del seasteading attraverso diversi campi d’azione:

  • ricerca in campo legale: identificare quali leggi e accordi internazionali permettono la libertà del seasteading (come ad esempio il miglior utilizzo della la bandiera di comodo) e quali regole istituire nei seastead;
  • innovazione di business: individuare quali business si possono creare nei seastead e quali possono svilupparsi in modo maggiormente efficace ed efficiente;
  • innovazione ingegneristica: scoprire le tecnologie che permettano la costruzione di seastead a prezzi accessibili ma sicuri e con un alto livello di qualità della vita, concentrandosi anche sulla modularità dei seastead per facilitarne in futuro l’espansione;
  • incentivazione del seasteading: l’istituto intende presentare entro il 2015 il “Poseidon Award”, un premio che sarà dato al primo seastead con almeno 50 abitanti permanenti, finanziariamente autosufficiente, con abitazioni scambiate sul libero mercato e politicamente autonomo.
L’istituto ha attratto anche l’attenzione del cofondatore di PayPal Peter Thiel, che ha deciso di erogare un finanziamento di 500.000$.
Blueseed
Blueseed inc. nasce come spinoff del Seasteading Institute, dove lavoravano e si sono conosciuti i fondatori della società.
Blueseed ha come progetto la costruzione di un incubatore di imprese galleggiante al di fuori delle acque territoriali statunitensi.
Il progetto prevede la conversione di una nave da crociera, da registrare presso il registro navale di qualche Stato che non faccia richieste stringenti all’armatore (si parla delle Isole Marshall o delle Bahamas).
In quanto incubatore verranno ospitate neonate imprese assieme al loro staff, di conseguenza la nave avrà spazi abitativi, spazi lavorativi e spazi dedicati al tempo libero per circa 1000 persone.
Blueseed non imporrà tasse ed inoltre non avrà una dogana, permettendo a qualunque dipendente delle imprese incubate di lavorare senza bisogno di visto, permesso di soggiorno o simili.
L’affitto degli spazi alle imprese sarà compreso tra i 1200 e i 3000$ oltre a circa il 6% delle azioni della neonata impresa.
Ad oggi più di 250 start-up hanno dimostrato interesse a trasferirsi su Blueseed.
I principali rischi per il futuro sono i possibili intralci da parte degli Stati Uniti e gli alti costi da sostenere per acquistare e convertire una nave allo scopo.
Possibili sviluppi futuri
Al momento il seasteading rappresenta uno dei più promettenti mezzi di emancipazione dagli stati territoriali.
Tuttavia il sogno esiste da parecchio tempo (gli esempi storici citati all’inizio sono nati quasi mezzo secolo fa) e non sembra vicino ad una realizzazione.
Inoltre i vari stati si sono dimostrati sempre molto ostili a questi progetti che rischiano di privarli di valenti cittadini, di capitali e di gettito fiscale.
Per quanto riguarda le alternative Patri Friedman ha dato vita nel 2011 anche alla Future Cities Development Corporation, un progetto per stabilire una charter city (una sorta di città stato, fortissimamente autonoma ma non indipendente) all’interno dell’Honduras.
Tra le altre frontiere possibili c’è la penisola antartica, non rivendicabile da nessuno stato in seguito al trattato Antartico, dove però le temperature medie sono piuttosto rigide (media annuale di circa -5°C nelle località più a nord).
Infine rimane lo spazio, ma questa frontiera rimane lontanissima, sia in termini tecnologici che economici, nulla più di un sogno per i posteri.




Quando il capitalismo si fa piccolo: crowdfunding

di Tommaso Cabrini

Un tempo il capitalismo era un affare per ricchi, fondare un’azienda ha sempre richiesto grandi capitali e l’innovazione finanziaria ha cercato di andare incontro agli imprenditori cercando metodi più facili di trovare denaro. Tornando indietro di qualche secolo l’imprenditore poteva contare solamente su quanto investito dalla propria famiglia o sul prestito di qualche grande banchiere.

Progressivamente si è allargato sempre più il mercato dei capitali, dando la possibilità a un maggior numero di persone di partecipare, prestando denaro o investendolo direttamente nelle aziende. Ciò è avvenuto attraverso una grande intuizione: anziché chiedere un grande finanziamento si chiede a tanti finanziatori una cifra più piccola facendo nascere così le azioni e le obbligazioni.

Se con la riforma pensionistica tutti i cileni sono diventati capitalisti, e quindi interessati al prosperare della propria economia e alla pace sociale, così è avvenuto con la diffusione nel nord America e in nord Europa della proprietà di azioni e obbligazioni emesse dalle aziende[1].

Oggi per possedere un’azione bastano pochi euro, ma parecchi costi aggiuntivi, come le commissioni e il bollo sul conto titoli rendono necessario comprare pacchetti nell’ordine di almeno un paio di migliaia di euro per rendere l’investimento potenzialmente profittevole. In fondo non tutti sono disposti a concentrare una tale cifra in un unico investimento.

Ma nel frattempo è stato fatto un ulteriore passo in avanti: internet, che permette la distribuzione di servizi ad un prezzo ridottissimo. Ecco dunque la possibilità di ridurre ulteriormente la dimensione dei pacchetti, fino ad arrivare a pochi spiccioli: il crowdfunding.

Crowdfunding (composto dalla parola crowd, folla e funding finanziamento) consiste nel raccogliere fondi destinati a specifici progetti da moltissime persone che partecipano per piccole cifre (solitamente meno di un centinaio di euro).

I vantaggi sono divisi tra i tre attori in gioco, i prestatori di capitale possono ottenere ritorni maggiori rispetto ai canali tradizionali, i prenditori di capitale possono ottenere denaro da una diversa fonte di finanziamento sostenendo costi minori, infine l’intermediario, mantenendo strutture leggere e dematerializzate (tutto si svolge su internet) può offrire il servizio a costi bassi ottenendo un profitto nonostante le basse commissioni.

Non esiste una forma standard di crowdfunding, si può trattare della raccolta di capitale azionario per una start up, del prestito ad una famiglia che deve ristrutturare casa, ma anche raccolta di denaro destinato a finanziare progetti no-profit, il finanziamento di una mostra o la campagna elettorale di Ron Paul.

Ad esempio il sito 33needs.com ha finanziato la nascita di Half United, una società di abbigliamento che fornisce un pasto agli affamati per ogni acquisto.

Kickstarter finanzia progetti innovativi e creativi (cinema, editoria, alta tecnologia). nel 2011 ha, con successo, finanziato più di undicimila progetti per un totale di quasi cento milioni di dollari.

Per restare in Italia ci sono anche Kapipal (simile a Kickstarter) e Zopa (che permette di prestare o chiedere in prestito denaro ad interesse).

La speranza è che in futuro il crowdfunding trasformi tutti in piccoli capitalisti, orgogliosi di essere tali e che permetta anche a quelle “categorie” più in difficoltà (come i giovani, le donne e gli esodati) di poter realizzare un’idea nella quale poter continuare a credere. Un sistema alternativo di accesso al credito, più sicuro e personalizzato, capace di andare incontro alle esigenze di tutte le parti in gioco, riducendo le distanze tra i tassi d’interesse richiesti dalle banche ai propri clienti e capace di diventare un’idea di business in tre direzioni. Io un pensierino ce lo farei!



[1] In Italia storicamente questo non è avvenuto perché lo Stato è stato il finanziatore della grande impresa, di conseguenza la concentrazione del capitale è nata per decisione politica e non tramite l’aggregazione dovuta alle banche o alla borsa.